tag:blogger.com,1999:blog-8193068428912880592024-02-02T21:08:24.796+01:00domenicainsiemedon Luigi Pozzolihttp://www.blogger.com/profile/12849175491189054079noreply@blogger.comBlogger86125tag:blogger.com,1999:blog-819306842891288059.post-33751123147130520502010-03-31T14:58:00.000+02:002010-03-31T15:00:03.434+02:00Domenica delle PalmeGiovanni 11, 55-57; 12, 1-11<br /><br />Questa pagina del vangelo di Giovanni ci presenta Gesù che siede a tavola , nella casa ospitale delle sorelle Marta e Maria.<br />Betania doveva essere per Gesù un luogo molto caro, perché lì poteva trascorrere ore rasserenanti, al riparo da certe asprezze che il contatto con la folla non mancava di procurargli.<br />Per vivere, si ha bisogno di un po’ di tenerezza, che può esprimersi attraverso piccoli segni quali un sorriso, un ascolto, una semplice parola detta con garbo e amabilità.<br />Vivere infatti è amare e lasciarsi amare<br />E questo amore coinvolge tutto il proprio essere, anche il proprio corpo.<br />Il corpo rivela la persona, il corpo è il segno dell’anima.<br />Leggendo il vangelo, non ci capita mai di trovare neppure un a volta un invito a diventare puri spiriti, creature pseudoangeliche di cui certe forme di spiritualità hanno preteso di definirne il ritratto, come fosse quello del vero cristiano.<br />Gesù non è un angelo, ma un uomo vero, un uomo completo.<br />E Gesù non rinnega mai la sua piena umanità.<br />Egli si mostra come un uomo molto sensibile con sentimenti profondi, che non ha paura di esprimere.<br />Per questo l’abbiamo visto piangere nel racconto della risurrezione di Lazzaro.<br />Si pensa (l’ho trovato scritto) che quasi l’80% degli uomini tra i 15 e i 55 anni hanno molta difficoltà a esprimere le loro emozioni, a piangere , a mostrare il loro cuore.<br />Abbiamo paura di sentirci vulnerabili, di confessare la nostra fragilità.<br />Gesù nel vangelo si lascia prendere dalla pietà, è mosso a compassione e non si vergogna di piangere in pubblico, toccato dalle lacrime di Maria.<br />E quando Maria entra nella sala del banchetto e compie quel gesto meraviglioso versando sui piedi di Gesù un profumo costosissimo e asciugando poi con i suoi capelli sciolti, Gesù non dice neppure una parola per far cessare quella liturgia che agli occhi dei presenti doveva risultare piuttosto imbarazzante.<br />Vale la pena di osservare che secondo le buone maniere di quel tempo non era concesso ad una donna di sciogliere i suoi capelli in pubblico davanti ad un uomo.<br />Maria compie questo gesto in silenzio, come se stesse assecondando le movenze di una danza e Gesù lascia che essa esprima a quel modo tutto il suo affetto.<br />L ’episodio è ricco di grande tenerezza.<br />Essere umani, è accettare di avere un cuore.<br />Gesù, il più umano degli umani, non ha paura dei sentimenti, non ha paura del proprio cuore.<br />Chi nel vangelo non accetta di avere un cuore è Giuda.<br />Il personaggio di Giuda non è facile da capire.<br />Certo non va liquidato sbrigativamente con l’etichetta di ladro, come è detto nel vangelo.<br />È un personaggio chiuso, complesso, tormentato.<br />Giuda, se mi è concesso di interpretarlo a modo mio, lo vedo come un sognatore dalla mente fredda,<br />Lo vedrei come un prototipo della cultura attuale.<br />Nella società occidentale si è privilegiato il mondo oggettivo dell’uomo, cioè la volontà, la determinazione in vista di una riuscita, la razionalità, e questo a scapito del mondo soggettivo che comprende l’emotività, l’affettività, la spontaneità: in una parola, il cuore.<br />Il risultato è sotto gli occhi di tutti.<br />Siamo diventati tutti troppo saggi, troppo razionali, troppo normali.<br />Quante persone vivono prigioniere della loro funzione e del loro personaggio: sono persone che lavorano, hanno pure successo nella loro attività, fanno molte cose, mea senza quella meraviglia continua e quella passione infinita che solo l’intelligenza del cuore sa suggerire.<br />Ecco perché prima ho indicato Giuda come prototipo di questa mentalità vedendo in lui un sognatore dalla mente fredda. <br />Questa mentalità di Giuda, arida, fredda, calcolatrice, non vivificata da un palpito di sentimento o da un soffio di poesia, la conosciamo bene perché la respiriamo attorno a noi e, per poco che siamo sinceri con noi stessi, la troviamo dentro i comportamenti abituali del nostro vivere.<br />Che cosa conta per noi nella vita?<br />Che cosa proponiamo ai giovani come primo obiettivo da conseguire?<br />Conta soprattutto raggiungere una posizione che permetta di guadagnare e di avere successo.<br />Ma è possibile che tutto il senso della vita debba esaurirsi nella dimensione della praticità e della convenienza?<br />Quando riusciremo a capire che, al di là dell’interesse per il fare, c’è qualcosa di più grande come il contemplare, il compatire, il condividere, cioè la dimensione stupenda della gratuità?<br />Se non riscopriamo la bellezza della gratuità, ci condanniamo a una vita sempre più invivibile.<br />Pensiamo al destino di Giuda: abituato a vedere solo il lato pratico delle cose, ha tradotto la poesia del gesto di Maria in un calcolo e in una deplorazione: trecento denari sprecati!<br />Con questa mentalità di lì a poco arriverà a dare un prezzo anche alla vita di Gesù.<br />Ma vorrei che contemplassimo ancora una volta la bellezza del gesto di Maria, un gesto meraviglioso non tanto per la generosità, ma per la pietà, la delicatezza, la tenerezza, la totale gratuità.<br />E il profumo che inonda tutta la casa è come l’esaltazione di questo amore.<br />Se non comprendiamo questo discorso sull’amore, come pura gratuità, che cosa possiamo capire del mistero che celebreremo in questi giorni?<br />Verrebbe voglia di concludere questa riflessione inventando, se mai è possibile, una beatitudine che potrebbe suonare così:. “Beati quelli che sanno amare come Maria di Betania: il loro amore avrà la fragranza di un meraviglioso profumo”.don Luigi Pozzolihttp://www.blogger.com/profile/12849175491189054079noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-819306842891288059.post-84348174947632652832010-01-03T18:53:00.002+01:002010-01-04T09:36:56.549+01:00Ottava del Natale nella circoncisione del SignoreAll’inizio di un anno nuovo è consuetudine scambiarsi gli auguri.<br />Gli auguri non mancano neppure nella Bibbia, sebbene sotto altro nome e con ben altra forza.<br />Gli auguri nella Bibbia si chiamano benedizioni.<br />Meditando sulle letture di questa liturgia mi sono detto: “Ci sono, nel linguaggio degli uomini, parole più belle, più commoventi, più luminose di queste?”.<br />Dal Libro dei Numeri ci è stato trasmesso questo messaggio: il nostro Dio è un Dio che ama benedire.<br />Al museo d’Israele, a Gerusalemme, è esposto un pezzetto di cuoio, vecchio di duemilacinquecento anni (è il più antico documento riguardante un testo scritto della Bibbia) su cui sono riportate proprio le parole con le quali Aronne benedice il popolo d’Israele: “Ti benedica il Signore e ti protegga”.<br />Ma non accontentiamoci di questa prima indicazione, perché la parola benedizione per il Signore ha un valore e una forza che noi non sappiamo immaginare.<br />Quando noi parliamo di benedizione pensiamo a formule augurali, amabili e incoraggianti, che però non valgono a modificare il corso delle cose.<br />Benedire, come dice la parola, è dire bene di una persona, e questo è sempre un fatto molto positivo.<br />Sappiamo quanto è importante per noi, in certi momenti, sapere che c’è qualcuno che dice bene di noi o sentire da una persona una parola buona, che tocchi in profondità il nostro essere, tanto che a volte ci capita di ascoltare questa invocazione: ”Mi dica una parola buona” o di essere noi a mendicare una parola buona.<br />Il Signore non si limita a dire una parola buona d’incoraggiamento, ma benedice in modo creativo: augura e al tempo stesso crea ciò che va augurando.<br />E' interessante perciò prestare attenzione anche alle altre parole che si trovano nella prima lettura: ”Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti dia pace”.<br />La benedizione del Signore è il risplendere del suo volto sul nostro volto.<br />Qui la benedizione acquista un carattere personale: si stabilisce un rapporto da volto a volto e, poiché il volto rappresenta l’originalità di una persona, è un rapporto da persona a persona, da cuore a cuore.<br />Inoltre questa benedizione esprime una volontà di comunicare e di donare, come se ciò che appartiene a Dio (la sua luce, il suo amore, la sua pace) si riversasse come una corrente di grazia nel cuore di chi viene benedetto.<br />Possiamo affermare che quanto stiamo dicendo si è realizzato e si realizzi tuttora?<br />“Il Signore faccia brillare il suo volto”.<br />C’è stata una notte in cui il Signore ha fatto brillare il suo volto.<br />Il sorriso di Dio si è fatto carne e sangue con il volto di un bambino.<br />E quando i pastori trovarono quel bambino che giaceva in una mangiatoia, furono loro i primi ad essere benedetti con la luce del volto di Dio. <br />Ora sappiamo cosa vuol dire essere benedetti.<br />Ora sappiamo anche quello che i pastori non potevano sapere. <br />Noi siamo benedetti al punto che per mezzo di Gesù Cristo, come ci ha ricordato l’apostolo Paolo, siamo associati al suo destino di gloria.<br />Qui dovremmo tacere. Per troppe ragioni.<br />Non solo perché il mistero supera le parole, ma anche per una sorta di pudore, dato che il nostro cristianesimo è povero di senso mistico, di vera esperienza delle cose di Dio.<br />Che cosa è la fede per noi?<br />L’abbiamo ridotta a norma di vita, a programma filantropico, a ideale umanitario.<br />Ma la fede prima di tutto, è la contemplazione di un volto, quello di Gesù.<br />Prima di tutto è un innamoramento nei confronti di Gesù.<br />Il vero credente è colui che si ripete, stupito: ”Ma è proprio vero che sono figlio di Dio?<br />E’ proprio vero che Dio mi ama fino a questo punto? Da dove viene questa audacia che mi fa dire: ”Abbà! Padre!”?<br />Se riusciamo a capire qualcosa della benedizione che si è riversata sulla nostra vita, possiamo anche capire i comportamenti che il vangelo ci suggerisce come espressioni del segreto che ci è stato rivelato.<br />Primo comportamento è quello del silenzio colmo di stupore: ”Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore”.<br />Non finiremo mai di meditare perché non finiremo mai di stupirci.<br />Questo volto di Gesù va contemplato a lungo, in silenzio, con appena un filo di preghiera: “Fa, o dolce Dio del mio esistere, che qualcosa comprenda, qualcosa viva e realizzi nella mia vita di quanto tu mi riveli”.<br />C’è poi l’acclamazione: ”I pastori se ne tornarono glorificando e lodando Dio”.<br />Non è possibile non lodare quando ci si sente accolti e amati.<br />E infine c’è il desiderio di comunicare: ”Riferirono ciò che del bambino era stato detto loro”.<br />E’ bello gioire e comunicare gioia.<br />Si riceve e si dona perché altri ne godano e a questo modo si allarghi la benedizione di Dio.<br />Se avessimo una vera fede, dovremmo coltivare sempre il desiderio di fermare qualcuno ad un angolo di strada per parlargli della vita non come maledizione –sono già troppi a farlo- ma come benedizione e perciò come promessa di speranza e di pace.<br />A questo punto possiamo capire perché l’augurio più bello sia quello che ci viene suggerito dalle parole della prima lettura: "Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio, il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace”.don Luigi Pozzolihttp://www.blogger.com/profile/12849175491189054079noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-819306842891288059.post-52431128365092433162010-01-03T18:49:00.007+01:002010-01-04T10:19:15.973+01:00Natale del Signore (2009)Siamo venuti per celebrare la nascita di Gesù.<br />La liturgia ci parla di musica celeste, di gioia grande, di pace per tutti.<br />Ma forse ci sentiamo incapaci di aderire pienamente a questo grande “mistero gaudioso”.<br />Che cosa ci manca?<br />Nella tradizione popolare francese esiste un singolare personaggio del presepio, chiamato <i>ravi</i>, che vuol dire rapito, incantato, estasiato, pieno di stupore e di gioia.<br />Qualcuno vorrebbe rimproverarlo perché non ha portato nulla da offrire al bambino Gesù, ma Maria lo difende: lui ha portato il dono più bello: i suoi occhi spalancati, colmi di stupore.<br />Noi questo spirito d’infanzia facciamo fatica a ritrovarlo.<br />Veniamo a queste celebrazioni con tutte le resistenze della nostra poca fede e della nostra ostinata razionalità. <br />Sentiamo risuonare una promessa di pace, un annuncio di salvezza?<br />Noi non siamo più disposti a seguire questi discorsi che, per le tante delusioni patite in passato, consideriamo falsi e alienanti.<br />“Dio mi deve spiegazioni. -diceva Ionesco- Quando sarà il momento gli chiederò perché il mondo è così bello e così atroce”.<br />Ma non c’è bisogno di aspettare quel momento per avere da Dio una risposta alle nostre legittime attese, se appena siamo capaci di sostare accanto al presepio con uno spirito contemplativo e invocante.<br />“Il Verbo si è fatto carne” ci dice Giovanni nel prologo del suo vangelo.<br />La parola di Dio si è rivelata nella carne del bambino nato a Betlemme.<br />Questo bambino non parla: è un infante, nel senso letterale della parola.<br />In realtà, parla più che se avesse la parola.<br />Parla non come parlerebbe un adulto, utilizzando concetti, idee, argomentazioni, ragionamenti (in questo caso sarebbe compreso da pochi, da quelli intellettualmente più preparati), ma parla con tutta la fragilità e la povertà della sua nascita in mezzo a noi.<br />E ci dice cose meravigliose.<br />Ci dice che Dio è amore.<br />Ha il volto della mitezza, della dolcezza, della semplicità, della fraternità.<br />E la nostra terra non è mai abbandonata da Dio.<br />Come lui non si stanca di amarla, così vorrebbe che neppure noi ci stancassimo di amarla.<br />Vorrebbe che stabilissimo un rapporto fraterno, simpatico, affettivo con tutta la creazione, con l’acqua, con l’aria, con le piante, gli animali, non profanando mai i beni della terra, ma rispettando e apprezzando.<br />Ma l’amore di Dio, ci dice ancora il bambino di Betlemme, si rivela soprattutto verso l’uomo.<br />”Il Verbo si è fatto carne”: il Verbo si è fatto uomo.<br />Ogni gesto di pietà o di rifiuto compiuto nei confronti dei nostri fratelli diventa un sì o un no che noi pronunciamo nei confronti di Dio.<br />Non ci capiti di deludere il nostro Dio.<br />Se così fosse, tutte le nostre belle liturgie natalizie sarebbero celebrazioni vacue, pura retorica religiosa. <br />E ci sarebbe perfino da vergognarsi.<br />Negli occhi, nel cuore, nelle mani in ogni fibra della nostra esistenza c’è il sigillo dell’amore di Dio che si è alleato con questa nostra umanità fatta di spirito e di carne, di improvvise esaltazioni e di tenaci avvilimenti.<br />Perché siano vere celebrazioni del Natale del Signore bisogna che esse portino ad adorare in ogni volto l’immagine di Dio. <br />Ogni volto umano, per quanto sfigurato dalla colpa, è un’icona, un riflesso del Verbo che si è fatto carne. Dio in Cristo ci restituisce il nostro vero volto, ci riconcilia con noi stessi, ci dona così la sua pace.<br /><span style="font-style:italic;">Res sacra homo</span>, dicevano gli antichi.<br />Tanto più lo dobbiamo dire se crediamo nell’incarnazione del nostro Dio.<br />Perciò il culto da rendere a Dio passa attraverso i gesti che compiamo verso le persone che avviciniamo.<br />Non è possibile, in altre parole, amare Dio senza amare i fratelli che Dio ama.<br />E nella grande famiglia umana una tenerezza particolare è riservata da Dio ai poveri, ai deboli, agli incompresi, ai sofferenti: sono essi i più vicini al cuore di Dio.<br />Questo è il messaggio che ci trasmette il bambino di Betlemme, un messaggio che ci rivela il vero volto di Dio e il vero volto dell’uomo.<br />Mi ha colpito questa affermazione che mi è capitato di leggere recentemente: “Dio si è fatto ‘nessuno’, perché tutti i ‘nessuno’ della terra avessero un volto, un nome, una dignità, una grandezza”.<br />Perciò, se mai volessimo rimanere in contemplazione di un nostro ideale presepio, dovremmo collocare, accanto a Maria e a Giuseppe, accanto ai pastori, vicinissimi al bambino, soprattutto le persone senza avvenire e senza speranza, tutti quelli che non hanno avuto nella vita la loro parte di tenerezza, tutti quelli che si sentono poco amati e perciò falliti.<br />C’è posto anche per noi vicino alla culla di Betlemme.<br />C’è posto se siamo capaci di abbandonare le nostre false sicurezze per ritrovare la misura della verità del nostro esistere, la nostra piccolezza e l’immenso bisogno di sentirci amati.<br />Questo bisogno di amore riguarda anche il Verbo di Dio che si fa carne e condivide pienamente la nostra umanità.<br />Anche lui ha bisogno di sentirsi amato e protetto.<br />Non è forse vero che Dio, da più di duemila anni, va interrogando instancabilmente i nostri cuori per vedere se c’è qualcuno che sia disposto ad amarlo, qualcuno per il quale sia capace di provare per il suo Dio una immensa pietà?<br />Etty Hillesum, questa straordinaria donna che nell’inferno di un lager nazista ha testimoniato l’amore e la speranza, nonostante avesse davanti agli occhi solo immagini di morte, ha potuto scrivere: “Ora tocca a noi aiutare Dio”.<br />Tocca a noi aiutarlo ora a nascere, a crescere, a trovare casa, a trovare lavoro, a trovare accoglienza e ospitalità.<br />Tutta la vita perciò va amata, la nostra e quella degli altri. <br />Amiamoci perché Dio ci ama. <br />Il bambino di Betlemme, che abbiamo visto come segno del vero volto di Dio e del nostro vero volto, diventa anche il volto della nostra possibile gioia. <br />Voglia il Signore non farci mai mancare quella speranza che a Betlemme si è accesa come luce avvolgente (“li avvolse di luce”) per i giorni oscuri della nostra vita.don Luigi Pozzolihttp://www.blogger.com/profile/12849175491189054079noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-819306842891288059.post-31162553651973593032009-11-08T16:10:00.001+01:002009-11-08T16:13:30.319+01:00II domenica dopo la dedicazione<meta equiv="Content-Type" content="text/html; 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<br /><span style=";font-size:85%;" ><o:p></o:p></span></p> <p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; text-align: justify; line-height: normal; font-family: georgia;"><span style=";font-size:85%;" ><o:p> </o:p></span></p> <p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; line-height: normal; font-family: georgia; text-align: justify;"><span style=";font-size:85%;" >Ci saremmo aspettati la liturgia della solennità di tutti i santi.<o:p></o:p></span></p><div style="text-align: justify;"> </div><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; line-height: normal; font-family: georgia; text-align: justify;"><span style=";font-size:85%;" >Avremmo riascoltato, con profonda commozione, l’annuncio delle beatitudini, che troviamo nel testo di Matteo.<o:p></o:p></span></p><div style="text-align: justify;"> </div><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; line-height: normal; font-family: georgia; text-align: justify;"><span style=";font-size:85%;" >E invece, per ragioni che non è il caso di volere esplorare, gli operatori della recente riforma liturgica che ha dato vita al nuovo rito ambrosiano, ci hanno fatto celebrare ieri la solennità di tutti i santi assegnando a questa domenica la liturgia del tempo ordinario.<o:p></o:p></span></p><div style="text-align: justify;"> </div><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; 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font-family: georgia; text-align: justify;"><span style=";font-size:85%;" >Tra le tante ragioni che potrebbero essere richiamate, a me pare che una in particolare meriti tutta la nostra attenzione.<o:p></o:p></span></p><div style="text-align: justify;"> </div><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; line-height: normal; font-family: georgia; text-align: justify;"><span style=";font-size:85%;" >In un tempo (è il nostro) in cui tutte le vie tentate per conquistare la felicità si sono rivelate ingannevoli e derisorie, soprattutto quelle dai percorsi moralmente spericolati, può nascere un’interrogazione che racchiude un sospetto e insieme una speranza.<o:p></o:p></span></p><div style="text-align: justify;"> </div><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; line-height: normal; font-family: georgia; text-align: justify;"><span style=";font-size:85%;" >“Visto che la felicità non appartiene né a chi è ricco né a chi è potente, né al superuomo né al libertino gaudente, non potrebbe essere – ecco l’interrogazione – che l’unica persona felice sia il santo?<o:p></o:p></span></p><div style="text-align: justify;"> </div><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; line-height: normal; font-family: georgia; text-align: justify;"><span style=";font-size:85%;" >Di felicità parlano le beatitudini come pure la parabola che abbiamo trovato nel vangelo dove la felicità viene rappresentata con l’immagine di una grande cena e tutto il racconto è introdotto da un’altra beatitudine: “Beato chi prenderà parte al banchetto nel regno di Dio”.<o:p></o:p></span></p><div style="text-align: justify;"> </div><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; line-height: normal; font-family: georgia; text-align: justify;"><span style=";font-size:85%;" >E’ importante perciò “aggirarsi nei paraggi dei santi”, osservarli da vicino, spiarli nel loro modo di vivere, cercare di carpire il loro segreto, cioè la formula, se così si può dire, del loro essere beati.<o:p></o:p></span></p><div style="text-align: justify;"> </div><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; line-height: normal; font-family: georgia; text-align: justify;"><span style=";font-size:85%;" >Che cosa possiamo osservare?<o:p></o:p></span></p><div style="text-align: justify;"> </div><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; line-height: normal; font-family: georgia; text-align: justify;"><span style=";font-size:85%;" >Che i santi non sono dei superuomini.<o:p></o:p></span></p><div style="text-align: justify;"> </div><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; line-height: normal; font-family: georgia; text-align: justify;"><span style=";font-size:85%;" >Se la chiesa fosse fatta di gente perfetta, chi avrebbe il coraggio di entrarvi?<o:p></o:p></span></p><div style="text-align: justify;"> </div><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; line-height: normal; font-family: georgia; text-align: justify;"><span style=";font-size:85%;" >E’ quello che si domandava Bernanos: vi resteremmo davanti come un contadino, che si rigira tra le mani il cappello, prima di farsi ricevere dai ricchi signori.<o:p></o:p></span></p><div style="text-align: justify;"> </div><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; line-height: normal; font-family: georgia; text-align: justify;"><span style=";font-size:85%;" >Fortunatamente per noi, i santi hanno i loro difetti.<o:p></o:p></span></p><div style="text-align: justify;"> </div><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; line-height: normal; font-family: georgia; text-align: justify;"><span style=";font-size:85%;" >A questo modo li sentiamo più vicini, più umani, più frequentabili.<o:p></o:p></span></p><div style="text-align: justify;"> </div><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; line-height: normal; font-family: georgia; text-align: justify;"><span style=";font-size:85%;" >Non ha senso perciò dire (qualcuno l’ha detto) che è più difficile vivere accanto a un santo che diventarlo personalmente.<o:p></o:p></span></p><div style="text-align: justify;"> </div><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; line-height: normal; font-family: georgia; text-align: justify;"><span style=";font-size:85%;" >Perché la santità, se è vera, è umile e accogliente nei confronti di tutti.<o:p></o:p></span></p><div style="text-align: justify;"> </div><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; line-height: normal; font-family: georgia; text-align: justify;"><span style=";font-size:85%;" >La santità è umile, perché non è una conquista dell’uomo.<o:p></o:p></span></p><div style="text-align: justify;"> </div><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; line-height: normal; font-family: georgia; text-align: justify;"><span style=";font-size:85%;" >Ci sono, per esempio, carriere che sono costruite con un preciso impegno e con il concorso di circostanze favorevoli.<o:p></o:p></span></p><div style="text-align: justify;"> </div><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; line-height: normal; font-family: georgia; text-align: justify;"><span style=";font-size:85%;" >La santità non si costruisce, ma si accoglie.<o:p></o:p></span></p><div style="text-align: justify;"> </div><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; line-height: normal; font-family: georgia; text-align: justify;"><span style=";font-size:85%;" >Il principio della santità non è infatti nell’uomo, ma in Dio.<o:p></o:p></span></p><div style="text-align: justify;"> </div><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; line-height: normal; font-family: georgia; text-align: justify;"><span style=";font-size:85%;" >Santo è colui che si lascia educare dalla sua parola, si lascia plasmare dal suo amore, riconoscendo di essere povero e di dovere tutto all’amore del Padre.<o:p></o:p></span></p><div style="text-align: justify;"> </div><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; line-height: normal; font-family: georgia; text-align: justify;"><span style=";font-size:85%;" >Bisognerebbe che fossimo capaci di dire: “Da me stesso non ho nulla, nulla che possa appagare veramente il mio cuore.<o:p></o:p></span></p><div style="text-align: justify;"> </div><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; line-height: normal; font-family: georgia; text-align: justify;"><span style=";font-size:85%;" >La mia più grande gioia è quella di sapere e di sentire che in ogni momento della mia vita sono amato da Dio con una tenerezza indicibile. Che Dio mi chiama con il mio nome e mi incoraggia, anche quando sono io a non amarmi, perché provo vergogna delle mie colpe o sono avvilito da troppe paure.<o:p></o:p></span></p><div style="text-align: justify;"> </div><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; line-height: normal; font-family: georgia; text-align: justify;"><span style=";font-size:85%;" >Ho fiducia: sono nelle mani del Padre.<o:p></o:p></span></p><div style="text-align: justify;"> </div><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; line-height: normal; font-family: georgia; text-align: justify;"><span style=";font-size:85%;" >E proprio perché l’amore del Padre è tutto per me, sono pronto a fare della mia vita un dono continuo”.<o:p></o:p></span></p><div style="text-align: justify;"> </div><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; line-height: normal; font-family: georgia; text-align: justify;"><span style=";font-size:85%;" >Ecco chi sono i santi.<o:p></o:p></span></p><div style="text-align: justify;"> </div><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; line-height: normal; font-family: georgia; text-align: justify;"><span style=";font-size:85%;" >Potremmo aggiungere: sono le tracce visibili dell’amore invisibile di Dio.<o:p></o:p></span></p><div style="text-align: justify;"> </div><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; line-height: normal; font-family: georgia; text-align: justify;"><span style=";font-size:85%;" >Proprio perché queste persone si sentono amate, senza alcun merito, trovano dentro di sé una disposizione, per così dire, naturale ad amare. E’ un amore che si traduce in premura, in comprensione, in mitezza, in misericordia.<o:p></o:p></span></p><div style="text-align: justify;"> </div><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; line-height: normal; font-family: georgia; text-align: justify;"><span style=";font-size:85%;" >A volte si rimane rattristati quando si ha l’impressione di vivere in un mondo arido, cinico, senza pietà, ma se si è più attenti si scopre un mondo sommerso dove circola la bontà più genuina, quella che non si mette mai in vista e che si esprime con la più grande naturalezza coniugandosi a volte con il sorriso, ma anche con un po’ di autoironia e di umorismo.<o:p></o:p></span></p><div style="text-align: justify;"> </div><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; line-height: normal; font-family: georgia; text-align: justify;"><span style=";font-size:85%;" >Oggi è la festa soprattutto dei santi anonimi nascosti in mezzo a noi.<o:p></o:p></span></p><div style="text-align: justify;"> </div><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; line-height: normal; font-family: georgia; text-align: justify;"><span style=";font-size:85%;" >Non è sempre facile riconoscerli, perché la santità autentica ama la discrezione, il nascondimento, l’umiltà.<o:p></o:p></span></p><div style="text-align: justify;"> </div><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; line-height: normal; font-family: georgia; text-align: justify;"><span style=";font-size:85%;" >Perciò non cerchiamo i santi dove l’aureola è già pronta.<o:p></o:p></span></p><div style="text-align: justify;"> </div><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; line-height: normal; font-family: georgia; text-align: justify;"><span style=";font-size:85%;" >Affidiamoci, nel cercarli, all’intuizione del cuore, a quell’improvviso sussulto, fatto di stupore e di gioia, che ci può procurare un volto, una parola, un gesto complice, una preghiera mormorata accanto a noi.<o:p></o:p></span></p><div style="text-align: justify;"> </div><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; line-height: normal; font-family: georgia; text-align: justify;"><span style=";font-size:85%;" >Sappiamo riconoscere anche noi la santità nascosta.<o:p></o:p></span></p><div style="text-align: justify;"> </div><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; line-height: normal; font-family: georgia; text-align: justify;"><span style=";font-size:85%;" >Apriamo i nostri occhi per riconoscere i santi che ci stanno accanto, uomini e donne che camminano leggeri sulla terra, sempre pronti a fare del bene, le tante mamme dalla dedizione instancabile che portano sul volto il segno della fatica, ma anche la luce di una pace inalterabile.<o:p></o:p></span></p><div style="text-align: justify;"> </div><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; line-height: normal; font-family: georgia; text-align: justify;"><span style=";font-size:85%;" >Mi viene in mente a questo proposito un detto che si trova nel Talmud: “Non potendo essere dappertutto, Dio creò le mamme”.<o:p></o:p></span></p><div style="text-align: justify;"> </div><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; line-height: normal; font-family: georgia; text-align: justify;"><span style=";font-size:85%;" >“Mi aggirerò tutta la vita nei paraggi dei santi”.<o:p></o:p></span></p><div style="text-align: justify;"> </div><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; line-height: normal; text-align: justify;"><span style=";font-family:";font-size:12pt;" ><span style="font-family: georgia;font-size:85%;" >Questo desiderio espresso da Cioran deve essere anche nostro, con la speranza di non andare troppo lontano, ma di trovare il primo santo in noi stessi, così come lo ha sognato l’amore del Padre.</span><o:p></o:p></span></p> don Luigi Pozzolihttp://www.blogger.com/profile/12849175491189054079noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-819306842891288059.post-49178813104630816992009-10-23T18:49:00.002+02:002011-12-03T16:27:32.616+01:00Dedicazione della chiesa cattedrale - 2009<div align="justify">Giovanni 10, 22-30<br />
<br />
Il tempio (oggi è la festa che ricorda il tempio più importante della diocesi, il Duomo) suggerisce diverse riflessioni che toccano il tema della presenza di Dio nella nostra vita.<br />
Il tempio sembra offrire subito una risposta: Dio lo si può incontrare proprio lì, in quella casa che gli uomini hanno costruito per lui.<br />
Ma questa risposta non soddisfa pienamente, perché è troppo riduttiva nei coti di Dio, il quale attraverso le parole di Gesù alla Samaritana, già aveva fatcapire che non intendeva limitare la propria presenza né al monte Garizim, dove si trovava il tempio dei Samaritani, né a Gerusalemme dove si trovava il grande tempio dei Giudei .<br />
E’ importante perciò contemplare l’immagine del tempio per vedere le correzioni o le precisazioni<br />
che bisogna apportare all’idea che esso sia la casa di Dio.<br />
Il tempio, per quanto grande, è limitato, e Dio è presenza senza confini.<br />
“Se salgo in cielo, là tu sei, se scendo agli inferi, eccoti” leggiamo nel salmo 138.<br />
E’ giusto pensare che Dio voglia legare la sua presenza a qualche luogo particolare (la dimensione corporea ee del nostrre ha bisogno di riferimenti concreti), ma senza mai dimenticare che, uscendo da un tempio, Dio lo possiamo ancora incontrare in ogni immagine del creato e ad ogni svolta del nostro cammino.<br />
Ogni cosa per chi ha lo sguardo affinato può diventare segno e sacramento della presenza<br />
di Dio.<br />
Ma Dio ama farsi trovare soprattutto nelle creature umane,che perciò diventano icone viventi di Dio.<br />
Ricordo una frase di Duhamel: “E’ tra le ciglia di un piccolo che i giusti intravedono Dio tre o quattro volte nella loro vita”.<br />
Ma è anche vero che i giusti, cioè quellio uno sguardo puro, possono vedere Dio in ogni volto.<br />
E’ certo che Dio non ama farsi rinchiuderspazi troppo ristretti, ma è amante di spazi liberi e aperti, dove palpiti una luce di bellezza o una nota di tenerezza.<br />
Ripartiamo, per un’ulteriore riflessione, dal tempio.<br />
Il tempio di pietra è una costruzione statica e inerte, per quanto possa esprimere, come nelle cattedrali gotiche, un movimento verso l’alto.<br />
Questa strutturale immobilità non potrebbe essere immagine di un Dio sedentario che sta immobile su un trono, come garante della legge della tradizione, o anche di una chiesa chiusa nelle sue certezze, separata dalla vita che si vive lungo i sentieri della storia, la dove l’umanità cerca a fatica di vincere la paura o la rassegnazione di fronte a un futuro che sembra ingovernabile?<br />
Anche questa impressione va corretta, perché il nostro Dio non ama l’immobilità.<br />
E’ un Dio nomade sempre in cammino con tutti quelli che sentono la passione di orizzonti sempre nuovi.<br />
Chi ci fa capire questo? E’ stato soprattutto Gesù coche evocano spesso un padrone il quale lascia la sua dimora per un viaggio lontano, non si sa dove.<br />
Lui stesso, Gesù, è sempre errabondo, come pastore (è un’immagine presente anche nel vangelo di questa domenica) che va cercando nuovi pascoli.<br />
Se Dio ama l’avventura, come è possibile che i credenti in Dio siano invece amanti dei recinti chiusi, dell’inamovibilità delle cose, delle tradizioni inerti, della ripetitività senza il gusto e il rischio dell’invenzione?<br />
Ci siamo lasciati guidare, nella nostra riflessione, dall’immagine del tempio di pietra.<br />
Da essa ci è venuta una lezione sulla fede.<br />
La vita di fede è perenne novità, movimento, amore.<br />
Tanti sono i giovani che dicono di non credere più.<br />
In un certo senso li capisco.<br />
Abbiamo dato l’impressione che la fede si debba vivere in spazi ristretti e soffocanti, dove si respira la noia, a contatto con gente che pretende di governare tutti i movimenti di Dio o che nella religione cerca soltanto compensazioni o garanzie oltre quelle di cui già dispone.<br />
Quando riusciremo a capire e che la vventura stupenda nella ricerca di Dio che sempre si lascia trovare (è lui, in realtà, che ci va cercando) e sempre ci porta più lontano, perché, una volta che ci sembra d’averlo raggiunto, è sempre altrove.<br />
Certo, nelle parole di Gesù c’è un cenno a momenti di particolare intimità tra lui e i suoi discepoli, là dove si parla delle pecore che ascoltano la sua voce.<br />
Questa voce sembra promettere una relazione di particolare tenerezza riservata da Gesù ai suoi discepoli, ma non bisogna esaurire questo accenno soltanto nella bellezza dell’ascolto della voce di Gesù.<br />
Questa voce è stata infatti anche un grido di protesta e di indignazione nei confronti di tutte le ipocrisie che Gesù riscontrava nella società del suo tempo.<br />
E’ bene ricordare che Gesù non vuole come discepoli individui indifferenti, apatici, inerti per i quali tutto va bene.<br />
Gesù non si fida dei tipi che, di fronte a certe situazioni vergognose, non reagiscono.<br />
Non è consentito fare finta di niente e rimanere in silenzio. Il Signore, per parte sua, ha scelto parole taglienti nei confronti di situazioni che mortificavano la dignità delle persone.<br />
Credo che sia proprio l’indignazione ciò che manca nel mondo d’oggi e pure nella Chiesa.<br />
L’indignazione dovrebbe essere un diritto fondamentale, anzi un preciso dovere morale.<br />
Eppure materiale per indignarsi, per fare esplodere il nostro sdegno, ce ne sarebbe in abbondanza. Tutte le volte che nella società vediamo trionfare il cinismo, il disincanto, il disamore, la mancanza di un’autentica passione per l’onestà, la lealtà, la giustizia, bisognerebbe sapere reagire con quella santa collera che ci è stata trasmessa da Gesù.<br />
A me dà sempre una grande emozione, entrando in una chiesa come la nostra, il fare memoria di quanti sono passati in questa chiesa, hanno pregato, hanno calpestato e consumato un poco le pietre del pavimento lasciandovi le tracce delle loro devozioni.<br />
Si tratta per lo più di creature oscure che irradiano una bellezza segreta: è la bellezza dell’umiltà, della semplicità, della docilità a un mistero che dà senso al proprio esistere.<br />
Sul cuore dei veri cercatori di Dio passa il vento dello Spirito ed essi diventano frammenti di luce destinati a risplendere per sempre nel firmamento di Dio.</div>don Luigi Pozzolihttp://www.blogger.com/profile/12849175491189054079noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-819306842891288059.post-33474148159990678212009-10-23T18:38:00.003+02:002009-10-23T18:46:48.562+02:00Assunzione della Beata Vergine Maria - 2009<div align="justify">Le feste liturgiche dedicate a Maria, come questa dell’Assunzione, ne celebrano per lo più i privilegi e la gloria.<br />A queste feste si accompagna spesso una certa enfasi devozionale che, mentre esalta la esemplarità straordinaria di Maria, rischia di farci dimenticare gli aspetti ordinari, quelli rappresentati dai limiti della nostra condizione umana.<br />Bisognerebbe non dimenticare mai che nei vangeli Maria occupa uno spazio molto modesto, senza alcun accenno a fatti prodigiosi che avessero qualche parentela con la gloria umana.Bernanos lo ha fatto osservare con molta forza. “La Santa Vergine non ha avuto né trionfo né miracolo. Suo Figlio non ha permesso che la gloria umana la sfiorasse”.<br />Prima perciò di contemplare Maria come regina del cielo, cerchiamo di umanizzarla, di renderla vicina, di vederla come figlia di questa terra.<br />Del resto, quando ha parlato di umiltà, lei stessa ha invitato a considerare la sua condizione, fatta di incombenze e di adempimenti, che in nulla dovevano distinguerla dalle altre donne di Nazaret.<br />Come possiamo immaginare le sue giornate?<br />Era una casalinga, diremmo oggi, che si occupava delle faccende di casa, come quella di attingere acqua all’unica fonte del villaggio e di lavarvi i panni in compagnia di altre donne.<br />Era una madre di famiglia che doveva seguire con trepidazione la crescita del figlio.<br />Era la moglie di un artigiano del villaggio che doveva temere per tutte le incertezze economiche legate al lavoro.<br />Bisognava perciò fare tante piccole economie e cogliere tutte le occasioni possibili, soprattutto al tempo del raccolto, per integrare con qualche guadagno supplementare le poche risorse disponibili.<br />In quella casa non si conosceva la ricchezza.<br />Maria dunque è stata una donna come tante altre, in quel villaggio della Galilea.<br />Come ha potuto, da questa condizione di radicale umiltà, elevarsi così tanto da raggiungere, anche con il corpo, il Figlio nella gloria della risurrezione?<br />La risposta la troviamo nelle parole del Magnificat e di Elisabetta<br />“Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente” dice Maria.<br />Ed Elisabetta: “Beata colei che ha creduto”.<br />Maria rivela un’esistenza che si lascia colmare dai doni di Dio, dalle cose grandi che Dio ama realizzare nelle persone umili.<br />Trovo molto bella questa osservazione di un autore francese: ”Il vero possesso si realizza solo nell’abbandono. Si posseggono solo i regali, non le prede”. (Jean Bastaire).<br />Noi che abbiamo l’abitudine di mettere su tutte le cose le nostre mani possessive e predatrici, le perdiamo.<br />Maria invece ha offerto un cuore accogliente e riconoscente al dono di Dio (“Ha creduto” come dice Elisabetta) e questo dono ha preso dimora in lei, prima nel suo grembo di madre, poi nella sua casa di Nazaret e nel suo cuore di discepola del Figlio.<br />All’interno della sua vita ordinaria ha dato spazio all’azione di Dio di cui ha sentito il fascino e la forza ascensionale tanto da essere anch’essa associata allo slancio della risurrezione.<br />A pensaci bene, non poteva avvenire diversamente.<br />Aveva detto Gesù:“ Se uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte) (Gv 8, 51).<br />Chi più di Maria ha prestato un ascolto fiducioso e docile alla parola di Gesù?<br />Del resto, è una legge dell’amore che chi ama, venga a trovarsi là dove è la persona amata.<br />Elias Canetti ha scritto: “Chi ama, va in giro con un cuore altrui. Chi muore, porta con sé nella tomba il cuore di un altro e il suo cuore continua a vivere in un’altra persona”.<br />Alla luce di questa verità , possiamo dire che Maria, il giorno della Assunzione, ha ritrovato il suo cuore in Gesù e Gesù ha ritrovato il suo cuore nella madre, per sempre unita a lui nella gloria.<br />Che cosa ci suggerisce questo mistero di Maria che valga a trasfigurare un poco le nostre esistenze?<br />Oggi Maria non solo ci insegna le vie del Vangelo, quelle, in particolare, della umiltà, della , semplicità, della accoglienza fiduciosa e gioiosa dei doni del Signore, ma, come vangelo tradotto in immagine di pura bellezza, ci indica quali sono gli orizzonti ultimi della nostra vita che danno un senso a tutto quello che stiamo vivendo.<br />Maria ci aiuta a fare memoria del nostro futuro.<br />E poiché ci è promesso un futuro di luce e di bellezza, questa luce può trasfigurare già la vita presente e ci consente di amarla anche quando ci sembra greve e opaca.<br />Questa luce trasfigura in particolare l’opacità dei nostri corpi.<br />Un riverbero della luce dell’ assunzione si riflette su tutti i corpi,, sui corpi provati dalle malattie,sui corpi umiliati delle prostitute, sui corpi inerti delle persone che sentono il peso degli anni-<br />E d’altra parte la stessa luce esalta il lavoro di tutti coloro che si prodigano nel curare i corpi con grande rispetto della loro dignità.<br />Il Magnificat dell’Assunzione dovrebbe risuonare oggi soprattutto nelle cliniche e negli ospedali, negli ospizi e nei penitenziari.<br />Anche nei cimiteri.<br />L’Assunzione è come il riflesso della luce pasquale, una sorta di arcobaleno su un cielo ancora tempestoso o come l’eco di quell’alleluia che ha salutato nel cuore della nostra fede il grande evento della risurrezione.</div>don Luigi Pozzolihttp://www.blogger.com/profile/12849175491189054079noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-819306842891288059.post-66663130838394531552009-07-06T13:32:00.001+02:002009-07-06T14:32:45.521+02:00<div align="justify"><br />V dopo Pentecoste (R.A.: anno B)<br /><br />Giovanni 12, 35-50<br /><br />In questa pagina del vangelo di Giovanni c’è un tema che si impone immediatamente alla nostra attenzione: è il tema della luce.<br />Tema molto suggestivo quello della luce, che trova in noi risonanze profonde, perché tutti cerchiamo la luce e ogni giorno la invochiamo.<br />E sentiamo che non ci basta la luce per gli occhi e neppure la luce per la mente, ma che ci occorre una luce che ci raggiunga in profondità, in quella dimensione segreta del nostro esistere che siamo soliti chiamare cuore.<br />La scienza, certo, ci aiuta a vivere: ci permette di risolvere tanti problemi, di vincere tante paure.<br />Ma può bastare se manca il senso di quello che viviamo, se manca la luce del cuore?<br />Può bastare se appena c’è un po’di dolore non capiamo più nulla, se al minimo evento doloroso il cammino della vita, che prima credevamo lineare, diventa un labirinto senza uscita?<br />“Si vede bene solo con il cuore” diceva Saint-Exupéry.<br />Vorremmo perciò una luce che accarezzasse il volto, gli occhi, gli affetti, i concetti, le parole, le cose: una luce che accarezzasse soprattutto il cuore.<br />Esiste questa luce ?<br />La luce, ha detto Einstein, è l’ombra di Dio che passa.<br />Questa ombra si è posata nel grembo di Maria (“Su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo” ha detto l’angelo dell’annunciazione) e il bambino che sarebbe nato a Betlemme sarebbe stato la luce del mondo, ”la luce vera, quella che illumina ogni uomo”.<br />La parola di Dio, che è luce, si è incarnata in Gesù, ma per il fatto che noi siamo uniti a lui, si è incarnata e si incarna in ciascuno di noi.<br />Se voglio sapere qualcosa sul mistero del nascere, dell’amare, del soffrire, del morire, mi rivolgo a Gesù e a quella luce che egli ha deposto in me.<br />Ed è luce che si esprime attraverso i gesti della compassione e dell’amore.<br />Ha detto Gesù, in un altro passo di questo vangelo: “Compite le opere della luce finché dura il giorno”.<br />Quali sono le opere della luce?<br />Sono quelle che nascono dalla sapienza della misericordia, sono le opere della carità.<br />Allora si diventa presenze luminose, capaci di portare luce attorno a sé.<br />Ed è facile riconoscere queste presenze.<br />Già il volto è capace di far trasparire la luce interiore.<br />Penso al volto di Gesù: doveva essere un volto particolarmente luminoso, se tanti ne hanno sentito immediatamente il fascino e la bellezza: era la trasparenza più pura e palpitante dell’amore del Padre.<br />Trasparenza: mi sembra la parola giusta.<br />Trasparenza per non impedire la luce; trasparenza per non offuscare una presenza.<br />Si tratta di lasciar trasparire l’azione del Signore.<br />Certo, ci sono volti intristiti dal fatto che riflettono solo paure.<br />Sono i volti di quelle persone che si lasciano catturare dalle analisi sottili e spietate del nostro tempo e diventano testimoni solo delle ombre e delle oscurità che gravano sulle nostre esistenze.<br />Ma per fortuna ci sono anche i testimoni della luce che sanno parlare di speranza e di amore.<br />Sono persone che custodiscono questa pacificante certezza: la vita ha un senso perché c’è qualcuno che ci ama.<br />Proprio perché queste persone si sentono amate, senza alcun merito, trovano dentro di sé una disposizione, per così dire, naturale ad amare.<br />E’un amore che si traduce in comprensione, in mitezza, in misericordia.<br />A volte abbiamo l’impressione di vivere in un mondo arido, cinico, senza pietà, ma se si è più attenti si scopre un mondo sommerso dove circola la bontà più genuina, quella che non si mette mai in vista (il vero bene si nasconde sempre dietro un velo di pudore), ma che si esprime con la più grande naturalezza coniugandosi a volte non solo con il sorriso, ma anche con un po’di autoironia e di umorismo.<br />Dio ci dona il suo amore che diventa luce e senso per il nostro cammino.<br />Noi siamo chiamati a donare amore perché sia luce per il cammino degli altri.<br />Anche il piccolo gesto è importante.<br />Perché si rischiari il cielo della nostra vita sia della vita di qualche fratello che abbia bisogno di noi.</div>don Luigi Pozzolihttp://www.blogger.com/profile/12849175491189054079noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-819306842891288059.post-45239733520519091172009-06-21T16:47:00.001+02:002009-06-21T16:50:21.337+02:00<div align="justify">III dopo Pentecoste<br />Gen 2, 18-25<br />Ef 5,21-33<br />Mc 10,1-12<br /><br />C’è un legame molto stretto tra il Vangelo e la prima lettura.<br />Alcuni farisei si avvicinano a Gesù e, per metterlo alla prova, gli chiedono se sia lecito ad un uomo rimandare la propria moglie.<br />Il problema che viene sollevato è quello del divorzio. Dopo la creazione, è un problema che ritorna incessantemente, fino ai giorni nostri. E il fatto che il divorzio sia inteso come una questione che si può risolvere per vie legali non diminuisce la sofferenza e il senso di fallimento che porta con sé.<br />Secondo il racconto della Genesi, al quale Gesù fa riferimento, Dio aveva creato il mondo lungo una successione di giorni e a ogni tappa di questo percorso creativo, contemplando la sua opera, aveva concluso che tutto era riuscito bene: “Dio vide: era bello”.<br />Solo la creazione di Adamo non lo aveva completamente soddisfatto. Lo vedeva infatti solo e triste. Triste perché solo. Bisognava in qualche modo rimediare.<br />E’ per questo che Dio porta l’uomo a contemplare le bestie dei campi e gli uccelli dell’aria.<br />Dare un nome, nella mentalità semitica, voleva dire affermare la propria superiorità.<br />Chissà -deve aver pensato- forse tra tutte queste creature gli capiterà di trovare quella che potrà salvarlo dalla sua solitudine.<br />Visto inutile questo tentativo, ne inventa un altro. Fa cadere su Adamo un sonno profondo, sonno che sta a significare l’estasi, di cui si parla spesso nella Bibbia, cioè lo stupore meraviglioso che prende l’uomo tutte le volte che Dio sta operando qualcosa di grande.<br />E qui si incontra la storia della costola, di questa curiosa chirurgia divina su cui in passato si sono fatti tanti commenti ironici e divertiti.<br />In passato senza dubbio, ma ora non più, perché una migliore conoscenza del linguaggio simbolico ha permesso di capire questa immagine, che esprime una verità grandissima e meravigliosa: per il fatto che Dio ha formato Eva da una costola di Adamo (e si potrebbe anche dire che ha preso un parte del cuore di Adamo), la donna è della stessa natura, ha la stessa dignità e gode dei medesimi diritti dell’uomo.<br />A San Tommaso viene attribuita, a torto, perché pare che non l’abbia mai detta, questa frase: “la donna è un errore della Natura”.<br />Il racconto biblico ci dice invece che la donna è una meravigliosa invenzione di Dio, per nulla inferiore a quella con cui Dio ha creato l’uomo.<br />Si può capire perché Adamo, davanti alla donna, si abbandoni a un canto d’amore: “Questa volta essa è carne della mia carne e osso delle mie ossa”. Secondo la Bibbia si tratta, oltre che della prima parola pronunciata dall’uomo, del primo di tutti i canti d’amore.<br />Così Dio ha sognato e realizzato il matrimonio. Dio è amore, Dio è relazione, e anche la creatura umana, così come Dio l’ha voluta, è amore e relazione. Immagine di Dio non è l’uomo solo o la donna sola, ma l’uomo e la donna insieme, uguali per dignità, chiamati a una complementarietà fatta di tenerezza, di stupore, di gioia.<br />Questo sogno in seguito, ci fa sapere il Vangelo, è stato tradito. Non sorprende perciò che da immagini di vita si passi a immagini di morte.<br />A evocare la morte è anzitutto la durezza di cuore di cui parla Gesù, la <em>sclerocardia</em> che si trova net testo greco. La sclerocardia è la sclerosi del cuore, il rifiuto del cuore umano di battere al ritmo del cuore di Dio, così da accordarsi al suo sogno. Quando avviene questo rifiuto è la morte dell’amore: quando in una coppia entra la sclerocardia non si è più rivolti al futuro, con la freschezza e la fiducia di chi si muove incontro alla novità attesa, ma ci si rivolge al passato per rinfacciarsi le cose peggiori. Il sorgere di una coppia è un atto di nascita; un divorzio, quando all’amore subentra il tribunale, è un atto di decesso.<br />Purtroppo la sclerocardia è così diffusa che, volendo parafrasare un passo famoso del Vangelo, ci sarebbe da domandarsi: “quando il Figlio dell’uomo tornerà, troverà ancora sulla terra delle coppie che siano capaci di amarsi veramente?”<br />Ma non è il caso di seguire la linea delle lamentazioni e di avere sempre davanti immagini di fallimenti e di morte. E’ meglio tornare a parlare di vita, a celebrare l’amore nelle sue forme più limpide, secondo il sogno che Gesù ci invita a contemplare parlando dell’inizio della creazione.<br />E’ sempre bello contemplare l’amore che, come dice l’apostolo Paolo, è la sola vera ricchezza della vita.<br />Ciascuno può dire: “io vivo nella misura in cui amo; esisto nella misura in cui mi sento amato”.<br />C’è stato chi ha detto, a proposito del bacio sulle labbra: “Essi si versano la loro anima l’uno nell’altra”. Pensate che sia una frase di uno psicoterapeuta dei nostri tempi? No: appartiene a un santo del XVII secolo, San Francesco di Sales!<br />Ma la Bibbia aveva detto qualcosa di immensamente più grande, quando ha parlato dell’amore come sacramento di Dio, rivelazione e dono dell’amore di Dio.<br />Dio è nello sguardo di quelli che si amano. Quando si ama una persona, Dio è presente sul volto dell’altro e il volto dell’essere amato diventa una manifestazione di Dio.<br />Queste suggestioni sull’amore divino che troviamo nella Bibbia ci permettono non soltanto di scoprire dove sta il segreto della fedeltà nell’amore, ma anche di ripensare nella luce dell’amore la nostra vita di fede.<br />Il pericolo della sclerocardia può guastare anche i nostri rapporti con Dio: succede quando si aderisce a un credo o a una pratica religiosa per tradizione, per inerzia, per un calcolo interessato; quando si pensa di avere dei meriti di fronte a Dio e alla Chiesa e si pretende che siano riconosciuti, o ancora quando non si è capaci di esprimere gioia e stupore per i doni che Dio ci elargisce.<br />Le parole del Vangelo “ciò che Dio ha unito l’uomo non separi” non si rivolgono solo agli sposi, ma a ciascuno di noi, che per il battesimo siamo diventati una sola cosa con il Signore.<br />Per questo possiamo dire:<br /><em>Per il battesimo siamo diventati una sola cosa con te, Signore, e vogliamo vegliare per non spezzare quell’unità che tu stesso ci hai donato. Conservaci fedeli all’alleanza del nostro battesimo e fa’ che cresciamo nell’amore e nella fedeltà, verso di te e i nostri fratelli.<br /><br /></em> </div>don Luigi Pozzolihttp://www.blogger.com/profile/12849175491189054079noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-819306842891288059.post-85059034537108508652009-06-03T15:05:00.000+02:002009-06-03T15:06:27.122+02:00<div align="justify">Pentecoste (R.A.)<br />Gv 14,15-20<br /><br /><br />La chiesa celebra oggi il dono dello Spirito.<br />Che cosa sia lo Spirito, non è facile dirlo.<br />Il catechismo ci suggerisce la risposta”Lo spirito è una delle tre persone divine”.<br />Ma delle tre persone divine rimane la più misteriosa.<br />Il Padre e il Figlio hanno almeno un nome che richiama un volto.<br />La parola Spirito, che significa soffio, respiro, richiama piuttosto l’attività con cui si manifesta.<br />Perciò ci è più facile parlare dell’azione dello Spirito.<br />Lo faremo seguendo il racconto che della Pentecoste ci ha dato Luca negli Atti degli Apostoli.<br />Ciò che sembra importante osservare è il passaggio da una condizione mortificata dalla paura a una condizione risvegliata dalla speranza.<br />La paura la conosciamo tutti.<br /> Ciascuno ha una propria vulnerabilità e patisce l’angoscia nel sentirsi esposto a tanti rischi e sofferenze.<br />Ma oggi, in cui si celebra la nascita della chiesa, vorrei parlare delle paure di cui soffre la<br />chiesa.<br />La chiesa,almeno nei pastori che la governano, soffre anzitutto di una sorte di sindrome dell’accerchiamento.<br />Si sente cioè assediata da forze ostili che la vorrebbero privata della sua libertà.<br /> Ma la chiesa soffre anche e soprattutto per una progressiva decristianizzazione della società, per l’assottigliarsi del numero di coloro che si mantengono fedeli alle pratiche religiose, per l’eccessiva libertà che ciascuno si prende di fronte ai principi morali che essa non si stanca di richiamare, per il moltiplicarsi di casi di infedeltà, anche all’interno del mondo ecclesiastico.<br />D’altra parte la chiesa non può facilmente consolarsi per il consenso che essa ottiene da molti sedicenti amici ( i cosiddetti atei devoti) i quali ostentano una vicinanza per motivi di pura convenienza.<br />Ad essi poco importa di Gesù Cristo e della fede cristiana, mentre interessa un cristianesimo da utilizzare per fini politici, auspicando per l’Europa una identità cristiana intesa come baluardo difensivo contro i non europei.<br />Vale la pena di ricordare le parole ammonitrici che sono racchiuse in una sorta di aforisma:<br />“E’ meglio essere cristiani senza dirlo che proclamarlo senza esserlo”.<br />Torniamo alle paure di cui soffre la chiesa.<br />Sono paure molto serie tanto da riguardare la sua stessa sopravvivenza.<br /> ”Siamo gli ultimi cristiani?” si è chiesto recentemente padre Tillard, un attento osservatore dei grandi fenomeni della vita sociale e, in particolare, delle vicende della chiesa nel mondo d’oggi.<br />Ma questa interrogazione potrebbe essere accantonata per lasciare spazio ad un’altra:<br />“E se dovessimo essere noi i primi cristiani?”.<br />Di una nuova Pentecoste ha parlato papa Giovanni XXIII a chiusura della prima sessione del concilio, una Pentecoste che dovrebbe assicurare un balzo in avanti del regno di Cristo nel mondo.<br />Dove e come potrebbe realizzarsi questa presenza dello Spirito pentecostale?<br />Guardiamo a quello che ci narrano gli Atti .<br />C’ è un vento gagliardo che apre le porte del cenacolo e ci sono persone che, asserragliate dentro dalla paura, trovano il coraggio di uscire all’aperto.<br />La chiesa, è stato detto, con la Pentecoste acquista il coraggio di scendere in piazza.<br />Ma non bisogna forzare troppo questa espressione.<br />Del resto negli Atti non si parla di piazze, ma di una folla che si era raccolta davanti alla casa dove stavano i discepoli perché aveva avvertito che là dentro stava succedendo qualcosa di strano. Parlare di grande folla e di piazza rappresenta una forzatura del testo che può fare comodo a quanti vorrebbero una chiesa che non solo non tema la piazza, ma la ami e la cerchi.<br />In piazza le manifestazioni di massa prendono il sopravvento sull’incontro con le singole persone e gli applausi diventano più importanti delle vibrazioni dei cuori.<br />La piazza diventa il luogo dove viene allestito lo spettacolo religioso.<br />Si cerca perciò di stupire, di impressionare, di suscitare entusiasmi non importa se epidermici e di breve durata.<br />Certamente è bello osservare che la chiesa il giorno di Pentecoste abbia il coraggio di entrare in rapporto con la grande famiglia umana per portare a tutti il messaggio che le è stato affidato.<br />Ma è bello pensare anche ad una chiesa che rientri, per così dire, in casa.<br />La chiesa di Pentecoste è anche la chiesa della interiorità.<br />E l’interiorità è possibile solo se in certi momenti si chiudono le porte, mettendo a tacere le voci e i richiami della piazza.<br />La chiesa , per imparare a parlare a tutti, deve imparare prima di tutto il linguaggio del silenzio.<br />Per manifestarsi, deve rinunciare ad apparire e ad autocelebrarsi.<br />Questa è la via che lo Spirito, il quale ci è dato come consolatore, ci suggerisce come l’unica<br />via che ci permette di vincere le nostre paure.<br />“Ma lo Spirito Santo è ancora presente in mezzo a noi?” si chiedono molti cristiani amareggiati per le troppe delusioni patite in questi ultimi cinquanta anni, da quando cioè si è chiuso il concilio.<br />La risposta la prendo dalla <em>Lettera sullo Spirito</em> che il nostro card. Martini scrisse nel 1997:<br />“Lo Spirito c’è anche oggi, come al tempo di Gesù e degli Apostoli: c’è e sta operando, arriva prima di noi, lavora più di noi e meglio di noi; a noi non tocca né seminarlo né svegliarlo, ma anzitutto riconoscerlo, accoglierlo, assecondarlo, fargli strada, andargli dietro.<br /> C’è, e non si è mai perso d’animo rispetto al nostro tempo; al contrario sorride, danza, penetra, investe, avvolge arriva là dove mai avremmo immaginato. Di fronte alla crisi della nostra epoca, che è la perdita del senso dell’invisibile e del trascendente, la crisi del senso di Dio, lo Spirito sta giocando, nell’invisibilità e nella piccolezza, la sua partita vittoriosa”.<br />Scoprire i segni di questa presenza, nella luce del Concilio Vaticano II, è la nostra speranza e la nostra gioia.</div>don Luigi Pozzolihttp://www.blogger.com/profile/12849175491189054079noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-819306842891288059.post-38362729885561173472009-05-18T20:22:00.000+02:002009-05-18T20:23:04.015+02:00VI Domenica di Pasqua (R.A.)<div align="justify"><br />Giovanni 15, 26 – 16,4.<br /><br />Ci avviciniamo alla Pentecoste.<br />Perciò la liturgia si serve del vangelo di questa domenica (si tratta di un brano preso dal primo discorso di addio di Gesù) per introdurci alla conoscenza di colui che sarà il protagonista di<br /> quell’evento così prodigioso: lo Spirito Santo.<br />Bisogna subito aggiungere che solo in Giovanni e mai negli altri scritti del Nuovo Testamento lo Spirito Santo viene chiamato Paraclito.<br />Che cosa significa questo strano appellativo?<br />E’ una parola greca che significa anzitutto consolatore, ma anche difensore, avvocato, uno che sta dalla nostra parte.<br />La sua funzione è dunque quella di consolare come pure di difenderci nel caso in cui la nostra fede dovesse subire attacchi insidiosi.<br />Ma dalle parole di Gesù ci viene confidato che lui stesso è venuto tra noi come Paraclito, prima ancora che i discepoli ricevessero il dono dello Spirito, il giorno di Pentecoste: “Io pregherò il Padre, perché vi dia un altro consolatore, perché resti con voi per sempre”.<br />Il primo consolatore è dunque lui, o meglio, è lui strettamente unito allo Spirito.<br />Tutti i vangeli sono lì a testimoniare la sua volontà di farsi servo di tutti, soprattutto di quelli che la società tende a escludere, di coloro che sono sprovvisti di titoli, di onori ufficiali, di dignità nelle gerarchie che contano: individui senza referenze né diplomi, senza funzioni o ruoli riconosciuti.<br />Lui si trova bene anche tra la gente che viene disprezzata, come i pubblicani, i quali, avendo il compito di riscuotere le imposte in nome del potere romano, erano considerati disonesti e sfruttatori.<br />In poche parole, Gesù si colloca tra coloro che sono costretti a vivere ai margini della società.<br /> Fosse presente oggi nel nostro mondo, lo troveremmo accanto alle persone che maggiormente soffrono la loro condizione di solitudine: quelli che hanno perso il lavoro o non lo trovano, quelli che non trovano ospitalità nel nostro paese, e che vengono respinti al loro paese d’origine da cui sono fuggiti, spinti dalla fame o sotto il terrore della violenza.<br />Questa è la prima ragione che fa di Gesù il primo Paraclito del vangelo, il primo consolatore.<br />Del resto, questa azione consolatoria è presente anche nel vangelo che è stato letto.<br />Pensiamo allo smarrimento in cui dovevano trovarsi i discepoli mentre prendevano coscienza che Gesù li avrebbe presto lasciati e con lui sarebbe finita per sempre anche la loro meravigliosa avventura.<br />Che cosa sarebbe stata la loro vita senza di lui?<br />Che cosa sarebbe rimasto di tanti gesti commoventi compiuti da Gesù, di tante parole stupende raccolte dalle sue labbra?<br />Sarebbe rimasto solo il ricordo, un ricordo destinato a impallidire fino a spegnersi per sempre.<br />E la tristezza doveva occupare il cuore dei suoi discepoli.<br />E Gesù capisce. Intuisce con una sensibilità che potremmo chiamare materna la delusione profonda che dovevano patire i suoi discepoli.<br />Perciò, mentre dà loro l’addio sapendo quale sarebbe stata, di lì a poco, la sua fine, si preoccupa di mitigare almeno la loro tristezza.<br />In che modo?<br />Quando una persona parte per un paese lontano senza la prospettiva di ritornare a rivedere la sua casa, i suoi famigliari e gli amici più cari, quando questo paese lontano è quello che si dischiude al di là della morte, cerca di tenere vivo il suo ricordo lasciando qualche messaggio particolarmente toccante o lasciando in eredità le cose che lo hanno accompagnato nel suo percorso, mentre era in vita.<br />Gesù, che sta per lasciare i suoi discepoli, ha anche lui qualcosa da trasmettere loro in sua memoria.<br />No, “non vi lascerò orfani” promette ai discepoli che già si sentivano da lui abbandonati.<br />E questa promessa si precisa attraverso due doni meravigliosi. Il primo è l’eucaristia con cui il Signore assicura la sua presenza viva, il secondo è la promessa dello Spirito che sarebbe venuto a continuare l’insegnamento di Gesù tanto che qualcuno lo ha definito la presenza invisibile di Gesù.<br />Ecco come Gesù ha voluto consolare i suoi amici: aderendo pienamente al primo significato della parola paracleto che vuol dire consolatore.<br />Ma c’è anche l’altro significato di questa parola che, abbiamo visto, sta ad indicare colui che si prende cura di noi come avvocato difensore.<br />E’ possibile vedere Gesù anche in questo ruolo?<br />Il vangelo non è fatto solo di parole dolci, misurate, gradevoli all’ascolto, ma anche di parole aspre, scandalose, che ti urtano e ti obbligano a riflettere. E il tono dei discorsi di Gesù non è quello di un saggio che si compiaccia del proprio equilibrio interiore, ma quello di una coscienza indignata, incapace di rassegnarsi e di accettare il corso delle cose.<br />C’era in Gesù troppo amore per gli uomini. Impossibile per lui trattenere dentro di sé l’ardente desiderio di convertirli, di aprire loro gli occhi e di aiutarli a vivere. Da qui l’impazienza e l’irritazione in presenza di gente che non ha nemmeno alcuna coscienza delle ricchezze spirituali che porta con sé. Bisognerebbe, a questo proposito, immaginare quale potrebbe essere il comportamento di Gesù di fronte al rischio, al pericolo di spiritualizzare troppo il cristianesimo. Certo non approverebbe questa tendenza in atto a spiritualizzare la realtà, basti pensare ad esempio a come il regno di Dio sia stato spiritualizzato, per cui la salvezza è vista come la salvezza dell’anima, il regno di Dio è vio stesclusivamente come l’aldilà. In questo modo non c’è nessun punto d’aggancio con la realtà, con la concretezza storica della vita. Gesù, invece, ci richiamerebbe a fare memoria delle sue parole che sono parole concrete, che incidono non soltanto dentro l’uomo, ma anche nel sociale, nel politico e in tutti gli aspetti della nostra vita.<br />E ci farebbe capire che di fronte a certe forme palesi di ingiustizia presenti nel nostro mondo, di fronte all’arroganza di certi poteri, di fronte a menzogne spacciate per sacrosanta verità, l’indignazione non solo è ammissibile, ma è doverosa. <br />La missione dello Spirito Paraclito si ricongiunge con quella di Gesù Paraclito. E insieme sono uniti al Padre.<br />Perciò, se uno vuole contemplare la sorgente stessa dell’amore, se uno vuole penetrare nel cuore del Padre, là dov’è nato il mondo e la sua bellezza, bisogna che prenda questo cammino che è il Cristo: (nessuno va al Padre se non per mezzo di Cristo), e se vuole avvicinarsi a Cristo se vuole contemplare il Padre con gli occhi del Figlio unico, bisogna che lasci lo Spirito invadere il suo cuore con la sua luce, bisogna che implori umilmente:<br />“Vieni, Spirito Santo!<br />Vieni, luce dei nostri cuori!<br />Vieni, consolatore sovrano!<br />Vieni, ospite dolcissimo delle nostre anime!”. </div>don Luigi Pozzolihttp://www.blogger.com/profile/12849175491189054079noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-819306842891288059.post-54093609694032213142009-05-06T19:35:00.000+02:002009-05-06T19:36:20.326+02:00IV Domenica di Pasqua (R.A.)<div align="justify"><br />Giovanni 10, 27-30<br /><br />Succede a volte che durante le letture della messa si rimanga scossi o commossi, toccati comunque e coinvolti.<br />E ci si domanda:”Perché questo fervore o questa passione inesprimibile, perché questo intenerimento o questo senso di pace profonda?”.<br />E’ l’esperienza che forse abbiamo fatto anche oggi, soprattutto durante la lettura del vangelo.<br />Si tratta di un breve testo di Giovanni che fa parte di quel discorso in cui Gesù, provocato dai giudei, si presenta come il buon pastore.<br />Sono tre le parole che meritano di essere approfondite, per renderci conto della felicità rivelativa di questo testo.<br />La prima parla è il verbo conoscere.<br />“Io le conosco” dice Gesù parlando delle pecore.<br />E altrove si legge: “Le mie pecore conoscono me”( Gv 10, 14).<br />Noi purtroppo siamo portati a privilegiare le nostre facoltà mentali per cui confondiamo spesso la conoscenza con l’erudizione o il sapere.<br />Sappiamo molte cose su diversi argomenti, ma non è detto che questo sia un vero conoscere.<br />Un teologo può possedere molte nozioni su Dio , ma questo non significa che conosca Dio.<br />Per arrivare a una vera conoscenza, bisogna che ci sia un rapporto mistico con Dio, una comunione molto stretta con la sua parola (è quello che i Padri della chiesa e molti autori spirituali hanno chiamato “manducazione della Parola”): occorre un’ esperienza esistenziale che coinvolga tutta la persona.<br />Non si dimentichi che nella Bibbia il verbo conoscere viene applicato alla esperienza amorosa di due sposi.<br />E nel libro del Siracide si legge: “Dio ha dato agli uomini un cuore per riflettere”.<br />Certamente il cuore è fatto per amare, ma c’è pure un’intelligenza dell’amore.<br />E’ quella intelligenza sensibile e intuitiva che è propria degli innamorati, dei poeti, dei mistici.<br />Di questa intelligenza una persona semplice può godere più di un principe della chiesa o di un grande teologo.<br />Se non fosse così, Dio sarebbe un lusso dei ricchi e degli intellettuali.<br />In realtà si tratta di un privilegio riservato a coloro che, vivendo strettamente uniti a Cristo, si trovano partecipi della conoscenza che Cristo ha del Padre.<br />“Io e il Padre siamo una cosa sola” ha detto Gesù.<br />Con Cristo entriamo in un tipo di conoscenza del mistero di Dio che non ha nulla di presuntuoso o di possessivo.<br />E’ una conoscenza velata di pudore come fosse una carezza.<br />Una carezza dice tutta la tenerezza dell’amore che non si appropria di nulla, riceve tutto e di tutto rende grazie.<br />C’è un’altra parola nel testo di Giovanni che merita di essere approfondita.<br />E’ il verbo ascoltare che viene usato da Gesù quando dice: “Le mie pecore ascoltano la mia voce”.<br />Già la parola voce è particolarmente espressiva: vuol dire che è in gioco un rapporto molto stretto.<br />La voce o meglio, il tono della voce, assieme allo sguardo e al volto, esprime qualcosa almeno della profonda identità di una persona.<br />Lo sanno bene gli sposi, i fidanzati, gli amici per i quali la modulazione della voce a volte risulta più significativa delle parole che vengono dette.<br />Perciò l’ascolto di cui parla Gesù è un’esperienza che va ben oltre il semplice fatto di percepire parole o suoni o messaggi.<br />Si può udire senza ascoltare, come più volte hanno deplorato i profeti e Gesù stesso: “Il cuore di questo popolo si è indurito, sono diventati duri di orecchi” (Mt 13,14).<br />E noi, che ascolto accordiamo a Gesù?<br />Non basta essere frequentatori della parola del Signore.<br />Se nella parola del Signore cerchiamo soltanto una conferma di ciò che crediamo già di sapere mentre censuriamo quello che ci scuote e ci mette a disagio, vuol dire che anche noi siamo diventati “duri di orecchi”.<br />Ma neppure possiamo dire di essere in ascolto se dovessimo separare il messaggio del Vangelo da colui che ce lo ha affidato.<br />L’ascolto vero richiede un atteggiamento fiducioso e docile nei confronti di una persona, come del resto suggerisce il verbo latino oboedio (ubbidisco) che è composto dal verbo audio (ascolto).<br />Dovremmo perciò chiedere spesso la grazia di sapere ascoltare dicendo: “Signore, fa’ che la tua voce mi raggiunga e penetri nel mio cuore come la voce di una persona amata a cui ci si consegna con tutta la propria fiducia”.<br />Infine ci sarebbe da riflettere sulla vita eterna promessa da Gesù: ”Io do loro la vita eterna”.<br />Sono tante le parole del linguaggio religioso che non dicono più nulla perché sono diventate vuote e inespressive.<br />Che cosa può suggerire la parola “vita eterna” al disperato, al drogato, al marito o alla moglie che vedono il loro matrimonio fallito, a tutti coloro che sentono la fatica di trovare ogni giorno una ragione per vivere?<br />Bisognerebbe che ci mettessimo in rapporto con Gesù il quale ci direbbe: “Che cosa vuol dire per te vivere?.<br />Non è forse vero che tu hai l’impressione di vivere soprattutto quando stai vivendo un’esperienza di amore, quando ti senti amato e godi di riamare?<br />Se vivere è questo, ricordati che c’è chi ti ama e continuerà ad amarti con una sorta di irriducibile ostinazione.<br />Il suo amore è così grande che non c’è niente o nessuno che lo possa cancellare”.<br />Questa è la vita eterna che già ora possiamo sperimentare.<br />Si pensi alla gioia di un bambino quando riceve dal papà la mano o viene condotto per mano.<br /> Si sente sicuro, non ha più paura di nulla, si vede accettato come una persona meritevole di ogni attenzione.<br />In questi termini Gesù ci ha parlato della vita eterna: è una vita affidata tutta alla mano del Signore, mano forte e buona: è la mano di un padre.<br />Godiamo dunque di questa rivelazione che nel vangelo è tra le più consolanti che ci sia dato di incontrare. <br />Se poi vogliamo dare una risposta a questo nostro Dio così prodigo di amore, sappiamo quale è la via da seguire.<br />E’vicino a Dio chi sa coltivare una grande magnanimità, un grandezza d’animo per cui è capace di ospitare tutti dentro la tenda della sua amicizia, anche quelli che da gli altri sono disprezzati e condannati, perché sa che, nonostante tutto, sono persone che il nostro Dio continua ad amare con un amore tenero e tenace.<br />E’ lontano da Dio chi invece coltiva uno spirito di parte, una volontà di esclusione.<br />Forse non abbiamo mai pensato che i peccati più gravi li commettiamo non per l’unità, ma per la disunione, nelle famiglie, nelle parentele e in altre forme di vita associata.<br />Ci conforti però la speranza che si accende in noi mediante la preghiera:<br />“ Fa’, o Signore, che un giorno siano cancellate tutte le nostre divisioni e trionfi soltanto la dolce legge della tua fraternità”.</div>don Luigi Pozzolihttp://www.blogger.com/profile/12849175491189054079noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-819306842891288059.post-40353628598987641462009-05-06T18:58:00.001+02:002009-05-06T18:59:48.743+02:00III Domenica di Pasqua<div align="justify"><br />Giovanni 14, 1-12<br /><br />Nel vangelo di Giovanni c’è un lungo discorso di addio di Gesù.<br />Siamo alla vigilia della sua passione.<br />E’ l’ultima sera della sua vita, è l’ultima sua cena.<br />Gesù sente che è giunta la sua ora. Prima di morire, vuole richiamare ai suoi discepoli ciò che del suo insegnamento ritiene essenziale.<br />Ma prima ancora, pensando al grande turbamento che la sua morte potrebbe procurare, li vuole rassicurare.<br />Non c’è motivo di temere la morte.<br />La sua morte non è un fallimento, ma il coronamento di tutta l’opera.<br />Egli tornerà alla casa del Padre dove preparerà un posto per loro.<br />A questo punto troviamo un’affermazione che ci lascia un po’perplessi: “Io sono la via, la verità e la vita”.<br />Gesù rivela la sua vera identità mediante questa affermazione “Io sono” (ce ne sono tanti di questi “Io sono” nel vangelo di Giovanni che sembrano una eco di quel” Io sono” pronunciato da Dio a Mosè sul monte Horeb).<br />Dicevo prima di una iniziale perplessità nell’ascoltare queste parole di Gesù.<br />Per quale motivo?<br />Perché ci sembrano esorbitanti, eccessive. Che dire?<br />Se gli uomini non seguono Gesù, vuol dire che non potranno arrivare fino a Dio?<br />La sola possibilità di salvezza sta dunque nel diventare cristiani?<br />Bisogna tornare a ripetere, come si faceva prima del concilio: “ Extra ecclesiam, nulla salus”<br />(Fuori della chiesa, non c’è salvezza)?<br />Ma questa posizione è estremamente pericolosa, perché espone a molteplici conflitti con altre religioni che si propongono anch’esse come le sole vere religioni.<br />Per i musulmani, per esempio, siamo noi cristiani a essere nell’errore e a trovarci dalla parte degli infedeli.<br />E si sa che le guerre combattute in nome di Dio sono state – e lo sono tuttora – le più devastanti e le più luttuose.<br />Che fare? Come uscire da questa situazione?<br />E’il caso di relativizzare ogni espressione religiosa visto che, dopo tutto, le diverse religioni si equivalgono e il “buon Dio” è lo stesso per tutti?<br />Ma questo vuol dire favorire l’indifferenza religiosa.<br />Per comprendere Gesù bisogna ascoltare ogni sua parola: “Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io. E del luogo dove io vado, voi conoscete la via”.<br />Dove va Gesù? verso la casa del Padre e nella casa del Padre non c’è che amore.<br />Nella casa del Padre c’è un posto che ci attende.<br />Il nostro camminare ha dunque una meta; la meta è la casa del Padre, la dimora dell’infinita gioia di vivere.<br />La colpa più grave di noi cristiani, oggi (in passato forse era tutto diverso) è la smemoratezza riguardante la meta ultima del nostro cammino.<br />Chi di noi la contempla, la vagheggia, la prepara con una tensione interiore che sia come la cifra segreta del nostro esistere?<br />Siamo in viaggio, come tutti, ma non siamo pellegrini. Il pellegrino è colui che sa dove va.<br />Non solo: è colui che, fino a quando non ha raggiunto la meta, si sente un po’ straniero dovunque venga a trovarsi.<br />Noi non possiamo dirci pellegrini perché abbiamo perso la memoria della meta, catturati come siamo dalle piccole soddisfazioni che ci capita di trovare lungo il cammino.<br />Dovremmo perciò ripetere spesso una invocazione per dire al Signore: “Signore, mettici sempre in cammino con la mente e il cuore rivolti verso la Gerusalemme celeste.<br />Tieni viva in noi la fame e la sete di pace, di amore, di libertà, di luce. Rendi inquieto il nostro cuore finché non riposi in te”.<br />Ma quale strada dobbiamo pretendere per non fallire la meta?<br />“Io sono il cammino”ci dice Gesù.<br />Non dice:“Io vi insegno il cammino”, bensì:”Il cammino che cercate sono io”.<br />Per trovare la strada non c’è che da seguire Gesù.<br />E’la modalità ultima del nostro cammino alla casa del Padre.<br />Vogliamo richiamare brevemente alcuni aspetti di questa modalità esemplare.<br />Gesù era innamorato del cammino, sempre sulle strade e proteso verso l’altrove.<br />Aveva l’impazienza di passare attraverso le folle, nel deserto, sul lago senza lasciarsi trattenere da niente e da nessuno.<br />La sua meta era sempre più lontana.<br />Certamente guariva i malati, provava pietà per ogni tipo di fame e voleva trascinare tutti nell’attesa di qualcosa d’altro.<br />Per essere andato troppo lontano su sentieri che nessuno prima di lui aveva battuto, un giorno si è trovato solo.<br />Era troppo libero e pericoloso.<br />Proprio perché era così libero, neppure il sepolcro lo ha potuto trattenere.<br />Al termine di questa straordinaria avventura troverà ad accoglierlo l’abbraccio, la gratitudine e la gioia del Padre.<br />Vogliamo sapere come camminare verso la casa del Padre?<br />Dobbiamo guardare a Gesù, a quello che ha detto, a quello che ha fatto soprattutto a favore di quelli che erano respinti dalla società.<br />“Io sono la via”: Gesù è il nostro cammino. Un cammino che ci può spaventare tanto da ritenerlo impraticabile.<br />Come è possibile che la nostra esistenza debba rimanere sempre sotto il segno dell’urgenza, della tensione, dell’inquietudine?<br />Ci conforti a una lettura più attenta del vangelo, la certezza che c’è un camminare e c’è un dimorare.<br />La casa suggerisce l’idea del riposo.<br />Ed è un riposo che non ci viene soltanto promesso, ma già in qualche misura accordato.<br />“Io e il Padre siamo una cosa sola” dice Gesù.<br />Se siamo uniti a Gesù, siamo uniti al Padre, siamo già nella casa del Padre.<br />Gesù è quindi cammino ed è già il compimento del cammino, Gesù è la strada ed è la meta.<br />E’lui che nel cammino attraverso i segni della sua presenza ci fa pregustare quanto sia bello “abitare nella casa del Signore”.<br />Io non so che possa rimanere in noi di questo discorso che trova nel Vangelo di oggi la sua necessità e la sua legittimità. A volte di fronte a certe proposte troppo elevate e di ampio respiro, siamo presi dalla vertigine ci rifiutiamo di seguire.<br />In realtà le cose alte di Dio possono trovare nella vita di tutti i giorni una traduzione molto esemplare.<br />Camminare e dimorare con Gesù vuol dire avere fede in lui: “Credete in me”.<br />Se crediamo in lui lasciandoci educare dalla sua parola, se siamo capaci di affidargli la nostra sofferenza e la nostra speranza, se ci lasciamo condurre a compiere gesti di pietà verso le persone che hanno bisogno di non sentirsi abbandonate, noi camminiamo e dimoriamo in Cristo, e dimorando in Cristo, dimoriamo anche nel Padre di cui già possiamo gustare la tenerezza e la gioiosa accoglienza.<br />Quando arriveremo alla casa del Padre il nostro posto, quello riservato proprio a noi, lo troveremo facilmente perché l’avremo già conosciuto in questo nostro camminare nella fede, nella speranza e nell’ amore.</div>don Luigi Pozzolihttp://www.blogger.com/profile/12849175491189054079noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-819306842891288059.post-45091992881441993472009-05-06T18:58:00.000+02:002009-05-06T18:59:48.390+02:00III Domenica di Pasqua<div align="justify"><br />Giovanni 14, 1-12<br /><br />Nel vangelo di Giovanni c’è un lungo discorso di addio di Gesù.<br />Siamo alla vigilia della sua passione.<br />E’ l’ultima sera della sua vita, è l’ultima sua cena.<br />Gesù sente che è giunta la sua ora. Prima di morire, vuole richiamare ai suoi discepoli ciò che del suo insegnamento ritiene essenziale.<br />Ma prima ancora, pensando al grande turbamento che la sua morte potrebbe procurare, li vuole rassicurare.<br />Non c’è motivo di temere la morte.<br />La sua morte non è un fallimento, ma il coronamento di tutta l’opera.<br />Egli tornerà alla casa del Padre dove preparerà un posto per loro.<br />A questo punto troviamo un’affermazione che ci lascia un po’perplessi: “Io sono la via, la verità e la vita”.<br />Gesù rivela la sua vera identità mediante questa affermazione “Io sono” (ce ne sono tanti di questi “Io sono” nel vangelo di Giovanni che sembrano una eco di quel” Io sono” pronunciato da Dio a Mosè sul monte Horeb).<br />Dicevo prima di una iniziale perplessità nell’ascoltare queste parole di Gesù.<br />Per quale motivo?<br />Perché ci sembrano esorbitanti, eccessive. Che dire?<br />Se gli uomini non seguono Gesù, vuol dire che non potranno arrivare fino a Dio?<br />La sola possibilità di salvezza sta dunque nel diventare cristiani?<br />Bisogna tornare a ripetere, come si faceva prima del concilio: “ Extra ecclesiam, nulla salus”<br />(Fuori della chiesa, non c’è salvezza)?<br />Ma questa posizione è estremamente pericolosa, perché espone a molteplici conflitti con altre religioni che si propongono anch’esse come le sole vere religioni.<br />Per i musulmani, per esempio, siamo noi cristiani a essere nell’errore e a trovarci dalla parte degli infedeli.<br />E si sa che le guerre combattute in nome di Dio sono state – e lo sono tuttora – le più devastanti e le più luttuose.<br />Che fare? Come uscire da questa situazione?<br />E’il caso di relativizzare ogni espressione religiosa visto che, dopo tutto, le diverse religioni si equivalgono e il “buon Dio” è lo stesso per tutti?<br />Ma questo vuol dire favorire l’indifferenza religiosa.<br />Per comprendere Gesù bisogna ascoltare ogni sua parola: “Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io. E del luogo dove io vado, voi conoscete la via”.<br />Dove va Gesù? verso la casa del Padre e nella casa del Padre non c’è che amore.<br />Nella casa del Padre c’è un posto che ci attende.<br />Il nostro camminare ha dunque una meta; la meta è la casa del Padre, la dimora dell’infinita gioia di vivere.<br />La colpa più grave di noi cristiani, oggi (in passato forse era tutto diverso) è la smemoratezza riguardante la meta ultima del nostro cammino.<br />Chi di noi la contempla, la vagheggia, la prepara con una tensione interiore che sia come la cifra segreta del nostro esistere?<br />Siamo in viaggio, come tutti, ma non siamo pellegrini. Il pellegrino è colui che sa dove va.<br />Non solo: è colui che, fino a quando non ha raggiunto la meta, si sente un po’ straniero dovunque venga a trovarsi.<br />Noi non possiamo dirci pellegrini perché abbiamo perso la memoria della meta, catturati come siamo dalle piccole soddisfazioni che ci capita di trovare lungo il cammino.<br />Dovremmo perciò ripetere spesso una invocazione per dire al Signore: “Signore, mettici sempre in cammino con la mente e il cuore rivolti verso la Gerusalemme celeste.<br />Tieni viva in noi la fame e la sete di pace, di amore, di libertà, di luce. Rendi inquieto il nostro cuore finché non riposi in te”.<br />Ma quale strada dobbiamo pretendere per non fallire la meta?<br />“Io sono il cammino”ci dice Gesù.<br />Non dice:“Io vi insegno il cammino”, bensì:”Il cammino che cercate sono io”.<br />Per trovare la strada non c’è che da seguire Gesù.<br />E’la modalità ultima del nostro cammino alla casa del Padre.<br />Vogliamo richiamare brevemente alcuni aspetti di questa modalità esemplare.<br />Gesù era innamorato del cammino, sempre sulle strade e proteso verso l’altrove.<br />Aveva l’impazienza di passare attraverso le folle, nel deserto, sul lago senza lasciarsi trattenere da niente e da nessuno.<br />La sua meta era sempre più lontana.<br />Certamente guariva i malati, provava pietà per ogni tipo di fame e voleva trascinare tutti nell’attesa di qualcosa d’altro.<br />Per essere andato troppo lontano su sentieri che nessuno prima di lui aveva battuto, un giorno si è trovato solo.<br />Era troppo libero e pericoloso.<br />Proprio perché era così libero, neppure il sepolcro lo ha potuto trattenere.<br />Al termine di questa straordinaria avventura troverà ad accoglierlo l’abbraccio, la gratitudine e la gioia del Padre.<br />Vogliamo sapere come camminare verso la casa del Padre?<br />Dobbiamo guardare a Gesù, a quello che ha detto, a quello che ha fatto soprattutto a favore di quelli che erano respinti dalla società.<br />“Io sono la via”: Gesù è il nostro cammino. Un cammino che ci può spaventare tanto da ritenerlo impraticabile.<br />Come è possibile che la nostra esistenza debba rimanere sempre sotto il segno dell’urgenza, della tensione, dell’inquietudine?<br />Ci conforti a una lettura più attenta del vangelo, la certezza che c’è un camminare e c’è un dimorare.<br />La casa suggerisce l’idea del riposo.<br />Ed è un riposo che non ci viene soltanto promesso, ma già in qualche misura accordato.<br />“Io e il Padre siamo una cosa sola” dice Gesù.<br />Se siamo uniti a Gesù, siamo uniti al Padre, siamo già nella casa del Padre.<br />Gesù è quindi cammino ed è già il compimento del cammino, Gesù è la strada ed è la meta.<br />E’lui che nel cammino attraverso i segni della sua presenza ci fa pregustare quanto sia bello “abitare nella casa del Signore”.<br />Io non so che possa rimanere in noi di questo discorso che trova nel Vangelo di oggi la sua necessità e la sua legittimità. A volte di fronte a certe proposte troppo elevate e di ampio respiro, siamo presi dalla vertigine ci rifiutiamo di seguire.<br />In realtà le cose alte di Dio possono trovare nella vita di tutti i giorni una traduzione molto esemplare.<br />Camminare e dimorare con Gesù vuol dire avere fede in lui: “Credete in me”.<br />Se crediamo in lui lasciandoci educare dalla sua parola, se siamo capaci di affidargli la nostra sofferenza e la nostra speranza, se ci lasciamo condurre a compiere gesti di pietà verso le persone che hanno bisogno di non sentirsi abbandonate, noi camminiamo e dimoriamo in Cristo, e dimorando in Cristo, dimoriamo anche nel Padre di cui già possiamo gustare la tenerezza e la gioiosa accoglienza.<br />Quando arriveremo alla casa del Padre il nostro posto, quello riservato proprio a noi, lo troveremo facilmente perché l’avremo già conosciuto in questo nostro camminare nella fede, nella speranza e nell’ amore.</div>don Luigi Pozzolihttp://www.blogger.com/profile/12849175491189054079noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-819306842891288059.post-56354356870355149192009-04-14T14:21:00.002+02:002009-04-21T17:21:39.602+02:00Pasqua di risurrezione<div align="justify"><br />Giovanni 20, 1-18<br /><br /><br />Questa omelia dovrebbe celebrare il mistero della Pasqua e perciò dovrebbe avere un’intonazione gioiosa che in qualche modo riproponga l’esultanza che di solito accompagna l’annuncio della risurrezione.<br />A questo proposito si potrebbe ricordare il cosiddetto risus pascalis praticato nel medioevo in diverse città soprattutto tedesche dove, nel corso dei riti pasquali, erano i predicatori a suscitare il riso nell’assemblea raccontando storielle particolarmente esilaranti per sbeffeggiare la morte sconfitta dal Cristo risorto.<br />Ma quest’anno non ci è concesso di accogliere a cuor leggero questo invito alla gioia.<br />Abbiamo ancora sotto gli occhi le immagini della catastrofe che ha colpito diversi paesi dell’Abruzzo, non possiamo dimenticare i lamenti strazianti di tante persone che hanno perso tutto in questo tragico evento.<br />Nascono allora domande che mettono a dura prova la nostra fede.<br />Perché nel mondo c’è tanta sofferenza? perché tante vite spezzate ancora in tenera età?<br />C’è stato chi ha ammonito dicendo che nessuno deve sentirsi senza colpa.<br />Certamente è giusto pensare alla responsabilità degli uomini che, essendo liberi, sono liberi anche di fare il male.<br />In un passo del Deuteronomio si legge: “Ho posto davanti a te la vita e la morte, la benedizione e la maledizione: scegli dunque la vita onde tu viva…”.<br />Molto spesso l’uomo sceglie la morte e il male che genera infinite sofferenze.<br />Però questo, dobbiamo ammetterlo, non spiega tutto.<br />Quando si scatena uno tsunami o un terremoto con una forza così devastante come quello che ha colpito, sorprese nel sonno, tante famiglie della terra d’Abruzzo, è facile domandarsi: “e Dio, dove era in quei momenti così terribili?”.<br />È la domanda più seria, più grave, più temibile che possa salire nel cuore dell’uomo.<br />È la domanda che del resto, se non siamo superficiali o incoscienti , ci poniamo ogni giorno, davanti allo spettacolo quotidiano di violenza, di distruzione e morte per cui a volte siamo anche tentati di rivolgerci al Signore con le parole che don Michele Do ha raccolto dalla voce di un contadino della sua valle: “Signore, quand’è che ti metti una mano sulla coscienza?”.<br />La nostra riflessione oggi è sollecitata da tanti “perché?” che non trovano una facile risposta .<br />Dio l’abbiamo trascinato sul banco degli accusati.<br />Con i nostri “perché?”, peraltro più che motivati e legittimi, chiamiamo, per così dire, Dio a rapporto, gli chiediamo di rendere conto del suo operato, gli rimproveriamo il suo silenzio, la sua apparente indifferenza e apatia e addirittura la sua assenza.<br />È come se gli dicessimo: “Ma che Dio sei?”.<br />La risposta di Dio è affidata alla Pasqua di Gesù, alla croce e alla risurrezione.<br />Anzitutto ci invita a fare memoria ancora di quello che accadde un lontano venerdì pomeriggio di duemila anni fa, fuori dalle mura di Gerusalemme.<br />Un uomo di 33 anni fu appeso alla croce insieme ad altri due sventurati.<br />E mentre stava morendo, l’uomo appeso alla croce esclamò: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”.<br />E il centurione romano che si trovava ai piedi della croce esclamò: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio”.<br />Il nostro è un Dio che conosce il patire scendendo fino in fondo nella sconfinata sofferenza del mondo, sempre dalla parte delle vittime, identificandosi con loro.<br />E la Pasqua diventa perciò il giorno della più grande consolazione.<br />Mi correggo: potrebbe diventare.<br />Purtroppo abbiamo perso il senso di questa novità sconvolgente. Gesù è risorto. È vivo. È con noi.<br />Gesù è accanto a noi come era accanto a Maria, nella apparizione narrata dal vangelo<br />Ma noi non sappiamo riconoscerlo.<br />Come se il Signore fosse assente o fosse ancora morto.<br />Morto in questa nostra società senza valori, morto nei compromessi e nelle ambiguità della politica, morto – è il sospetto che ci prende in qualche momento – anche nelle chiese.<br />Celebriamo la Pasqua come gente tranquilla, che va alla ricerca di un’omelia tranquilla, senza sussulti e senza troppe tensioni.<br />Vuol dire che non abbiamo più la fede?<br />È difficile dire se abbiamo la fede o non l’abbiamo.<br />Forse è vero che tutti vorremmo credere di più.<br />Abbiamo nostalgia della fede.Abbiamo bisogno che qualcuno ci aiuti a credere.<br />Abbiamo bisogno che Gesù ci chiami per nome come ha fatto con Maria di Magdala.<br />Gesù le disse: “Maria!”.<br />Essa si voltò verso di lui e gli disse in ebraico “Rabbunì” che vuol dire “Maestro!”.<br />Un nome, Maria, e in quel nome c’è il rivelarsi di una presenza, il palpito di un’amicizia che si rinnova.<br />E’ quello che può avvenire anche per noi.<br />Ascoltiamo tante parole, anche nelle nostre chiese.<br />Ci raggiungono, ma non ci scuotono.<br />Ci sembrano parole generiche, dette per tutti, indistintamente, parole decorative, non parole creative di qualcosa di nuovo.<br />Ma può anche accadere che tra le tante parole ci sia quella rivolta direttamente a te come se il Signore ti avesse chiamato per nome.<br />Allora si aprono gli occhi e tutto cambia.<br />Allora nasce dal cuore una risposta che vale più di tutte le professioni di fede: “Rabbunì, maestro!”<br />Qui c’è tutto lo stupore della risurrezione.<br />Qui c’è tutta la gioia della Pasqua.<br />Se c’è una grazia grande che oggi dobbiamo chiedere al Padre è questa: che ci aiuti a convertire la prima espressione di Maria registrata nel vangelo: “Hanno portato via il mio Signore” in quest'altra “Rabbunì”.<br />Vuol dire avere intuito la presenza del Risorto.<br />Vuol dire sentire la passione di correre a portare a tanti nostri fratelli (come per lunga tradizione si fa nel mondo ortodosso.</div><div align="justify"> La buona notizia : “Cristo è risorto. Non avere più paura”.</div>don Luigi Pozzolihttp://www.blogger.com/profile/12849175491189054079noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-819306842891288059.post-35647907651813677392009-04-03T18:35:00.001+02:002009-04-03T18:37:05.427+02:00V Domenica di quaresima<div align="justify">Giovanni 11, 1-44<br /><br />In questo racconto sono presenti tutte le verità fondamentali dell’esistenza: c’è la morte, l’amicizia, il pianto, la speranza più grande.<br />La prima verità riguarda la morte.<br />Tutto il racconto è occupato da una liturgia funebre che si esprime attraverso il pianto, il cordoglio, il sepolcro e un forte sentore di corruzione. <br />E chi legge viene raggiunto da una domanda provocatoria:”Tu credi alla morte?”.<br />Certo la morte non ha bisogno di essere creduta, tanto si impone sotto i nostri occhi con un’evidenza brutale: la morte trionfa negli atti di terrorismo, là dove ancora non si gode di una pace duratura; nei regolamenti di conti tra bande opposte di mafiosi o di camorristi, o sulle strade dove e tanti giovani lasciano la loro vita per ragioni che tutti conosciamo.<br />Eppure la domanda: “Tu credi alla morte?” non è fuori luogo.<br />In un tempo in cui si assiste alla morte in diretta, si assiste anche alla fuga dalla coscienza della morte.<br />Come se essa non ci riguardasse.<br />Per capire il valore di questo racconto , bisogna prima recuperare la tragicità della morte.<br />Bisogna avere il coraggio di guardarla in faccia.<br />Una seconda verità richiamata dal racconto è il valore dell’amicizia di fronte alla morte.<br />Questo testo di Giovanni non parla solo di morte e risurrezione.<br />E’anche la storia di un’amicizia, quella tra Gesù, Lazzaro e le sorelle.<br />“Il tuo amico è malato” mandano a dire le due sorelle.<br />E poco dopo è Gesù stesso a dare a Lazzaro il nome di amico.<br />L’uso di espressioni come “il nostro amico Lazzaro” è segno di grande famigliarità.<br />Sul filo di queste annotazioni è facile leggere il miracolo di Lazzaro come il miracolo dell’amicizia e dell’affetto.<br />Perché Gesù lascia la regione della Perea, dove poteva stare al riparo dalle ostilità dei giudei, per raggiungere Betania esponendosi pertanto a qualche grave rischio per la propria incolumità?<br />E’quello che i discepoli non capiscono:“Rabbì, poco fa i giudei cercavano di lapidarti, e tu ci vai di nuovo?”.<br />C’è in questo racconto una specie di legge che si potrebbe formulare così: amare è sempre un perdersi perché l’altro viva.<br />Gesù questa legge l’aveva insegnata quando aveva detto: “Non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici”.<br />La prova l’abbiamo nel vangelo: Lazzaro vive perché Gesù, che gli è amico, accetta di morire.<br />Si sa infatti che in seguito al miracolo di Betania i giudei decisero di mettere a morte Gesù.<br />Questa verità, che il dono della vita si sconta con il proprio morire, non è facile da interpretare.<br />Non è stato facile neppure per Gesù.<br />Gesù si commuove profondamente, dice Giovanni, e lo ricorda almeno due volte nel corso della narrazione.<br />Gesù scoppia in pianto. E’qualcosa che ci tocca, ci stupisce, ci commuove,<br />C‘è chi ha fatto osservare che la bellezza e la grandezza di questo miracolo sono tutte racchiuse nel pianto di Gesù.<br />Perché piange Gesù?<br />Perché questo suo pianto incontenibile, irrefrenabile, senza ritegno e senza vergogna?<br />Gli esegeti suggeriscono diverse spiegazioni, ma la più attendibile sembra essere questa: Gesù se la prende con le forze oscure del male e della morte.<br />Elias Canetti, il grande scrittore mitteleuropeo che considerava la morte come il male primordiale, voleva che la si odiasse, le si sputasse in faccia, venisse maledetta,.<br />Gesù piange e in questo suo pianto c’è come un moto di risentimento, di collera contro la morte.<br />E’ un modo per dire no alla morte, per rifiutarne la logica implacabile e crudele.<br />Penso a certi cristiani che si vergognano di piangere anche in occasione di lutti particolarmente dolorosi, che si sforzano perfino di mostrare un volto sereno e sorridente perché altrimenti sarebbe come tradire la fede nella risurrezione.<br />Trovo invece molto sagge le parole di un giovane parroco milanese il quale ha scritto: “Io credo che il Signore non voglia regalarci la risurrezione senza prima averci regalato le lacrime.<br />Le lacrime sono un dono. Ci danno il diritto di piangere senza vergogna.<br />Sono lacrime che lavano gli occhi perché si possano aprire a un mistero ancora più grande della morte, quello della risurrezione (Davide Caldirola)”.<br />Ed ora una parola sulla risurrezione.<br />Noi vorremmo sapere soprattutto come sarà la vita futura.<br />Ma la nostra curiosità rimane inappagata.<br />Lazzaro non dice nulla della esperienza che gli è stata riservata una volta superata la soglia della morte.<br />Ma altri passi del vangelo ci fanno capire che la vita eterna è essere con Cristo.<br />“Oggi sarai con me in paradiso” dice Gesù al ladrone sulla croce.<br />Si comprende come sia possibile affermare che la risurrezione non è solo per il futuro, ma già per il tempo che stiamo vivendo.<br />Se siamo uniti a Cristo, risurrezione e vita, godiamo già di una vita risorta,<br />Ci sono persone che spiritualmente sono vecchie o addirittura spente.<br />E lo dimostrano per il fatto che si trovano irrigidite nei loro pregiudizi, nelle loro paure, nel loro inguaribile pessimismo, nella difesa egoistica dei loro privilegi.<br />Non c’è scioltezza, autoironia, speranza, apertura alla novità.<br />Se hanno rapporto con Dio, conoscono solo un Dio vecchio che rende vecchi.<br />Ma Dio è giovane, e la giovinezza di Dio si è rivelata in Gesù.<br />Nessuno è più vivo e più libero di Gesù.<br />Con la sua vita intensa, appassionata, generosa, Gesù vuole insegnarci che cosa significa vivere.<br />Vivere non è sopravvivere, vegetare, consumare il proprio tempo rincorrendo soddisfazioni effimere, ma vivere è comunicare, donare, amare, perdere la propria vita per gli altri.<br />Se siamo con Gesù, già ora possiamo condurre una vita risorta, una vita al riparo da ogni conformismo e da ogni rassegnazione, una vita innamorata della verità, della bellezza, della fierezza di non essere servi di nessuno.<br />Non diciamo perciò come Marta: “Io so che risorgerò nell’ultimo giorno”, ma piuttosto diciamo: “Signore Gesù, io so che posso risorgere ogni giorno.<br />Pronuncia anche su di me le parole con cui hai richiamato Lazzaro alla vita: “Vieni fuori!”.<br />Vieni fuori, esci dall’oscurità del sepolcro in cui ti trovi con la tua vita spenta.<br />Sciogliti da tutte le tristezze e le paure che ti tengono prigioniero.<br />Vieni alla luce, vieni alla vita.<br />Potrò così essere giovane come te, giovane di amore, giovane di coraggio, giovane di immensa, dolcissima pietà”.</div>don Luigi Pozzolihttp://www.blogger.com/profile/12849175491189054079noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-819306842891288059.post-44372190150315238722009-03-02T01:37:00.003+01:002009-03-04T15:35:51.129+01:00I° di Quaresima<div align="justify"><br />Matteo 4, 1-11<br /><br />“Ecco era è il tempo favorevole, ecco: ora è il giorno della salvezza, nessuno si faccia trovare nel giorno di redenzione, ancora schiavo del vecchio mondo di peccato”: sono parole, queste, che vengono da molto lontano (appartengono al profeta Isaia ) e che nel corso di questa liturgia sentiremo richiamare come invito a valorizzare questo tempo quaresimale che inizia proprio oggi.<br />Quaresima: quaranta giorni come quelli che Gesù ha vissuto nel deserto e che, a loro volta, alludono ai quaranta anni passati dal popolo d’Israele nel deserto prima di insediarsi nella terra che Dio aveva promesso.<br />Prima di affrontare il testo di Matteo, bisognerebbe risolvere due possibili obiezioni che altrimenti potrebbero interferire come elementi di disturbo nella nostra riflessione.<br />Gesù viene tentato.<br />Ma come è possibile immaginare una situazione di questo genere.<br />Gesù è il figlio di Dio:come potrebbe essere tentato?<br />Il fatto è sorprendente..<br />Ma, a pensarci bene, Gesù non avrebbe potuto evitare di essere tentato.<br />Se l’incarnazione non è stata una finzione, Gesù era veramente figlio di Dio, ma , al tempo stesso, perfettamente uomo per cui, proprio per questo stretto rapporto con la condizione umana, doveva nel deserto conoscere i nostri smarrimenti, le nostre esitazioni, la fatica di dover scegliere tra due proposte ugualmente interessanti e contrapposte l’una all’altra.<br />Perciò è credibile che Gesù sia stato tentato.<br />E tentato lo sarà lungo tutto il corso della sua vita, tentato perfino sulla croce, quando i capi religiosi lo provocheranno gridandogli di scendere dalla croce, se mai ne fosse stato capace.<br />Anche Gesù pertanto deve aver pregato per non soccombere di fronte alla prova.<br />E ci è facile immaginare che il penultimo versetto del Padre nostro: <em>e non ci indurre in tentazione,</em> prima di suggerirlo ai discepoli Gesù l’abbia più volte confidato al Padre nelle lunghe conversazioni che aveva con lui nel cuore della notte.<br />Tempo fa –ricordate – si è discusso molto sulla opportunità di correggere questa invocazione che sembra voler addossare a Dio la responsabilità delle tentazioni a cui siamo continuamente esposti.<br />Come è possibile immaginare (è la seconda obiezione da rimuovere) che proprio Dio voglia attentare alla nostra incolumità di creature fragili che già faticano a muoversi in un mondo sempre più disumano?<br />Se poi ci si mette anche Dio a complicare le cose.<br />Ma io non credo che il testo debba essere corretto. Solo va capito.<br />Del resto, non trovate una qualche rassomiglianza con l’inizio del vangelo di oggi?<br />“Fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo”<br />E’ lo Spirito che trascina Gesù nel deserto.<br />Dobbiamo dunque scandalizzarci anche per queste parole?<br />"Non c'è alcuna ragione di scandalo" scriveva anni fa Pietro Citati iu un bellissimo commento al Padre nostro comparso su un giornale laico (Repubblica 1 febbraio 1996). Il quale poi proseguiva dicendo: " Come ogni ebreo, come ogni cristiano, Matteo sapeva benisimo che Dio induce in tentazione specialmente chi ama. Aveva tentato (o messo alla prova, se vogliamo usare un'espressione più scolorita) Adamo, Abramo, Giobbe, Israele, e una tremenda frase rabbinica diceva.Non c'è alcun uomo che Dio non abbia tentato?".<br />Allora si può capire il senso vero delle parole del Padre nostro.<br />Noi non preghiamo per essere risparmiati da ogni tentazione.<br />La tentazione infatti può essere trasformata in un'occasione favorevole al nostro cammino spirituale, in uno scatto o in un salto di qualità nel nostro modo di inerpretare e di vivere il nostro rapporto con Dio e con i fratelli.<br />."Ciò che non ci uccide, ci rende più forti" diceva Nietzsche riprendendo le parole dei Padri del deserto i quali affermavano che senza"prove", senza "tentazioni" non sarebbe possibile alcnna crescita spirituale.<br />Se poi riusciamo a fare un po' di deserto nella nostra vita, a cercare spazi di silenzio custodendo nel cuore un grande desiderio di verità e di autenticità, ci sarà più facile capire che cosa conta veramente nella vita e che cosa non conta, e potremo dare all'invocazione del Padre nostro questa precisa intonazione "Signore, accettiamo le prove che tu ci mandi, perché servono a purificare la nostra fede. Solo ti chiediamo di essere risparmiati da tentazioni che siano superiori alle nostre deboli forze".<br />A questo punto è opportuno che ci domandiamo: "Quali sono le teanazioni più pericolose, più insidiose perchè più diaboliche?" .<br />Quando si parla di tentazioni, il pensiero - è un debito che si paga a un'educazione di tipo moralistico - si rivolge immediatamente alla sfera della sessualità.<br />Si tratta senza dubbio di una tentazione possibile, ma bisogna dire che nella Bibbia non occupa il primo posto.<br />La libidine del potere (basta osservare lo spettacolo indecoroso che danno di sè certi uomini poltici) è molto più forte della libidine che nasce dagli istinti della carne.<br />Nel racconto che abbiamo letto si parla di tre tentazioni, ma in realtà si tratta di tre aspetti o modalità di un'unica tentazione, quella del potere.<br />Il Tentatore, avvicinandosi a Gesù, cerca di indurlo a rappresentare Dio come pura onnipotenza:<br />"Se sei figlio di Dio, dimostra a tutti di essere un Dio onnipotente. E' quello che gli uomini pretendono.E' inutile parlare loro di fede e di amore. Vogliono altro.<br />Non vedi che credono solo nella forza e nei risultati immediati?<br />Scegli la via della magia, del miracolo facile, della esibizione spettacolare, e vedrai che tutti ti seguiranno".<br />Questa tentazione era veramente drammatica per Gesù: voleva dire scegliere la via<br />della forza rinunciando a quella dell'amore.<br />Nella nostra vita questa tentazione prende corpo nelle pieghe della nostra debolezza come desiderio di possedere di più per sentirci più forti, di occupare, se è possibile, i primi posti, di strappare qualche applauso per appagare la nostra vanità.<br />E, una volta presa questa strada, la tentazione ci porta a invocare un Dio che sia unicamente un Dio forte, prodigo di miracoli, disposto a risolvere i nostri problemi, difensore delle persone oneste e della sua chiesa.<br />Qui è l'immagine stessa di Dio che viene stravolta.<br />Dio non è più padre, non è più amore.<br />E' perciò una grazia immensa sapere che Gesù ha vinto la tentazione accettando di rimanere debole per conquistarci non con la forza, ma con l'amore.<br />Alle seduzioni del tentatore bisogna rispondere consegnandoci ad un'altra seduzione. Questa non ci parlerà di potere , di prestigio, di successi immediati, ma farà vibrare il nostro cuore per la gioia ineffabile di sentire che Dio ci è accanto come Padre con uno sguardo colmo di infinita tenerezza, e che avrà per ciascuno di noi una parola, detta con amore, più forte di ogni sofferenza e perfino della morte.</div>don Luigi Pozzolihttp://www.blogger.com/profile/12849175491189054079noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-819306842891288059.post-35329956819897546992009-02-15T01:24:00.001+01:002009-02-15T18:40:59.901+01:00Penultima dopo l’Epifania<div align="justify">Luca 7, 36-50<br /><br />Una considerazione, anzitutto, di ordine generale.<br />Riguarda il nostro modo di rapportarci alla Parola di Dio.<br />Possiamo dire di ascoltarla con una partecipazione intensa e profonda e, almeno in qualche momento, anche con un coinvolgimento emotivo?<br />S tratta sempre di rimanere sorpresi, colti alla sprovvista dalla Parola.<br />Bisognerebbe accostarsi a ogni pagina del vangelo, come se fosse la prima volta.<br />Contro l’indurimento provocato dall’abitudine l’unico antidoto è la sorpresa.<br />Il fattore sorpresa è l’elemento costitutivo più importante del racconto che abbiamo letto nel vangelo di Luca.<br />Oggi, in altre parole, non possiamo non rimanere stupiti, se è vero che, prima di essere sorpresi noi, lo sono i protagonisti del racconto.<br />Vediamoli.<br />Gesù è invitato a pranzo da un fariseo di cui il vangelo ricorda il nome: è Simone.<br />Si sa che cosa Gesù pensasse dei farisei.<br />Che si faccia trovare nella casa di uno di essi dimostra che egli non si negava a nessuno, fosse pure un fariseo.<br />Egli, che viveva poveramente, accetta l’invito di un notabile.<br />Come si è svolto il pranzo in casa di Simone il fariseo.<br />Dopo un’accoglienza nel segno di una correttezza formale, alquanto fredda, tutto si è svolto come da copione.<br />Fino a un certo punto.<br />All’improvviso compare in sala, inaspettata, una donna.<br />Tutti in città dovevano sapere chi fosse: ”una peccatrice", dice il vangelo o, per essere più precisi, una prostituta..<br />Il fariseo accusa il colpo.<br />Si parlava prima del fattore sorpresa come elemento portante di tutto il racconto.<br />Per il fariseo la sorpresa è legata allo scandalo che patisce per la presenza indebita di quella donna nella sua casa e per i gesti che essa si permette di dedicare a Gesù senza che Gesù opponga un gesto di rifiuto .<br />Vediamo ora il secondo personaggio importante del racconto, proprio quello della donna peccatrice.<br />Se ha avuto il coraggio di varcare la soglia della casa di Simone il fariseo, è perché doveva sentire un bisogno immenso di esprimere la sua gratitudine.<br />Certamente aveva avuto occasione di ascoltare Gesù e di sentire che le sue parole le avevano toccato il cuore tanto da essere alleggerita del peso del suo passato.<br />Allora deve essersi chiesta: “Che cosa dovrei fare per dire il mio grazie? Non posso non fare qualcosa”.<br />Avendo saputo che Gesù si trovava nella casa di Simone il fariseo, fa tacere tutte le possibili obiezioni sulla convenienza di ciò che sta per fare, mette da parte ogni rispetto umano ed entra in quella casa.<br />E qui succede una cosa straordinaria, che certamente non era stata prevista.<br />E’ il caso di rivedere la scena.<br />Gesù ci pare di vederlo con il fianco sinistro appoggiato o disteso sul divano, come usava allora.<br />La donna gli si avvicina, e mentre è intenta a profumargli i piedi, improvvisamente si scioglie in un pianto irrefrenabile tanto da bagnare i piedi di Gesù con le sue lacrime copiose.<br />Che fare? Come asciugarli?<br />Essa non può lasciare i piedi di Gesù bagnati di lacrime.<br />Allora scioglie i suoi capelli e con i suoi capelli asciuga i piedi di Gesù.<br />Poi, portata dal suo slancio affettivo, ripetutamente li bacia.<br />Silenzio attorno a questa donna: come si permette una tale famigliarità?<br />Silenzio anche da parte di Gesù che la lascia fare senza una parola di insofferenza o di rimprovero.<br />Mentre la sorpresa del fariseo, come si è detto, era legata allo scandalo per quella scena che ai suoi occhi doveva apparire disgustosa, la sorpresa della donna potrebbe essere definita la sorpresa della grazia.<br />E Gesù? è lui l’autore di questa duplice sorpresa. E’ lui che la crea.<br />Anzi si potrebbe dire che Gesù è la sorpresa di Dio che ha posto la sua dimora in mezzo a noi.<br />La sua presenza è sempre motivo di novità radicali, di profondi cambiamenti, di salutari interrogazioni.<br />Perciò, come si diceva all’inizio, bisogna ascoltare la sua parola con il cuore aperto allo stupore.<br />Se mi si chiedesse quali sono per me i motivi di stupore che trovo nel vangelo che è stato letto, ne indicherei principalmente due.<br />Il primo è dato dalle parole di Gesù a commento della parabola dei due debitori.<br />Ma bisogna fare molta attenzione perché a leggere superficialmente il testo si è portati a credere che chi ama di più è maggiormente perdonato da Dio.<br />Ma la verità è diversa.<br />Non è il nostro amore a conquistare il perdono, ma è il perdono di Dio che ci permette di amare.<br />L’iniziativa è sempre di Dio.<br />È lui che perdona tutto, che dà gratuitamente la pace, che dispone ciascuno a gustare il profumo della gioia.<br />Gesù, che è venuto a rivelarci la misericordia del Padre, la sua tenerezza infinita,<br />ha offerto alla donna “peccatrice” del vangelo un amore che essa non aveva ancora conosciuto, un amore totalmente gratuito.<br />In questa prospettiva, non sono stati i gesti della donna a meritare il perdono, ma è stato il perdono a suscitare nella donna una grande commozione che si esprime attraverso la dolcezza di quelle lacrime versate sui piedi di Gesù.<br />Questo per me è motivo di sorpresa particolarmente consolante.<br />Vuol dire infatti che la prima cosa che mi è richiesta da Dio è di lasciarmi amare.<br />Allora mi sarà facile trovare una risposta a questo grande amore.<br />La risposta più bella sarà quella di rivelare il vero volto del Signore a tutti coloro che non osano pensare di essere amati, ma rimangono fermi all’immagine di un Dio che li giudica e li punisce.<br />Altro motivo di sorpresa è il fatto che Gesù rivolge al mondo femminile un’attenzione particolare , rivoluzionaria per quei tempi in cui i rabbini escludevano le donne dalla cerchia dei discepoli.<br />Gesù invece non teme di dare scandalo lasciandosi avvicinare dalle donne tanto che (così ci informa Luca, nei versetti che seguono immediatamente il testto del vangelo) aveva al suo seguito un gruppetto di donne che assistevano qella piccola comunità in diversi modi.<br />E’una rivoluzione, quella iniziata da Gesù, che ancora non è stata completamente attuata se si pensa che la chiesa, a dispetto di tanti attestati di dignità concessi alla donna con grande magnanimità, contiunua a guardare alla donna con una certa diffidenza come se essa adombrasse un serio pericolo per i discepoli di Cristo.<br />Fintanto che la donna sarà tenuta ai margini, la chiesa non potrà presentare un volto veramente materno e non potrà essere, come dovrebbe, la chiesa della tenerezza.<br />Accogliamo perciò la sorpresa che ci ha riservato il vangelo in attesa di salutare una sorpresa ancora più grande,quando ci sarà dato di vedere finalmente realizzata l’immagine di chiesa che Gesù ha sognato.</div>don Luigi Pozzolihttp://www.blogger.com/profile/12849175491189054079noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-819306842891288059.post-38471881758159107722009-02-01T19:30:00.001+01:002009-02-01T21:50:53.994+01:00IV dopo l'Epifania<div align="justify"><br />Luca 8, 22-25<br /><br />Che cosa ci vuol dire questo racconto?<br />Si tratta di un miracolo compiuto da Gesù sulle forze scatenate della natura che dimostrerebbe la superiorità di Gesù su tutte queste forze ostili.<br />Ma questo tipo di lettura è troppo superficiale.<br />Vuol dire non accorgersi che ogni particolare del racconto suggerisce qualcosa di più profondo rispetto a ciò che immediatamente sembra significare.<br />Il linguaggio, in altre parole, possiede una grande ricchezza allusiva in quanto rimanda a qualcosa d’altro, di nascosto, di segreto, che noi siamo chiamati a disoccultare.<br />È quello che ora intendiamo fare prendendo in esame alcuni elementi della narrazione.<br />Il primo elemento particolarmente interessante è l’invito di Gesù ad attraversare il lago:”Passiamo all’altra riva!”.<br />Nel vangelo di Tommaso (un vangelo apocrifo, cioè non riconosciuto dalla chiesa, scoperto una cinquantina di anni fa nell’Alto Egitto), c’è questa frase attribuita a Gesù:“Siate come dei passanti”.<br />Che cosa voleva dire Gesù?<br />Che la vita è un continuo passaggio.<br />È bene ricordare che il mondo è come un ponte e che non si costruisce la propria dimora su un ponte.<br />Ma se è vero che siamo tutti esseri di passaggio, che siamo passeggeri nel senso più trasparente della parola, c’è da chiedersi: dove ci porta questa legge che Gesù ci ha richiamato?<br />“Passiamo all’altra riva” ha detto Gesù.<br />Qui non c’è solo un’indicazione geografica. Si sapeva che l’altra riva, quella ad est del lago, era abitata da popolazioni pagane e perciò da forze ostili a Dio.<br />L’altra riva, secondo il linguaggio ricco di rimandi e di allusioni che Luca ha scelto per narrare questo miracolo, rappresenta la dimensione della alterità o della diversità, quel mondo cioè che ci appare inquietante, perché lontano, sconosciuto e misterioso.<br />Nella società attuale l’altra riva potrebbe essere rappresentata dalla massa degli immigrati i quali danno a volte l’impressione di costituire un mondo chiuso e separato con cui è difficile comunicare per il fatto che custodiscono gelosamente le loro tradizioni religiose e culturali.<br />Inoltre, l’altra riva la puoi trovare anche nella vita di coppia, con la persona che tu pensi di amare e di conoscere più di ogni altra.<br />Perché ogni persona è un mistero inaccessibile che non può essere mai cancellato.<br />Infine non è possibile ignorare che l’altra riva richiama facilmente il mondo dell’invisibile e dell’eterno al quale si accede affrontando il duro passaggio della morte.<br />“Passiamo all’altra riva”: l’invito di Gesù comporta tante difficoltà ed è motivo perciò di smarrimenti, di sofferenze, di angosce.<br />Chi ci può aiutare in quei momenti in cui, paralizzati dalla paura,vediamo l’orizzonte oscurarsi e abbiamo l’impressione di trovarci nella stessa condizione dei discepoli sul lago di Tiberiade?<br />Possiamo chiedere aiuto alla chiesa quando anch’essa ci sembra a volte una fragile imbarcazione sballottata, come in questi giorni, da onde troppo violente?<br />Quando si prende coscienza del pericolo, soprattutto quando la tempesta ci raggiunge più da vicino, nella vita di coppia o di famiglia, ci sorprendiamo a gridare: “Non t’importa , Signore, che noi periamo?”.<br />Ma Dio ci ascolta?<br />Abbiamo impressione che Dio dorma. Come dorme Dio nell’antico testamento, tanto che il salmista e i profeti si sentono costretti a gridargli: “Destati, Signore, perché dormi? Svegliati”.<br />La risposta, nel vangelo, la conosciamo: è data dal miracolo.<br />Gesù, che prima dormiva, viene risvegliato e fa tacere il vento placando le acque minacciose.<br />È interessante osservare che l’evangelista utilizza termini tecnici che, in greco, esprimono la morte e la risurrezione.<br />In altre parole, Gesù che dorme su un cuscino in fondo alla barca prefigura Gesù che riposa nel profondo della tomba, mentre Gesù che, risvegliato e stando in piedi in mezzo alla barca, interpella e provoca il vento, annuncia l’altro Gesù, in piedi nella tomba e vittorioso sulla morte, il mattino di Pasqua.<br />Ma c’è un’altra risposta su cui conviene riflettere.<br />“Dov’è la vostra fede?” chiede Gesù ai discepoli, ammonendoli sulla loro scarsa capacità di avere fiducia in lui. .<br />Qui la fede richiesta da Gesù è soprattutto fiducia.<br />Non si tratta di una fede intesa come adesione a un insieme di credenze definite con assoluta precisione o di una fede professata solo verbalmente..<br />Questa fede-fiducia è qualcosa che nasce dal cuore di una persona.<br />E’ la ferma persuasione che sulla barca della nostra avventura umana ci sarà sempre un passeggero clandestino, pronto a prendere in mano il timone e a condurci in salvo.<br />Vorrei concludere questa riflessione con un pensiero di Bernanos il quale un giorno si è domandato che cosa è la fede e ha trovato questa risposta: “La fede è ventiquattro ore di dubbi meno un minuto di speranza”.<br />A me sembrano parole molto consolanti.<br />I dubbi li conosciamo: ci accompagneranno sempre fino al termine del nostro cammino.<br />Ma, forse, potrà bastare, per essere riconosciuti come veri credenti, un minuto di speranza, purché questa speranza porti un nome, quello di Gesù, nostro dolcissimo amico, inseparabile compagno di viaggio e guida verso l’altra riva.</div>don Luigi Pozzolihttp://www.blogger.com/profile/12849175491189054079noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-819306842891288059.post-48505224320408893132009-01-16T16:56:00.001+01:002009-01-16T19:02:40.315+01:00II dopo l'Epifania<div align="justify"><br />Giovanni 2, 1-11<br /><br />A Cana – ci dice il vangelo – Gesù manifestò la sua gloria.<br />Dove si rende visibile la gloria di Dio?<br />Si manifesta in occasione di un pranzo di nozze, nel fervore di una festa chiassosa, smodata, eccessiva come succedeva normalmente in quei tempi quando si celebrava un matrimonio<br />E’lì che Gesù, secondo Giovanni, ha compiuto il suo primo miracolo convertendo l’acqua in vino.<br />Ma il miracolo più sorprendente è stato quello d’aver fatto capire che Dio non solo non è geloso della gioia degli uomini, ma anzi la favorisce e la condivide.<br />La gloria di Dio è che l’uomo viva, dirà S. Ireneo.<br />Purtroppo sulla nostra religione pesa sempre questo sospetto: che sia una religione avara di gioia.<br />A certi giovani che ancora pensano a un cristianesimo fatto solo di doveri, divieti tabù e noia, tanta noia ( la colpa è soprattutto nostra, di noi adulti che abbiamo trasmesso loro questa impressione) verrebbe voglia di chiedere: “Avete mai letto il racconto del miracolo di Cana?<br />Perché guardate alle giare piene di acqua (era l’acqua che serviva per le abluzioni rituali, segno quindi di un formalismo religioso che voi condannate) e non vedete che ora sono piene del vino di una gioia sovrabbondante?”<br />Cerchiamo di entrare anche noi oggi nella vitalità di questa festa per vederne le diverse espressioni che Geù ha benedetto con la sua presenza.<br />La parola piacere, nel vocabolario cristiano, è vista ancora con sospetto: sembra evocare infatti qualcosa di disordinato o di troppo istintivo, soprattutto nella sfera della sessualità.<br />Ma il piacere non merita tutta questa diffidenza.<br />Il piacere esprime un consenso a tutto ciò che è al servizio della vita.<br />Chi avrebbe il coraggio di riprendere ogni mattina le stesse faticose incombenze se non ci fosse anche la speranza di poter assaporare le cose buone che la vita può offrire?<br />Qualcuno potrà dire che questo è un discorso troppo umano.<br />Ma non bisogna dimenticare che il cristianesimo è la religione di un Dio che si è fatto uomo e che pertanto condivide tutto ciò che è costitutivo del nostro essere.<br />Ritorniamo al pranzo di Cana dove c’è una sovrabbondanza di piaceri semplici e naturali, che sono goduti come segno della amabilità del nostro Dio.<br />Un piacere è senza dubbio quello offerto dal vino che da Noè in poi è la creatura più celebrata nella Bibbia.<br />“Che vita è quella di chi è privato del vino?”si legge nel libro del Siracide (31, 27).<br />E motivo di godimento – sempre nel corso di questo pranzo di nozze - è poter fare un confronto tra un vino e l’altro e dir poi allo sposo: “Però, sei stato davvero bravo!<br />Ci hai fatto una bella sorpresa riservando il vino più pregiato alla fine”.<br />Dobbiamo dunque avere il coraggio di pensare e di affermare che quando si parla di piacere Dio non è lontano.<br />Ma il piacere, che in sè è cosa buona, appartiene pur sempre all’ordine del provvisorio e dell’effimero per cui qualcuno è costretto a dire: “Non hanno più vino”.<br />A un livello superiore si pone la felicità che nel vangelo è rappresentata dalla festa di nozze e dal godimento dell’amicizia.<br />La felicità è più del piacere.<br />Una persona che dice:“Voglio essere felice” non invoca solo un appagamento dei sensi, ma un benessere profondo, un’armonia interiore, un calore che nasce dall’esperienza dell’amicizia.<br />Però anche la felicità si rivela fragile.<br />Che si possa vivere felici e contenti per tutta la vita si legge solo nelle favole.<br />C’è invece una felicità che può resistere a ogni forma di usura, e si chiama gioia.<br />Il vangelo di oggi celebra soprattutto la gioia.<br />La gioia trova la sua ragione più profonda nella presenza di Gesù, il quale fa sentire e rende visibile l’amore del Padre.<br />Che cosa conta di più nella vita?<br />E’ sapere che Dio ci ama.<br />A darci questo vino generoso è venuto Gesù.<br />E’ lui il vero sposo delle nozze di Cana.<br />E’ lui al centro del racconto.<br />”Venite, venite! È Dio che si sposa” scrive un autore francese, Jean Debruynne, commentando questo racconto.<br />Il vino ch’egli ci serve bisogna consumarlo senza moderazione, perché viene a placare quella sete di amore che da sempre ci fa soffrire.<br />Che cosa fare per godere di questa gioia?<br />“Fate tutto quello che egli vi dirà” ci dice la madre di Gesù.<br />La gioia sta nel credere che tutto quello che il Signore ci dirà avrà una tonalità nuziale, come una parola che venga da un cuore innamorato.<br />E il Signore, parlando della sua “ora” ( allude all’ora in cui avrebbe offerto il vino del banchetto ultimo, il sangue versato per amore) ci fa capire che la gioia è strettamente legata alla capacità di donare.<br />E la gioia cresce se ci si mette al servizio della gioia dei fratelli.<br />E’ significativo il fatto che i primi e forse gli unici testimoni del miracolo siano stati gli umili addetti al servizio della tavola.<br />Chi può accogliere l’invito di Gesù?<br />E’un invito che richiede molta docilità interiore come quella di Maria che all’angelo aveva detto: “Si faccia di me secondo la tua parola”o, quanto meno, quella capacità di auscultazione del proprio cuore che appartiene ai grandi poeti come Tagore il quale ha scritto::<br />“Dormivo e sognavo che la vita non fosse altro che gioia.<br />Mi svegliai e vidi che la vita non era altro che servizio.<br />Mi misi a servire e capii che il servizio era la gioia”. </div>don Luigi Pozzolihttp://www.blogger.com/profile/12849175491189054079noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-819306842891288059.post-30095478878840505022009-01-05T19:16:00.000+01:002009-01-05T19:18:25.879+01:00Solennità dell'Epifania<div align="justify">Matteo 2,1 - 12<br /><br /> Che cosa rappresenta per noi l’Epifania?<br />Ne abbiamo fatto la leggenda di un viaggio favoloso, da collocare in una cornice di folclore.<br />Bisogna restituire all’epifania, almeno all’interno di una celebrazione liturgica, la sua densità teologica e salvifica.<br />Per questo è necessario aprirsi allo stupore rileggendo con attenzione il testo di Matteo.<br />Lo scenario evocato dal racconto ha dimensioni cosmiche tanto è vasto non solo in estensione ma anche in altezza.<br />Comprende infatti il limite estremo del mondo (“venuti dall’Oriente” si dice dei Magi) e la sommità più alta del cielo, là dove si affacciano le stelle.<br />E vasto è pure lo scenario di ordine storico, con la presenza di una città, Gerusalemme, carica di memorie e con il rimando alle scritture in cui sono custoditi secoli di tradizioni religiose.<br />Questo vasto, immenso scenario ha un punto unificante, che vale cioè come centro di attrazione e di convergenza di tutti gli elementi che abbiamo richiamato.<br />Questo centro non è né in alto né in oriente e neppure a Gerusalemme.<br />Il centro di tutto ciò che esiste è Betlemme:”E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda”.<br />Che senso hanno gli astri e i pianeti su cui un giorno si è interrogato il grande Leopardi: “Che fai tu, luna, in ciel?”?<br />Che senso hanno le scienze astronomiche e quelle religiose?<br />E le ricerche smaniose degli uomini che scrutano i cieli e scrutano i libri?<br />Ci sono tante luci disseminate nel mondo, ma la luce vera, il vero Oriente, è quel bambino che è nato a Betlemme.<br />Dio si è rivelato e come luogo rivelativo per tutta l’umanità, per gli uomini dell’Oriente e dell’Occidente, per le persone colte e per quelle semplici, ha scelto l’umile condizione di un neonato.<br />Questo è il messaggio teologico dell’Epifania.<br />Insieme a questo messaggio, l’Epifania ne esprime un altro che riguarda le nostre risposte, cioè il cammino per arrivare fino a Gesù.<br />A questo proposito, bisogna considerare come esemplare e normativo il comportamento dei Magi e, prima ancora, quello della stella..<br />“E le stelle stanno a guardare” aveva detto anni fa uno scrittore denunciando l’impassibilità del cielo nei confronti di tutto ciò che vivono e soffrono gli uomini.<br />Ma le stelle, ci dice oggi Matteo, non sono impassibili: sono vivaci, partecipi, in movimento, docili a quella gravitazione che viene esercitata dal mistero di Betlemme.<br />Nel solco luminoso tracciato da una stella si muovono gli uomini venuti dall’Oriente, modellando la loro docilità sulla docilità della stella che li guida.<br />E’ una docilità a quell’attrazione misteriosa che da Betlemme si è trasmessa alla stella e dalla stella al loro cuore.<br />I magi diventano perciò dei cercatori dell’assoluto, uomini delle lunghe distanze e delle pazienti interrogazioni, sempre pronti a interpretare ogni segno della creazione e il volto di ogni viandante.<br />I Magi sono quello che noi non siamo capaci di essere.<br />Abbiamo davanti una lunga teoria di persone – e tra queste possiamo essere anche noi – che non ha più domande da fare, ma solo risposte da dare, certezze da affermare, con una perentorietà che non ammette obiezioni.<br />E’ gente che non legge e non pensa, non ama il silenzio e non prega.<br />Gente che possiede quel piccolo sapere specialistico che riempie di presunzione e non sa mettersi in sintonia con la verità più vasta e più profonda, quella che brilla nella luce di una stella o negli occhi di un bambino.<br />Ma torniamo ai Magi.<br />A me piace immaginarli con grandi occhi, occhi dilatati, capaci di vedere anche nella notte, occhi come di uccelli notturni.<br />Sapete che la civetta è l’animale simbolo dei monaci, degli uomini cioè amanti delle solitudini, capaci di vedere nelle tenebre l’approssimarsi dell’aurora..<br />Ma i Magi, nonostante i loro grandi occhi, non sarebbero ancora riusciti a vedere nell’oscurità di Betlemme se il loro guardare e interrogare non fosse stato accompagnato da altri gesti.<br />“Prostratisi, lo adorarono” dice il vangelo.<br />E poi offrirono doni.<br />La lezione è trasparente.<br />Una sapienza senza amore, che luce potrebbe dare?<br />La sapienza che permette di vedere è solo quella che si nutre di umiltà e di tenerezza.<br />Gli occhi vedono solo se il cuore è capace di amare.<br />Chi è capace di vedere la luce fino a contemplare la luce vera che illumina ogni uomo?<br />Chi è capace di servire, di abbassarsi di fronte ad ogni creatura che soffre, fosse pure un piccolo animale.<br />I Magi, davanti a Gesù, si sono abbassati in un gesto di donazione e di offerta.<br />Si sono fatti piccoli, sulla misura del bambino.<br />E da quel momento – c’è da crederlo - hanno avuto l’impressione di essere sollevati: sollevati dalla oscurità di tante domande senza risposta, sollevati dalla paura per i tanti Erode che ci sono nel mondo, sollevati dalla schiavitù delle cose che catturano lo spirito.<br />Ritornando nella loro regione non avrebbero più trovato, a guidarli, una stella, ma la luce oramai la portavano dentro, dopo aver contemplato il bambino.<br />Se abbiamo celebrato bene questo Natale per aver cercato la verità e interrogato la parola di Dio e, soprattutto, per avere scelto di abbassare il nostro orgoglio e il nostro egoismo davanti a qualche piccolo, immagine viva del piccolo di Betlemme, anche noi questa luce la custodiremo dentro come un dono prezioso.<br />E che il Signore ce la conservi sempre, anche nei giorni difficili.</div>don Luigi Pozzolihttp://www.blogger.com/profile/12849175491189054079noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-819306842891288059.post-47150464875341276692009-01-05T19:11:00.000+01:002009-01-05T19:15:52.877+01:00Domenica dopo l'ottava di Natale<div align="justify"><br />Luca 4, 14-22<br /><br />Non abbiamo ancora celebrato la solennità dell’epifania e già la liturgia ci distoglie dall’immagine del bambino Gesù.<br />Ce lo presenta infatti non più come infante, cioè come un essere che non parla (tale è il senso primo della parola infante), ma come profeta, come uno che parla in nome di Dio, consapevole della missione che gli è stata affidata.<br />Ma lo strappo, se così si può dire, è solo apparente.<br />Perché, come avremo modo di sottolineare nel corso di questa riflessione, sono molte le affinità che avvicinano questo racconto al vangelo dell’infanzia che ci è stato dato dallo stesso evangelista, Luca.<br />Già è significativo il fatto che Luca faccia partire la missione pubblica di Gesù da Nazaret, da questa terra di nessuno che aveva fama di non sapere produrre nulla di buono.<br />Contrariamente agli uomini di potere, Gesù non cerca un luogo prestigioso, un luogo che oggi potremmo chiamare mediatico, per lanciare il suo messaggio.<br />Come non vedere una certa parentela di significato nella scelta di Betlemme per nascere e di Nazaret per iniziare la sua missione profetica? <br />Ma seguiamo ora Gesù a Nazaret.<br />Siamo nella sinagoga.<br />La sinagoga dl villaggio era un modesto luogo di preghiera e di ascolto della parola di Dio.<br />Gli occhi di tutti sono fissi su di lui.<br />Il momento è solenne.<br />Gesù fa scorrere il rotolo del profeta Isaia..<br />Si sa, dai manoscritti scoperti a Qumran, che il profeta Isaia era uno dei più utilizzati al tempo di Gesù.<br />Il manoscritto più antico del mondo è precisamente un rotolo di pergamena (trovato non molti anni ani fa in una grotta a Qumran e conservato ora nel museo del libro di Gerusalemme) sul quale è riprodotto a mano proprio il testo di Isaia.<br />Si può immaginare la commozione dei presenti nell’ascoltare parole così ricche di fiducia e di speranza.<br />Vien fatto di pensare alla commozione dei pastori quando furono i primi a ricevere dagli angeli l’annuncio della salvezza che Dio aveva preparato per il suo popolo.<br />Il vangelo, non va dimenticato, è un lieto annuncio soprattutto per la povera gente e per tutti coloro che si riconoscono poveri e vanno mendicando con umile cuore un senso alto del vivere.<br />Gesù lascia cadere lentamente le sue parole, facendo proprio il linguaggio del profeta.<br />C’è una parola buona per tutti i poveri, c’è una liberazione per tutti i prigionieri, c’è una luce nuova per gli occhi di coloro che sono rimasti ciechi.<br />C’è da piangere di commozione seguendo le parole con cui Gesù preannuncia un anno di grazia del Signore.<br />Ma l’omelia di Gesù ottiene, diremmo oggi, il picco di ascolto quando Gesù osa dire : “Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi”.<br />Oggi il compimento delle promesse si avvera.<br />Luca usa dodici volte nel suo vangelo questo misterioso e solenne oggi, da “Oggi vi è nato un Salvatore”, a Natale” a “Oggi sarai con me in paradiso”, sulla croce.<br />Gesù è l’oggi di Dio.<br />In lui si concentra tutta l’avventura degli uomini con Dio.<br />Con Gesù la buona novella non è più soltanto una promessa: è forza e luce che possono cambiare già da oggi la nostra vita.<br />Ma per noi che leggiamo la parola di Dio da molto tempo, sembra talvolta che sia sempre la stessa cosa: non cambia niente.<br />Non è forse questa del resto l’impressione di tanti giovani usciti da famiglie cristiane, i quali si tengono lontano dalla chiesa perché ritengono che ci sia un clima di chiusura che impedisce di vivere pienamente?<br />Fortunatamente ci è dato lo Spirito che ci riscatta da questa rassegnata passività.<br />Anche per Gesù, nel vangelo di Luca, è lo Spirito la sorgente delle sue ispirazioni e delle sue decisioni.<br />È lo Spirito Santo che lo porta a Nazaret, nella sinagoga, per cui può dire con le parole del profeta: “Lo Spirito è su di me”.<br />Perciò dovremmo pregare lo Spirito Santo dicendo:”Apri le nostre orecchie per ascoltare la voce di Gesù. Apri il nostro cuore alla sua parola vivente”.<br />Se leggessimo il vangelo come un giovane legge la lettera della propria fidanzata (l’immagine è di Kierkegaard), quali lezioni di vita ci verrebbero date dal vangelo di oggi?<br />Si parlava dell’oggi di Dio, di quel tempo di grazia annunciato da Gesù, che però non trova riscontri concreti nella esperienza che abbiamo di tutti i giorni.<br />I poveri continuano a rimanere oppressi dalla loro condizione rattristante e perfino disperante.<br />Sarebbe stata dunque, quella di Gesù, una promessa vana e ingannevole?<br /> Ma forse siamo noi, i discepoli, colpevoli di non realizzare la profezia di Gesù.<br />ll card. Martini nel suo ultimo libro ci ha ricordato che “nella Bibbia Dio ama gli stranieri, aiuta i deboli, vuole che soccorriamo e serviamo in diversi modi tutti gli uomini”.<br />E noi che cosa facciamo per liberare i nostri fratelli che hanno bisogno della nostra solidarietà?<br />Facciamo poco o nulla, quando addirittura non ci mettiamo a criticare i vescovi più coraggiosi, tra cui il nostro, colpevoli unicamente di richiamare alla nostra coscienza le responsabilità che nascono dalla nostra appartenenza a Cristo. <br /> E c’è una seconda indicazione di percorso suggerita dal vangelo. <br />Quando parliamo di buona novella, dovremmo sempre saper accendere i cuori con parole che abbiano dentro una vibrazione gioiosa , mentre tante volte non ci accorgiamo di indugiare con una certa indulgenza su frasi amare, su una rattristante e deprimente denuncia del male. <br />Se si confronta il testo di Isaia citato da Gesù con la pagina da cui è tratto, si rimane sorpresi nel vedere che manca la parte finale, dove si parla di “un giorno di vendetta del nostro Dio”.<br />Sarebbe bello pensare che Gesù abbia intenzionalmente “censurato” il testo perché l‘annuncio della salvezza fosse totale, senza riserve di alcun genere.<br />Se saremo capaci di non mortificare le parole meravigliose che Gesù ha pronunciato all’inizio della sua vita pubblica e di dare visibilità all’anno di grazia annunciato dal Signore, potremo essere testimoni dell’oggi di Dio, di quel Dio che si è fatto uomo per essere pienamente solidale con la nostra condizione di mendicanti alla ricerca di una possibile salvezza.</div>don Luigi Pozzolihttp://www.blogger.com/profile/12849175491189054079noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-819306842891288059.post-11756879571724281352008-12-21T19:20:00.003+01:002009-01-05T19:19:30.143+01:00VI Domenica di avvento<div align="justify">Luca 1 26-38<br /><br />Bisognerebbe leggere i testi di questa liturgia con l’animo aperto a un infinito stupore.<br />Come quando da piccoli ci capitava di ascoltare una storia meravigliosa, con gli occhi che brillavano per la dolce emozione.<br />Perché tutto ciò che ci viene raccontato è nel segno della novità, della sorpresa, dell’incantamento.<br />E non si tratta di una favola, ma di una realtà che ha la leggerezza di una favola.<br />Protagonista assoluto di questa narrazione è Dio, o meglio, la fantasia di Dio.<br />E’una fantasia, quella di Dio, che noi stentiamo a seguire in tutti i suoi imprevedibili percorsi.<br />Dico “noi” occidentali, che ci siamo arresi alla dimensione della razionalità tecnologica mortificando la immaginazione e gli slanci del cuore.<br />Anche il nostro mondo religioso soffre di queste angustie se è vero che siamo tutti pronti a riconoscere che “nulla è impossibile a Dio” (come dice a Maria l’angelo dell’annunciazione), ma di fatto pretendiamo di essere noi a governare la volontà di Dio, con il risultato di vivere una religione dove tutto è scontato, prevedibile, risaputo e perciò noioso; dove anche Dio diventa noioso, in quanto creato a nostra immagine e somiglianza.<br />Ma Dio è libertà totale, è novità, è sorpresa.<br />E’ un Dio che non può essere relegato negli spazi ristretti che noi gli assegniamo.<br />“Lo Spirito santo scenderà su di te…su te stenderà la sua ombra la potenza dell’altissimo”: è stupenda nella sua profondità e delicatezza questa espressione.<br />Si parla dunque di Dio, di un Dio che discende e quasi dimentica la sua dimora eterna per dimorare in mezzo agli uomini.<br />E dove Dio intende porre la sua nuova dimora?<br />Dire che la casa di Maria è il nuovo tempio di Dio è qualcosa di vero e insieme di non completamente vero.<br />La dimora sarà ancora più piccola per colui che è l‘immenso e l’eterno: la dimora sarà la carne di Maria..<br />Il grembo di Maria è l’arca, la tenda, il tempio di Dio.<br />Ma neppure quest’ultima affermazione esprime tutta la novità del vangelo.<br />C’è un altro tempio, più piccolo ancora, più segreto: un nulla di tempio.<br />E’quel germe di carne che prende vita nel ventre di Maria: in quel niente si rivela l’inaccessibile e l’invisibile Dio.<br />Mistero immenso la venuta di Dio fatta di soffio e di ombra, mistero stupendo se si pensa che la salvezza non è significata in questo racconto da una perfezione morale conquistata a duro prezzo, ma da un abbandono all’azione gratuita di Dio.<br />“Piena di grazia” così l’angelo saluta Maria: piena cioè dell’amore gratuito di Dio.<br />La salvezza consiste nel lasciarsi amare.<br />E’ un messaggio meraviglioso soprattutto per noi che ci troviamo a misurarci con i nostri limiti morali e spirituali, sempre risorgenti perché mai completamente debellati.<br />Se la salvezza dipendesse unicamente dal proprio impegno volontaristico, chi potrebbe dire di meritarla?<br />Ma ci conforta sapere che prima di ogni nostro merito, c’è la grazia, c’è un Dio di grazia,.<br />C’è un Dio che si incarna per amore e perciò è nella nostra carne, nel nostro nascere e morire, nella successione dei giorni e in ciascuna delle nostre giornate.<br />E questo avviene prima che ce ne rendiamo degni tanto che al nostro fratello ateo potremmo – dovremmo - segretamente confidare: “Tu credi di esserti separato da Dio, ma Dio non si separa mai da te”.<br />Si diceva all’inizio dello stupore che dovrebbe essere la nota emotiva costante della nostra fede.<br />Ma per aprirsi allo stupore e per nutrirsi di stupore è importante ascoltare la “musica silenziosa” che accompagna l’ombra così dolce dell’annunciazione.<br />Di questo ascolto attento e silenzioso, colmo di stupore, Maria nel vangelo è un’immagine esemplare.<br />L’angelo Gabriele la trova raccolta nella sua casa.<br />Non è necessario, come hanno fatto tanti artisti, immaginarla inginocchiata a leggere qualche testo profetico o a pregare.<br />E’ certo invece che il colloquio è avvenuto nel raccoglimento di una piccola casa palestinese.<br />Può essere che anche a noi Dio mandi un angelo.<br />Se non ci trova. è perché non siamo in casa.<br />Voglio dire questo: non siamo raccolti in quella grotta interiore in cui Gandhi amava dimorare,<br />ma siamo sempre altrove, dispersi in mezzo a mille banalità, a inseguire interessi senza spessore.<br />Chi è capace ancora di trovare uno spazio di silenzio per ascoltare una voce che venga dalla profondità di Dio?<br />Dovremmo perciò, preparandoci al Natale, affidare al Signore questa preghiera:<br />“Signore, abbiamo capito che la tua parola non ama le piazze e le ribalte, ma i silenzi colmi di attesa.<br />Salvaci dalle parole inutili, le nostre e quelle degli altri.<br />Fa’ che troviamo la via di casa dove possa avvenire anche per noi un annuncio portatore di gioia<br />E fa’ che a nostra volta possiamo diventare angeli dell’annunciazione per tanti nostri fratelli.<br />E’ bello sentirsi inviati a dire: “Rallegrati. Il Signore è con te. Tu sei benedetto.<br />C’è Dio che dice bene di te, si compiace di te, perché vede in te i lineamenti del figlio suo Gesù”.<br />E fa’ che tutto questo avvenga nella gioia di ricevere e di poter donare.<br />Come Maria che correrà da Elisabetta a cantare il <em>magnificat</em>”.</div>don Luigi Pozzolihttp://www.blogger.com/profile/12849175491189054079noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-819306842891288059.post-78883239547085462882008-12-07T18:58:00.000+01:002008-12-07T18:59:22.539+01:00IV Domenica di Avvento<div align="justify">Isaia 16, 1-5<br />Salmo 149<br />1 Tessalonicesi 3, 11-4,2<br />Marco 11, 1-11<br /><br />Gesù fa il suo ingresso in Gerusalemme.<br />Perché la liturgia ci propone questo racconto in tempo di avvento?<br />Non è difficile capire.<br />La venuta del Signore si attua dentro il tessuto delle relazioni umane, là dove ci sono persone che lavorano, soffrono, sperano, cercano di dare un senso positivo alla loro vita.<br />Per questo Gesù non può ignorare la grande città.<br />Noi siamo soliti dire, con una espressione che è diventata oramai abituale, che la vita in città è stressante.<br />Forse lo stesso lamento era diffuso al tempo di Gesù.<br />La città è infatti il luogo della complessità, della competizione, di una certa durezza di rapporti, <br />Su Gerusalemme poi gravava la fama di essere una città scomoda per i profeti.<br />Fossimo stati noi accanto a Gesù, gli avremmo dato questo consiglio: “Non entrare in città. Perché vuoi andare proprio là dove sarebbe prudente non andare?”.<br />Ma il Signore non si è incarnato per seguire i nostri accorgimenti prudenziali.<br />Incarnazione vuol dire immersione in tutta la realtà umana, anche in quella più problematica e sgradevole.<br />Per questo il consumarsi dell’incarnazione esigeva che Gesù affrontasse la grande città con tutte le sue tensioni e contraddizioni.<br />Oramai la strada è tracciata anche per chi si dice discepolo di Cristo.<br />Il cristiano non è colui che si ritira nella sua tenda ignorando tutto quello che avviene attorno, ma è colui che si rende presente là dove si costruisce la città degli uomini.<br />E’ presente con la sua intelligenza, la sua competenza, con la sua passione di confrontarsi e di collaborare: in una parola, con la sua responsabilità.<br />Gesù però, entrando nella città di Gerusalemme, non ha soltanto indicato un percorso da seguire, ma ha insegnato alcune modalità fondamentali che dovrebbero caratterizzare la presenza dei cristiani in mezzo alla società.<br />La prima nota distintiva è quella della mitezza, che è una sorta di fragilità vincente, di leggerezza tenace.<br />Tutto il racconto di Marco che abbiamo letto suggerisce uno stile di mitezza attraverso immagini e gesti che sembrano compenetrati da un’atmosfera di pace.<br />Mite è la cavalcatura di Gesù, mite il suo incedere in città<br />E mite è soprattutto il suo silenzio.<br />Abituati, come siamo, ai messaggi gridati, urlati, imposti un modo intimidatorio o ricattatorio, la scena del vangelo ci sembra perfino irreale.<br />A volte anche noi cristiani andiamo a scuola e prendiamo lezione da chi nella società grida di più per farsi ascoltare.<br />Perché dovremmo essere meno intraprendenti degli altri nel sostenere le nostre ragioni?<br />Dimentichiamo però una cosa: ciò che vale per una società mercantile quale è la nostra, non vale per il mondo segreto della fede.<br />Una società mercantile ha bisogno di imbonitori, di piazzisti, di gente che sappia vendere bene la propria merce (e merce può essere anche un programma politico e perfino un comportamento religioso).<br />La fede si propone invece discretamente, senza pretese.<br />Non è una mondanità da esibire o una ideologia da difendere.<br />E’ una germinazione al soffio lieve dello Spirito.<br />Essa parla a bassa voce, cresce nel silenzio delle parole umane.<br />In una società mercantile dove il minimo segno di debolezza sembra essere qualcosa di indecente, non ha paura di apparire fragile e perdente.<br />La sua forza è altrove: in una ragione segreta che non si può conoscere mediante le risorse della mente, ma seguendo le indimostrabili intuizioni del cuore.<br />C’è un’altra nota che caratterizza l’ingresso di Gesù nel sua città e, di riflesso, la presenza dei cristiani nel mondo.<br />A Gerusalemme lo attende la morte, ma Gesù non si lascia vincere dalla paura.<br />Gesù è straordinariamente libero, ed è libero perché è straordinariamente distaccato da tutto ciò che appartiene all’ordine del possesso.<br />Chi coltiva ambizioni nell’ambito del potere e del possesso, deve adattarsi a certi canoni di comportamento, deve usare certi accorgimenti che mortificano la tua libertà.<br />Se Gesù è straordinariamente libero, libero anche di fronte alla morte, è perché, avendo dato tutto, non ha più nulla da perdere.<br />Un’ultima osservazione su questo testo.<br />Anche se si tratta di un fatto che precede di pochi giorni la morte di Gesù, esso ha anche una strana e segreta parentela con il natale del Signore.<br />Quali sono le ragioni che ci portano a vedere questa segreta affinità?<br />Gesù si presenta fragile, indifeso, vulnerabile, come il bambino di Betlemme,<br />E come quel bambino, è infante, cioè colui che non parla.<br />A parlare, a cantare, come a Betlemme, sono invece le persone che accorrono intonando un canto che richiama quello degli angeli: <osanna><br />A Natale la pace viene annunciata dal cielo alla terra, qui viene annunciata dalla terra al cielo.<br />Anche questo racconto è dunque una celebrazione dello spirito d’infanzia in cui si racchiude tutta la spiritualità del vangelo di Gesù.<br />La pace di cui gode Gesù è come quella di un bambino che si affida tra le braccia protettive del padre.<br />“Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” dirà sulla croce.<br />Credere nell’amore di Dio, lasciarsi amare da Dio, abbandonarsi all’amore di Dio: qui sta il segreto di quella straordinaria serenità che anche noi possiamo gustare, pur attraversando le molteplici prove dell’esistenza. </div>don Luigi Pozzolihttp://www.blogger.com/profile/12849175491189054079noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-819306842891288059.post-23034826867019525282008-11-26T15:19:00.004+01:002008-11-26T15:25:43.480+01:00II Domenica di avvento<div align="justify"></div><div align="justify">Matteo 3, 1-12</div><div align="justify"></div><div align="justify"> </div><div align="justify">Credo che Giovanni Battista possa trovare tanti ammiratori anche oggi, pur essendo un personaggio non facile da accettare.Senza dubbio è un personaggio ruvido, aspro, tagliato, si direbbe, con l’accetta,Tra lui e Gesù la differenza è enorme.Il Battista, per convertire il mondo, fugge nel deserto, Gesù invece va a incontrare le folle nei villaggi e nelle città;il primo è un asceta nel senso tradizionale della parola, si nutre di niente, considera il mondo cattivo e l’uomo perverso, (lo immaginate il Battista a un pranzo di nozze come quello di Cana?),l’altro, Gesù, ha molte amicizie, anche con persone dalla riputazione non proprio limpida e sta volentieri a tavola tutte le volte che gode dell’ospitalità di qualcuno;il Battista sembra un profeta di sventure, mentre Gesù predica la buona notizia del regno di Dio.Sarebbero tante le ragioni per negare la nostra simpatia a Giovanni.Eppure, per certi aspetti, è una figura che suscita approvazione e ammirazione.Quali sono le ragioni per cui ottiene il consenso di molti?Anzitutto lo si ammira perché è uno che parla chiaro.In un altro passo del vangelo è detto che il Battista ricordava a ogni categoria di persone, con precisione, le responsabilità specifiche e i doveri da affrontare.Sono molti oggi a rimpiangere questa chiarezza che forse nella predicazione esisteva in passato e ora non si ritrova più.Sono persone che ai predicatori sembrano rivolgere questa richiesta:“Diteci quello che dobbiamo fare. Come il Battista. Abbiamo bisogno di sapere esattamente su che cosa saremo giudicati”.C’è un’altra ragione per cui il Battista può ottenere la simpatia di molti: è uno che ha il coraggio di metterti addosso un po’di paura.Un po’ di paura, si pensa, farebbe bene anche oggiNessuno parla più dell’inferno e le conseguenze di questa colpevole amnesia sarebbero sotto gli occhi di tutti.Questo è il pensiero di molte persone nel giudicare la figura del Battista.Queste stesse persone però andrebbero in crisi se riflettessero bene su une parola di Giovanni, detta ai farisei e ai sadducei: “Non crediate di poter dire tra voi: Abbiamo Abramo per padre.Vi dico che Dio può far sorgere figli di Abramo da queste pietre”.E’ come se il Battista dicesse ai farisei e ai sadducei di oggi, cioè a noi, credenti e praticanti:“Non crediate di sentirvi tranquilli soltanto perché osservate in modo scrupoloso tutte le norme rituali e morali.Se manca una vera conversione interiore, non avete diritto di proclamarvi figli di Abramo e della chiesa.. Figli di Abramo e della chiesa Dio li potrebbe far sorgere anche dai sassi e dai rovi, cioè da miscredenti e peccatori.Perché lo Spirito di Dio non si attiene ai registri parrocchiali e al diritto canonico-C’è una chiesa più vasta che soltanto lui conosce, perché è libero e soffia dove vuole”.Abbiamo cercato di definire qual è il nostro rapporto con Giovanni il battezzatore.Può essere interessante, a questo punto, immaginare quale dovesse essere il giudizio di Gesù.Che cosa pensava Gesù di questo profeta che sulle rive del Giordano attirava folle di penitenti?Gesù doveva avere una grande ammirazione, tanto che pare sia stato suo discepolo prima di farsi battezzare da lui.Certamente Gesù è rimasto impressionato dal suo vigore fisico e spirituale, dalla sua forza profetica, dalla passione e dal coraggio con cui chiamava le folle alla penitenza per prepararsi alla venuta del Messia.Anche lui, Gesù, avrebbe iniziato la predicazione riprendendo da Giovanni il tema della conversione. “Convertitevi e credete al vangelo”.C’è però, a creare un sensibile distacco dalle posizioni di Giovanni, che pure continuava ad ammirare, proprio questa parola: vangelo.Mentre Giovanni si appellava a un Dio vendicatore, Gesù si proponeva di parlare della buona notizia di un Dio misericordioso e perdonante, che accoglie tutti e a tutti offre l’attestazione del suo amore.Non vuol dire che in Gesù vengono cancellate tutte le responsabilità morali che avevano un grande rilievo nella predicazione di Giovanni.Solo che esse non sono più la condizione per incontrare Dio (Gesù non impone condizioni all’incontro), ma sono la risposta che nasce dopo aver conosciuto la sua infinita benevolenza..Anche per Gesù la conversione richiede un mutamento radicale di pensieri e di comportamentiMa sappiamo anche che la conversione, prima che una conquista nostra, è una iniziativa di Dio.All’inizio non c’è un compito da svolgere, ma l’accoglienza di un incontro.Il principio creativo di ogni vera conversione è il Signore che viene a noi con il suo immenso amore, la sua fiducia, la sua pace.In questo tempo di avvento dovremmo, come chiesa, sentire la passione di annunciare a tutti questa bella notizia.Non associamoci al coro di quanti sono sempre pronti a recriminare, a deplorare, a denunciare le debolezze e le stoltezze degli uomini.L’azione del Battista è importante, ma ancora più importante è quella di Gesù.Il vangelo è la storia meravigliosa dell’amore folle di Dio che non cessa di stupirci.“E’ inimmaginabile”siano tentati di dire.Appunto. Si tratta di qualcosa che mai avremmo potuto immaginareE’da questo stupore che nasce la conversione.Si può anzi dire che la misura del nostro stupore segna anche la misura della nostra conversione. </div>don Luigi Pozzolihttp://www.blogger.com/profile/12849175491189054079noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-819306842891288059.post-48070445874104975172008-11-26T15:14:00.001+01:002008-11-26T15:24:35.619+01:00Tutti i santiApocalisse 7, 2-4.9-14<br />Salmo 231<br />Giovanni 3, 1-3<br />Matteo 5, 1-12<br /><br /><div align="justify">Perché questa festa è molto sentita e molto amata?Anzitutto perché ci parla di beatitudine, di una gioia piena, di una felicità incommensurabile.Noi siamo tutti mendicanti di gioia.Questo anelito è la ragione del nostro esistere.Anche chi sceglie un percorso sbagliato, dimostra comunque di essere mosso da questo anelito che, se rimane inappagato, è motivo di grande sofferenza.Ecco perché oggi ascoltiamo il discorso delle beatitudini con particolare commozione.Qui c’è l’annuncio di una possibile felicità.Ed è un annuncio ben diverso da quello che ci viene dispensato dai soliti imbonitori alla moda che promettono l’impossibile facendo leva sulla nostra credulità.Qui l’annuncio viene da molto lontano, ha attraversato i secoli e si presenta senza orpelli o lustrini accattivanti.Anzi ha il coraggio di coniugare paradossalmente felicità e povertà, felicità e lacrime, felicità e persecuzioni.Ma il cuore deluso da tante proposte ingannevoli si fa attento a questo annuncio.Se fosse vero che è vangelo, cioè la buona notizia tanto attesa e invocata?C’è una seconda ragione che ci porta ad amare questa festa.E’ la memoria dei santi.I santi sono vangelo vissuto, vangelo incarnato.Il vangelo non è una dottrina o una teoria.Noi purtroppo ne abbiamo fatto una teoria, una dottrina da acquisire, da difendere, da esibire in certe occasioni.Che tristezza quando il vangelo viene usato strumentalmente per difendere la civiltà occidentale contro altre forme di civiltà, oppure per stabilire un codice di comportamento in questa nostra società che ha visto frantumarsi le certezze del passato.Ora il vangelo è soprattutto un modo nuovo di essere, di vivere.Questo ci ricordano oggi i santi. Loro il vangelo non lo hanno semplicemente conosciuto, commentato, posseduto come una verità religiosa, ma lo hanno incarnato. Sono diventati vangelo nei loro gesti, nei loro sorrisi e nelle loro lacrime, nella loro capacità di amare e di sperare.Sono diventati vangelo perché hanno conosciuto la gioia.Immaginare un santo triste è impossibile.Vorrebbe dire immaginare un santo che non abbia conosciuto Dio, che non sia entrato in rapporto con GesùLe beatitudini infatti, prima che un codice di comportamenti, sono l’immagine del nostro Dio, sono il volto di Cristo.Ma c’è un terzo motivo per amare questa festa.Essa ci porta a contemplare la moltitudine immensa dei santi.La prima lettura, presa dall’Apocalisse, si parla di 144.000 eletti, segnati con il sigillo che, come è facile immaginare, è quello della croce.144.000: sono tanti? sono pochi?È certo che non si tratta di un numero riduttivo, come se indicasse una minoranza rispetto alla massa, ma di un numero che evoca l’universalità.144.000 è infatti il risultato di 12 x 12 x 1000.Se è vero che nella cultura ebraica il numero 12 era il simbolo della pienezza, qui abbiamo la pienezza moltiplicata per la pienezza moltiplicata per mille.Che si tratti di un richiamo all’universalità è confermato anche dal fatto che poi si parla di una folla immensa che nessuno avrebbe potuto contare, di tutte le razze, nazioni, popoli e lingue.I santi dunque non sono soltanto un numero incalcolabile, ma nella visione dell’Apocalisse formano una grande famiglia, una comunione di intenti e di sentimenti, una coralità.Tra parentesi: io rimpiango le litanie dei santi di una volta, lunghe, interminabili, con tanti nomi strani, presi da chissà quale almanacco.Rimpiango queste litanie perché, a differenza di quelle di oggi, davano il senso della coralità.Se questa folla di santi ci parlasse oggi ad una voce sola, che cosa ci direbbe?Non ci parlerebbero né di miracoli né di congregazioni religiose da essi fondate né di altre cose che occupano tanto spazio nelle biografie dei santi.Io penso che canterebbero in coro il discorso delle beatitudini.Parlerebbero cioè della santità non come il frutto di un impegno volontaristico riservato a pochi eletti, a certe persone superdotate nella pratica dell’ascesi, ma ne parlerebbero con accenti tali da renderla amabile e contagiosa.Che cosa è la santità?È povertà che diventa pienezza.È l’offerta di due mani cave in attesa di essere colmate.È invocazione che attende di essere esaudita.C’è una parola di Gesù che dice a Santa Caterina da Siena: «Fatti capacità, io mi farò torrente».Dove c’è il vuoto, lì si rivela la prodigalità di Dio.La santità è un fatto di stupore nel vedere che il proprio vuoto è colmato dalla sovrabbondanza dell’amore di Dio che si riversa in noi sotto forma di benedizione, di fiducia, di perdono, di incoraggiamento a coltivare il gusto della vita.Per questo, nella folla dei santi onorati oggi dalla chiesa possiamo ricordare anche la presenza di santi anonimi, che mai arriveranno agli onori dell’altare.E possiamo immaginare anche qualche persona che abbiamo conosciuto, qualcuno della nostra famiglia o dei nostri amici.Potremmo – dovremmo - immaginare anche noi nel numero dei 144.000 raccolti un giorno attorno a Gesù a celebrare il miracolo di una povertà trasformata in pienezza nella piena rivelazione di quella parola che c’è in Giovanni: «Fratelli, …»</div>don Luigi Pozzolihttp://www.blogger.com/profile/12849175491189054079noreply@blogger.com0