domenica 13 luglio 2008

XIV Domenica del tempo ordinario


Matteo 11, 25-30

Basterebbe il vangelo di oggi a cancellare un’immagine di Gesù purtroppo ancora presente in certi settori del mondo cristiano.
Secondo questa immagine Gesù viene visto come rappresentante di una bontà compassata, seriosa e, tutto sommato, piuttosto noiosa.
Perché non pensare invece a un Gesù stupito, esultante, gioiosamente in rapporto con il Padre, con la creazione, con tutti quei fratelli che al suo passaggio si ridestavano a vita nuova?
Ce lo fa capire la preghiera di Gesù che abbiamo trovato oggi nel vangelo: è un inno di lode e di benedizione al Padre.
Là dove c’è amore, c’è come un rapimento estatico, colmo di gioia.
Gesù, che sente di aver ricevuto tutto dal Padre, risponde con una specie di fervore emotivo in cui le note dominanti sono la lode e la gioia: “Ti benedico, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenute nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli”.
Sono parole sulle quali cercheremo di meditare domandandoci:
chi sono i sapienti e gli intelligenti di cui parla Gesù?
e chi sono i piccoli?
e quali sono le cose che a questi ultimi vengono rivelate in modo privilegiato?
Al tempo di Gesù i sapienti e gli intelligenti erano soprattutto gli scribi, studiosi della parola rivelata i quali, in forza del loro sapere, pretendevano di fissare le condizioni per entrare in rapporto con Dio.
Ora lo scenario della sapienza e dell’intelligenza è diverso: vi figurano quelli che dispongono di un grande bagaglio culturale, che coltivano discipline scientifiche o filosofiche, che hanno una grande abilità dialettica per sostenere le loro tesi, che si atteggiano a maestri di coloro che non sanno.
Ma proprio questi scribi del passato e scribi di oggi sono raggiunti dalla parola del Signore il quale fa capire: “Sanno tutto, ma soltanto quello. Non sanno le cose essenziali e vitali, quelle che vengono da Dio”.
Vuol forse dìre che la scienza, la conoscenza razionale, l’intelligenza non hanno valore agli occhi di Dio?
Ci sbaglieremmo se pensassimo questo.
Il credente non è chiamato a mortificare la propria intelligenza, quasi che questa debba essere una prerogativa dei cosiddetti “laici”.
I grandi mistici del nostro tempo come Thomas Merton e padre Giovanni Vannucci hanno dimostrato una grande passione per il lavoro intellettuale.
Padre Vannucci nel suo eremo delle Stinche aveva più di 12000 volumi, leggeva di tutto tanto che un giorno ha confidato a un amico:”I libri sono la mia lussuria”.
La sapienza che è esclusa dalla conoscenza delle cose di Dio è la sapienza orgogliosa di chi, per avere letto qualche libro, pretende di sapere, quando invece, di fronte al mistero delle cose e della vita, nasconde una ignoranza spaventosa.
Il credente non rinuncia a esercitare le sue qualità intellettuali, senza per questo sentirsi un sapiente un intelligente.
Il vero sapiente è colui che ogni giorno, umilmente, “impara ad apprendere”, rimanendo in ascolto della verità dovunque essa si manifesti, anche attraverso la voce dei “piccoli”.
E’ il momento ora di affrontare la seconda domanda, che abbiamo già anticipato, chi sono i piccoli del vangelo?
Forse Gesù, parlando dei piccoli, doveva ricordare una storia che chissà quante volte gli era capitato di ascoltare negli anni passati a Nazaret. Quando il re Nabucodonosor ebbe un sogno misterioso, pensò di rivolgersi ai sapienti caldei: chi meglio di loro avrebbe saputo interpretarlo?
Sappiamo come è finita la storia.
L’ironia di Dio ha fatto sì che non loro potessero interpretarlo, ma un ragazzo apparentemente sprovveduto di cultura, Daniele.
Quando Gesù parlava dei piccoli, non intendeva certo – è il caso di ripeterlo - rinnegare l’intelligenza e il senso critico, ma celebrare quel tipo di intelligenza che coniuga in sé la mente e il cuore: è l’intelligenza del cuore, è l’intelletto d’amore di cui parla Dante.
Chi sono dunque i piccoli del vangelo?
A rappresentare i piccoli è anzitutto lui, Gesù.
E’ lui che dal Padre ha ricevuto la confidenza totale (“Nessuno conosce il Padre se non il Figlio”), perché nessuno come lui è “mite e umile di cuore”.
E associati a lui sono quelli che non hanno avuto nulla né dal potere né dal sapere né dal mondo dei ricchi: quelli che sono guardati dall’alto in basso (considerati quindi come piccoli) da coloro che esercitano un senso di superiorità per la coscienza del loro sapere.
A questi è promessa la vera conoscenza di Dio.
Una conoscenza non concettuale, non intellettualistica, ma vitale. Una volta si insegnava che per arrivare alla fede bisognasse prendere in esame certi preamboli, cioè una preparazione che può essere fornita dall’intelligenza la quale arriva a capire, attraverso qualche ragionamento, che Dio esiste, che l’uomo è libero, che l’anima è immortale.
Ma ben più importante ai fini della fede sarebbe stato il mettersi alla scuola dei piccoli, di coloro che custodiscono i segreti del regno. Domandiamoci a questo punto: i piccoli del vangelo come sono accolti nelle nostre chiese?
Hanno tutto l’onore che dovrebbe essere riservato a loro?
E noi da che parte ci mettiamo? Siamo con i sapienti e gli intelligenti oppure sappiamo metterci dalla parte dei piccoli?
Il primo preambolo della fede è onorare la presenza dei piccoli, è ascoltarli come faceva padre Vannucci che spesso nel corso delle sue omelie cercava il consenso dei piccoli interpellandoli direttamente con i loro nomi famigliari: Margherita, Carolina, Grazia, Giovanni… Dovremmo rispondere ora alla terza domanda ( quali sono le cose che il Padre rivela ai piccoli?), ma non c’è più bisogno.
Abbiamo già capito.
C’ è un segreto nascosto nel cuore di Dio: è l’amore del Padre per il Figlio, è l’amore del Figlio per il Padre.
C’è un segreto nascosto nella storia: è l’amore di Dio per tutti gli “affaticati e oppressi”.
E solo chi è piccolo, chi è povero può con Gesù cantare la lode di Dio e dire: “Ti benedico, o Padre, per la vita che la tua misericordia inventa ogni giorno per noi”.

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