Esodo 14, 21-30°
Salmo Esodo 15, 1-2.9-10.12-13
Efesini 2, 4-10
Giovanni 11, 1- 45
C’è in questo testo di Giovanni una parola strana, misteriosa, difficile da spiegare.
Si tratta della parola ”risurrezione”.
E’ una parola che non appartiene al nostro dizionario, ma a quello di Dio”.
Perché solo Dio può risuscitare.
E’ la ragione per cui ci riesce difficile dare un contenuto preciso a questa parola.
Noi abbiamo una conoscenza di tipo sperimentale: come potremmo parlare di risurrezione se nessuno di noi ha vissuto questa esperienza?
Potrebbe dirci qualcosa Lazzaro, ma stranamente rimane muto.
In questo racconto parlano tutti: l’unico a non dire neppure una parola è proprio lui.
Non ci si meraviglia perciò se molti cristiani, interrogati sulla risurrezione, non sanno che cosa dire, mentre altri, che sarebbero capaci di scrivere interi trattati sull’argomento, farebbero bene a rispettare un famoso aforisma che dice: “Di ciò di cui non si può parlare, si dovrebbe tacere”. (Ludwig Wittgenstein).
Siamo dunque condannati a non dire nulla o a pensare, come succede spesso, che la risurrezione sia un evento da collocare in un futuro imprecisato, una cosa cioè, come dice Maria, dell’”ultimo giorno”?
Se così fosse, la risurrezione potrebbe non avere alcuna incidenza sulla nostra vita, perché è risaputo che le cose future interessano molto meno di quelle presenti.
Se non che, da questa possibile indifferenza, ci viene a liberare la parola di Gesù che si legge in questo vangelo: “Io sono la risurrezione e la vita”.
Gesù, aggiungendo la parola “vita” alla parola” risurrezione”, vuole farci capire che la risurrezione riguarda già l’oggi che stiamo vivendo.
C’è nella tradizione cristiana un memento che non è propriamente cristiano: “Memento mori, ricordati che devi morire!”.
Il memento cristiano, secondo il vangelo di Giovanni, è un altro: “Ricordati che devi risorgere!. Perciò fa’ in modo che la tua esistenza riveli già qualcosa della risurrezione che ti è promessa”.
Su questo modo di interpretare la risurrezione vorrei leggere una bellissima testimonianza di Kurt Marti, una figura esemplare della chiesa evangelica svizzera e anche grandissimo poeta:
”Domandate / in che cosa consiste / la risurrezione dei morti? / Non lo so /
Domandate / quando avrà luogo /la risurrezione dei morti/ Non lo so /
Domandate /esiste / una risurrezione dei morti?/ Non lo so /
Domandate / Non c’è/ risurrezione dei morti? / Non lo so /
Io so /soltanto /ciò che voi non evocate: / la risurrezione dei vivi. /
Io so / soltanto / ciò a cui egli ci chiama: / a una risurrezione qui e ora.”
Quali note dovrebbe avere un’esistenza che sia già stata toccata in qualche misura dal miracolo della risurrezione?
E’ Gesù che ci può dimostrare che cosa voglia dire vivere da risorti, Lui che ha detto: “Io sono la risurrezione e la vita”.
E’ importante perciò osservare i comportamenti di Gesù, in questo racconto di Giovanni, seguendolo da oltre il Giordano, dove si era rifugiato, fino alla tomba di Lazzaro.
“Andiamo di nuovo in Giudea!”: questa è la volontà di Gesù.
I discepoli lo sconsigliano: hai già dimenticato che per te è rischioso avventurarti da quelle parti?
Ma Gesù è deciso.
Chi crede nella risurrezione, non si lascia mai governare dalla paura scegliendo la via della fuga, ma penetra nel territorio della morte, l’affronta in tutte le sue manifestazioni, anche se lui stesso dovesse rimanere sconfitto.
“Gesù scoppiò in pianto”.
Perché questo pianto?
Non è solo commozione. E’anche sdegno, rifiuto, protesta.
Nel nostro tempo sta avvenendo qualcosa di particolarmente allarmante: ci stiamo abituando alla morte degli altri, alla morte di tutti.
Non sappiamo più reagire, sdegnarci, protestare.
Non sappiamo iùpiù piangere.
Non piangiamo più i morti di droga, i morti di fame, i morti di violenza, i morti ammazzati.
Ci limitiamo tante volte a pendere atto che la realtà è questa.
Gesù pianse. Noi guardiamo.
Vuol dire che non siamo ancora entrati nel dinamismo della risurrezione.
Chi vive da risorto, è uno che non si abitua mai a nessuna morte, ma si sente di condividere quello che ha detto Elias Canetti, che pure non era cristiano: “C’è un muro del pianto dell’umanità, e io gli sto accanto”.
”Gesù allora alzò gli occhi e disse: Padre”
Ecco il segreto della risurrezione: non una forma di esorcismo o di magia, ma una preghiera rivolta al Padre.
Perché solo Dio può far risorgere. E Gesù è risurrezione in quanto forma una sola cosa con il Padre. Per operare il miracolo della risurrezione, in noi e attorno a noi, bisogna essere strettamente uniti a Cristo e, con lui, al Padre, nell’amore.
“Lazzaro, vieni fuori!”;”Il morto uscì”
Gesù ti chiama fuori dal regno della morte.
E’ il tuo nome che viene pronunciato, un nome in cui palpita tutta la trepidazione dell’amicizia e che ti raggiunge nella singolarità del tuo essere: nel tuo spirito, nel tuo cuore, nel tuo volto, nel tuo corpo.
Vivere già nel presente la vita risorta, come ha fatto Gesù, è soprattutto una questione di amore.
Perché amare veramente – lo si è ricordato altre volte - è come dire alla persona amata: “ No, tu non morirai”.
Alla luce di queste osservazioni possiamo dire di vivere già da risorti?
Ha scritto Elias Canetti che abbiamo già citato: ”Se potessi davvero credere che Gesù ha vinto la morte, diventerei cristiano domani”.
Tocca a noi ora rendere credibile questa verità dimostrando che Cristo è risurrezione e vita già all’interno della nostra esistenza quotidiana.
Tutto è affidato alla nostra capacità di amare, di amare concretamente, nelle situazioni che stiamo vivendo.E’ questo il modo migliore perché la parola di Gesù non venga svilita e ridotta a puro strumento di illusoria consolazione, ma diventi principio di un mondo rinnovato.
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