domenica 3 gennaio 2010

Ottava del Natale nella circoncisione del Signore

All’inizio di un anno nuovo è consuetudine scambiarsi gli auguri.
Gli auguri non mancano neppure nella Bibbia, sebbene sotto altro nome e con ben altra forza.
Gli auguri nella Bibbia si chiamano benedizioni.
Meditando sulle letture di questa liturgia mi sono detto: “Ci sono, nel linguaggio degli uomini, parole più belle, più commoventi, più luminose di queste?”.
Dal Libro dei Numeri ci è stato trasmesso questo messaggio: il nostro Dio è un Dio che ama benedire.
Al museo d’Israele, a Gerusalemme, è esposto un pezzetto di cuoio, vecchio di duemilacinquecento anni (è il più antico documento riguardante un testo scritto della Bibbia) su cui sono riportate proprio le parole con le quali Aronne benedice il popolo d’Israele: “Ti benedica il Signore e ti protegga”.
Ma non accontentiamoci di questa prima indicazione, perché la parola benedizione per il Signore ha un valore e una forza che noi non sappiamo immaginare.
Quando noi parliamo di benedizione pensiamo a formule augurali, amabili e incoraggianti, che però non valgono a modificare il corso delle cose.
Benedire, come dice la parola, è dire bene di una persona, e questo è sempre un fatto molto positivo.
Sappiamo quanto è importante per noi, in certi momenti, sapere che c’è qualcuno che dice bene di noi o sentire da una persona una parola buona, che tocchi in profondità il nostro essere, tanto che a volte ci capita di ascoltare questa invocazione: ”Mi dica una parola buona” o di essere noi a mendicare una parola buona.
Il Signore non si limita a dire una parola buona d’incoraggiamento, ma benedice in modo creativo: augura e al tempo stesso crea ciò che va augurando.
E' interessante perciò prestare attenzione anche alle altre parole che si trovano nella prima lettura: ”Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti dia pace”.
La benedizione del Signore è il risplendere del suo volto sul nostro volto.
Qui la benedizione acquista un carattere personale: si stabilisce un rapporto da volto a volto e, poiché il volto rappresenta l’originalità di una persona, è un rapporto da persona a persona, da cuore a cuore.
Inoltre questa benedizione esprime una volontà di comunicare e di donare, come se ciò che appartiene a Dio (la sua luce, il suo amore, la sua pace) si riversasse come una corrente di grazia nel cuore di chi viene benedetto.
Possiamo affermare che quanto stiamo dicendo si è realizzato e si realizzi tuttora?
“Il Signore faccia brillare il suo volto”.
C’è stata una notte in cui il Signore ha fatto brillare il suo volto.
Il sorriso di Dio si è fatto carne e sangue con il volto di un bambino.
E quando i pastori trovarono quel bambino che giaceva in una mangiatoia, furono loro i primi ad essere benedetti con la luce del volto di Dio.
Ora sappiamo cosa vuol dire essere benedetti.
Ora sappiamo anche quello che i pastori non potevano sapere.
Noi siamo benedetti al punto che per mezzo di Gesù Cristo, come ci ha ricordato l’apostolo Paolo, siamo associati al suo destino di gloria.
Qui dovremmo tacere. Per troppe ragioni.
Non solo perché il mistero supera le parole, ma anche per una sorta di pudore, dato che il nostro cristianesimo è povero di senso mistico, di vera esperienza delle cose di Dio.
Che cosa è la fede per noi?
L’abbiamo ridotta a norma di vita, a programma filantropico, a ideale umanitario.
Ma la fede prima di tutto, è la contemplazione di un volto, quello di Gesù.
Prima di tutto è un innamoramento nei confronti di Gesù.
Il vero credente è colui che si ripete, stupito: ”Ma è proprio vero che sono figlio di Dio?
E’ proprio vero che Dio mi ama fino a questo punto? Da dove viene questa audacia che mi fa dire: ”Abbà! Padre!”?
Se riusciamo a capire qualcosa della benedizione che si è riversata sulla nostra vita, possiamo anche capire i comportamenti che il vangelo ci suggerisce come espressioni del segreto che ci è stato rivelato.
Primo comportamento è quello del silenzio colmo di stupore: ”Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore”.
Non finiremo mai di meditare perché non finiremo mai di stupirci.
Questo volto di Gesù va contemplato a lungo, in silenzio, con appena un filo di preghiera: “Fa, o dolce Dio del mio esistere, che qualcosa comprenda, qualcosa viva e realizzi nella mia vita di quanto tu mi riveli”.
C’è poi l’acclamazione: ”I pastori se ne tornarono glorificando e lodando Dio”.
Non è possibile non lodare quando ci si sente accolti e amati.
E infine c’è il desiderio di comunicare: ”Riferirono ciò che del bambino era stato detto loro”.
E’ bello gioire e comunicare gioia.
Si riceve e si dona perché altri ne godano e a questo modo si allarghi la benedizione di Dio.
Se avessimo una vera fede, dovremmo coltivare sempre il desiderio di fermare qualcuno ad un angolo di strada per parlargli della vita non come maledizione –sono già troppi a farlo- ma come benedizione e perciò come promessa di speranza e di pace.
A questo punto possiamo capire perché l’augurio più bello sia quello che ci viene suggerito dalle parole della prima lettura: "Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio, il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace”.

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