domenica 15 febbraio 2009

Penultima dopo l’Epifania

Luca 7, 36-50

Una considerazione, anzitutto, di ordine generale.
Riguarda il nostro modo di rapportarci alla Parola di Dio.
Possiamo dire di ascoltarla con una partecipazione intensa e profonda e, almeno in qualche momento, anche con un coinvolgimento emotivo?
S tratta sempre di rimanere sorpresi, colti alla sprovvista dalla Parola.
Bisognerebbe accostarsi a ogni pagina del vangelo, come se fosse la prima volta.
Contro l’indurimento provocato dall’abitudine l’unico antidoto è la sorpresa.
Il fattore sorpresa è l’elemento costitutivo più importante del racconto che abbiamo letto nel vangelo di Luca.
Oggi, in altre parole, non possiamo non rimanere stupiti, se è vero che, prima di essere sorpresi noi, lo sono i protagonisti del racconto.
Vediamoli.
Gesù è invitato a pranzo da un fariseo di cui il vangelo ricorda il nome: è Simone.
Si sa che cosa Gesù pensasse dei farisei.
Che si faccia trovare nella casa di uno di essi dimostra che egli non si negava a nessuno, fosse pure un fariseo.
Egli, che viveva poveramente, accetta l’invito di un notabile.
Come si è svolto il pranzo in casa di Simone il fariseo.
Dopo un’accoglienza nel segno di una correttezza formale, alquanto fredda, tutto si è svolto come da copione.
Fino a un certo punto.
All’improvviso compare in sala, inaspettata, una donna.
Tutti in città dovevano sapere chi fosse: ”una peccatrice", dice il vangelo o, per essere più precisi, una prostituta..
Il fariseo accusa il colpo.
Si parlava prima del fattore sorpresa come elemento portante di tutto il racconto.
Per il fariseo la sorpresa è legata allo scandalo che patisce per la presenza indebita di quella donna nella sua casa e per i gesti che essa si permette di dedicare a Gesù senza che Gesù opponga un gesto di rifiuto .
Vediamo ora il secondo personaggio importante del racconto, proprio quello della donna peccatrice.
Se ha avuto il coraggio di varcare la soglia della casa di Simone il fariseo, è perché doveva sentire un bisogno immenso di esprimere la sua gratitudine.
Certamente aveva avuto occasione di ascoltare Gesù e di sentire che le sue parole le avevano toccato il cuore tanto da essere alleggerita del peso del suo passato.
Allora deve essersi chiesta: “Che cosa dovrei fare per dire il mio grazie? Non posso non fare qualcosa”.
Avendo saputo che Gesù si trovava nella casa di Simone il fariseo, fa tacere tutte le possibili obiezioni sulla convenienza di ciò che sta per fare, mette da parte ogni rispetto umano ed entra in quella casa.
E qui succede una cosa straordinaria, che certamente non era stata prevista.
E’ il caso di rivedere la scena.
Gesù ci pare di vederlo con il fianco sinistro appoggiato o disteso sul divano, come usava allora.
La donna gli si avvicina, e mentre è intenta a profumargli i piedi, improvvisamente si scioglie in un pianto irrefrenabile tanto da bagnare i piedi di Gesù con le sue lacrime copiose.
Che fare? Come asciugarli?
Essa non può lasciare i piedi di Gesù bagnati di lacrime.
Allora scioglie i suoi capelli e con i suoi capelli asciuga i piedi di Gesù.
Poi, portata dal suo slancio affettivo, ripetutamente li bacia.
Silenzio attorno a questa donna: come si permette una tale famigliarità?
Silenzio anche da parte di Gesù che la lascia fare senza una parola di insofferenza o di rimprovero.
Mentre la sorpresa del fariseo, come si è detto, era legata allo scandalo per quella scena che ai suoi occhi doveva apparire disgustosa, la sorpresa della donna potrebbe essere definita la sorpresa della grazia.
E Gesù? è lui l’autore di questa duplice sorpresa. E’ lui che la crea.
Anzi si potrebbe dire che Gesù è la sorpresa di Dio che ha posto la sua dimora in mezzo a noi.
La sua presenza è sempre motivo di novità radicali, di profondi cambiamenti, di salutari interrogazioni.
Perciò, come si diceva all’inizio, bisogna ascoltare la sua parola con il cuore aperto allo stupore.
Se mi si chiedesse quali sono per me i motivi di stupore che trovo nel vangelo che è stato letto, ne indicherei principalmente due.
Il primo è dato dalle parole di Gesù a commento della parabola dei due debitori.
Ma bisogna fare molta attenzione perché a leggere superficialmente il testo si è portati a credere che chi ama di più è maggiormente perdonato da Dio.
Ma la verità è diversa.
Non è il nostro amore a conquistare il perdono, ma è il perdono di Dio che ci permette di amare.
L’iniziativa è sempre di Dio.
È lui che perdona tutto, che dà gratuitamente la pace, che dispone ciascuno a gustare il profumo della gioia.
Gesù, che è venuto a rivelarci la misericordia del Padre, la sua tenerezza infinita,
ha offerto alla donna “peccatrice” del vangelo un amore che essa non aveva ancora conosciuto, un amore totalmente gratuito.
In questa prospettiva, non sono stati i gesti della donna a meritare il perdono, ma è stato il perdono a suscitare nella donna una grande commozione che si esprime attraverso la dolcezza di quelle lacrime versate sui piedi di Gesù.
Questo per me è motivo di sorpresa particolarmente consolante.
Vuol dire infatti che la prima cosa che mi è richiesta da Dio è di lasciarmi amare.
Allora mi sarà facile trovare una risposta a questo grande amore.
La risposta più bella sarà quella di rivelare il vero volto del Signore a tutti coloro che non osano pensare di essere amati, ma rimangono fermi all’immagine di un Dio che li giudica e li punisce.
Altro motivo di sorpresa è il fatto che Gesù rivolge al mondo femminile un’attenzione particolare , rivoluzionaria per quei tempi in cui i rabbini escludevano le donne dalla cerchia dei discepoli.
Gesù invece non teme di dare scandalo lasciandosi avvicinare dalle donne tanto che (così ci informa Luca, nei versetti che seguono immediatamente il testto del vangelo) aveva al suo seguito un gruppetto di donne che assistevano qella piccola comunità in diversi modi.
E’una rivoluzione, quella iniziata da Gesù, che ancora non è stata completamente attuata se si pensa che la chiesa, a dispetto di tanti attestati di dignità concessi alla donna con grande magnanimità, contiunua a guardare alla donna con una certa diffidenza come se essa adombrasse un serio pericolo per i discepoli di Cristo.
Fintanto che la donna sarà tenuta ai margini, la chiesa non potrà presentare un volto veramente materno e non potrà essere, come dovrebbe, la chiesa della tenerezza.
Accogliamo perciò la sorpresa che ci ha riservato il vangelo in attesa di salutare una sorpresa ancora più grande,quando ci sarà dato di vedere finalmente realizzata l’immagine di chiesa che Gesù ha sognato.

domenica 1 febbraio 2009

IV dopo l'Epifania


Luca 8, 22-25

Che cosa ci vuol dire questo racconto?
Si tratta di un miracolo compiuto da Gesù sulle forze scatenate della natura che dimostrerebbe la superiorità di Gesù su tutte queste forze ostili.
Ma questo tipo di lettura è troppo superficiale.
Vuol dire non accorgersi che ogni particolare del racconto suggerisce qualcosa di più profondo rispetto a ciò che immediatamente sembra significare.
Il linguaggio, in altre parole, possiede una grande ricchezza allusiva in quanto rimanda a qualcosa d’altro, di nascosto, di segreto, che noi siamo chiamati a disoccultare.
È quello che ora intendiamo fare prendendo in esame alcuni elementi della narrazione.
Il primo elemento particolarmente interessante è l’invito di Gesù ad attraversare il lago:”Passiamo all’altra riva!”.
Nel vangelo di Tommaso (un vangelo apocrifo, cioè non riconosciuto dalla chiesa, scoperto una cinquantina di anni fa nell’Alto Egitto), c’è questa frase attribuita a Gesù:“Siate come dei passanti”.
Che cosa voleva dire Gesù?
Che la vita è un continuo passaggio.
È bene ricordare che il mondo è come un ponte e che non si costruisce la propria dimora su un ponte.
Ma se è vero che siamo tutti esseri di passaggio, che siamo passeggeri nel senso più trasparente della parola, c’è da chiedersi: dove ci porta questa legge che Gesù ci ha richiamato?
“Passiamo all’altra riva” ha detto Gesù.
Qui non c’è solo un’indicazione geografica. Si sapeva che l’altra riva, quella ad est del lago, era abitata da popolazioni pagane e perciò da forze ostili a Dio.
L’altra riva, secondo il linguaggio ricco di rimandi e di allusioni che Luca ha scelto per narrare questo miracolo, rappresenta la dimensione della alterità o della diversità, quel mondo cioè che ci appare inquietante, perché lontano, sconosciuto e misterioso.
Nella società attuale l’altra riva potrebbe essere rappresentata dalla massa degli immigrati i quali danno a volte l’impressione di costituire un mondo chiuso e separato con cui è difficile comunicare per il fatto che custodiscono gelosamente le loro tradizioni religiose e culturali.
Inoltre, l’altra riva la puoi trovare anche nella vita di coppia, con la persona che tu pensi di amare e di conoscere più di ogni altra.
Perché ogni persona è un mistero inaccessibile che non può essere mai cancellato.
Infine non è possibile ignorare che l’altra riva richiama facilmente il mondo dell’invisibile e dell’eterno al quale si accede affrontando il duro passaggio della morte.
“Passiamo all’altra riva”: l’invito di Gesù comporta tante difficoltà ed è motivo perciò di smarrimenti, di sofferenze, di angosce.
Chi ci può aiutare in quei momenti in cui, paralizzati dalla paura,vediamo l’orizzonte oscurarsi e abbiamo l’impressione di trovarci nella stessa condizione dei discepoli sul lago di Tiberiade?
Possiamo chiedere aiuto alla chiesa quando anch’essa ci sembra a volte una fragile imbarcazione sballottata, come in questi giorni, da onde troppo violente?
Quando si prende coscienza del pericolo, soprattutto quando la tempesta ci raggiunge più da vicino, nella vita di coppia o di famiglia, ci sorprendiamo a gridare: “Non t’importa , Signore, che noi periamo?”.
Ma Dio ci ascolta?
Abbiamo impressione che Dio dorma. Come dorme Dio nell’antico testamento, tanto che il salmista e i profeti si sentono costretti a gridargli: “Destati, Signore, perché dormi? Svegliati”.
La risposta, nel vangelo, la conosciamo: è data dal miracolo.
Gesù, che prima dormiva, viene risvegliato e fa tacere il vento placando le acque minacciose.
È interessante osservare che l’evangelista utilizza termini tecnici che, in greco, esprimono la morte e la risurrezione.
In altre parole, Gesù che dorme su un cuscino in fondo alla barca prefigura Gesù che riposa nel profondo della tomba, mentre Gesù che, risvegliato e stando in piedi in mezzo alla barca, interpella e provoca il vento, annuncia l’altro Gesù, in piedi nella tomba e vittorioso sulla morte, il mattino di Pasqua.
Ma c’è un’altra risposta su cui conviene riflettere.
“Dov’è la vostra fede?” chiede Gesù ai discepoli, ammonendoli sulla loro scarsa capacità di avere fiducia in lui. .
Qui la fede richiesta da Gesù è soprattutto fiducia.
Non si tratta di una fede intesa come adesione a un insieme di credenze definite con assoluta precisione o di una fede professata solo verbalmente..
Questa fede-fiducia è qualcosa che nasce dal cuore di una persona.
E’ la ferma persuasione che sulla barca della nostra avventura umana ci sarà sempre un passeggero clandestino, pronto a prendere in mano il timone e a condurci in salvo.
Vorrei concludere questa riflessione con un pensiero di Bernanos il quale un giorno si è domandato che cosa è la fede e ha trovato questa risposta: “La fede è ventiquattro ore di dubbi meno un minuto di speranza”.
A me sembrano parole molto consolanti.
I dubbi li conosciamo: ci accompagneranno sempre fino al termine del nostro cammino.
Ma, forse, potrà bastare, per essere riconosciuti come veri credenti, un minuto di speranza, purché questa speranza porti un nome, quello di Gesù, nostro dolcissimo amico, inseparabile compagno di viaggio e guida verso l’altra riva.