Giovanni 11, 55-57; 12, 1-11
Questa pagina del vangelo di Giovanni ci presenta Gesù che siede a tavola , nella casa ospitale delle sorelle Marta e Maria.
Betania doveva essere per Gesù un luogo molto caro, perché lì poteva trascorrere ore rasserenanti, al riparo da certe asprezze che il contatto con la folla non mancava di procurargli.
Per vivere, si ha bisogno di un po’ di tenerezza, che può esprimersi attraverso piccoli segni quali un sorriso, un ascolto, una semplice parola detta con garbo e amabilità.
Vivere infatti è amare e lasciarsi amare
E questo amore coinvolge tutto il proprio essere, anche il proprio corpo.
Il corpo rivela la persona, il corpo è il segno dell’anima.
Leggendo il vangelo, non ci capita mai di trovare neppure un a volta un invito a diventare puri spiriti, creature pseudoangeliche di cui certe forme di spiritualità hanno preteso di definirne il ritratto, come fosse quello del vero cristiano.
Gesù non è un angelo, ma un uomo vero, un uomo completo.
E Gesù non rinnega mai la sua piena umanità.
Egli si mostra come un uomo molto sensibile con sentimenti profondi, che non ha paura di esprimere.
Per questo l’abbiamo visto piangere nel racconto della risurrezione di Lazzaro.
Si pensa (l’ho trovato scritto) che quasi l’80% degli uomini tra i 15 e i 55 anni hanno molta difficoltà a esprimere le loro emozioni, a piangere , a mostrare il loro cuore.
Abbiamo paura di sentirci vulnerabili, di confessare la nostra fragilità.
Gesù nel vangelo si lascia prendere dalla pietà, è mosso a compassione e non si vergogna di piangere in pubblico, toccato dalle lacrime di Maria.
E quando Maria entra nella sala del banchetto e compie quel gesto meraviglioso versando sui piedi di Gesù un profumo costosissimo e asciugando poi con i suoi capelli sciolti, Gesù non dice neppure una parola per far cessare quella liturgia che agli occhi dei presenti doveva risultare piuttosto imbarazzante.
Vale la pena di osservare che secondo le buone maniere di quel tempo non era concesso ad una donna di sciogliere i suoi capelli in pubblico davanti ad un uomo.
Maria compie questo gesto in silenzio, come se stesse assecondando le movenze di una danza e Gesù lascia che essa esprima a quel modo tutto il suo affetto.
L ’episodio è ricco di grande tenerezza.
Essere umani, è accettare di avere un cuore.
Gesù, il più umano degli umani, non ha paura dei sentimenti, non ha paura del proprio cuore.
Chi nel vangelo non accetta di avere un cuore è Giuda.
Il personaggio di Giuda non è facile da capire.
Certo non va liquidato sbrigativamente con l’etichetta di ladro, come è detto nel vangelo.
È un personaggio chiuso, complesso, tormentato.
Giuda, se mi è concesso di interpretarlo a modo mio, lo vedo come un sognatore dalla mente fredda,
Lo vedrei come un prototipo della cultura attuale.
Nella società occidentale si è privilegiato il mondo oggettivo dell’uomo, cioè la volontà, la determinazione in vista di una riuscita, la razionalità, e questo a scapito del mondo soggettivo che comprende l’emotività, l’affettività, la spontaneità: in una parola, il cuore.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti.
Siamo diventati tutti troppo saggi, troppo razionali, troppo normali.
Quante persone vivono prigioniere della loro funzione e del loro personaggio: sono persone che lavorano, hanno pure successo nella loro attività, fanno molte cose, mea senza quella meraviglia continua e quella passione infinita che solo l’intelligenza del cuore sa suggerire.
Ecco perché prima ho indicato Giuda come prototipo di questa mentalità vedendo in lui un sognatore dalla mente fredda.
Questa mentalità di Giuda, arida, fredda, calcolatrice, non vivificata da un palpito di sentimento o da un soffio di poesia, la conosciamo bene perché la respiriamo attorno a noi e, per poco che siamo sinceri con noi stessi, la troviamo dentro i comportamenti abituali del nostro vivere.
Che cosa conta per noi nella vita?
Che cosa proponiamo ai giovani come primo obiettivo da conseguire?
Conta soprattutto raggiungere una posizione che permetta di guadagnare e di avere successo.
Ma è possibile che tutto il senso della vita debba esaurirsi nella dimensione della praticità e della convenienza?
Quando riusciremo a capire che, al di là dell’interesse per il fare, c’è qualcosa di più grande come il contemplare, il compatire, il condividere, cioè la dimensione stupenda della gratuità?
Se non riscopriamo la bellezza della gratuità, ci condanniamo a una vita sempre più invivibile.
Pensiamo al destino di Giuda: abituato a vedere solo il lato pratico delle cose, ha tradotto la poesia del gesto di Maria in un calcolo e in una deplorazione: trecento denari sprecati!
Con questa mentalità di lì a poco arriverà a dare un prezzo anche alla vita di Gesù.
Ma vorrei che contemplassimo ancora una volta la bellezza del gesto di Maria, un gesto meraviglioso non tanto per la generosità, ma per la pietà, la delicatezza, la tenerezza, la totale gratuità.
E il profumo che inonda tutta la casa è come l’esaltazione di questo amore.
Se non comprendiamo questo discorso sull’amore, come pura gratuità, che cosa possiamo capire del mistero che celebreremo in questi giorni?
Verrebbe voglia di concludere questa riflessione inventando, se mai è possibile, una beatitudine che potrebbe suonare così:. “Beati quelli che sanno amare come Maria di Betania: il loro amore avrà la fragranza di un meraviglioso profumo”.
mercoledì 31 marzo 2010
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