domenica 13 aprile 2008

III Domenica di Pasqua


Atti 2, 14.22-28
Salmo 15
1Pietro 1 17-21
Luca 24, 13-35

L’episodio che abbiamo ascoltato è uno dei più consolanti del vangelo.
Osserviamolo nel suo svolgimento, nel succedersi dei diversi momenti.
Da ciascuno di essi potrà venire a noi un richiamo, un’indicazione, una suggestione importante per il nostro cammino di fede.
Il primo elemento è quello del viaggio.
Protagonisti due discepoli di Gesù.
Di uno conosciamo anche il nome: Cleopa.
Discepoli malinconici, dalla faccia triste.
Stanno vivendo un’esperienza molto amara dopo gli eventi drammatici che hanno segnato la morte di Gesù e la fine dei loro sogni.
Forse stanno rientrando nel loro villaggio per ritrovare, lontano da Gerusalemme, un po’ di pace e di tranquillità che medicasse le ferite lasciate da un’esperienza così tormentosa.
”Avevamo sperato”: quanto sconforto c’è in questo verbo coniugato al passato!
Vien fatto di pensare a quante cose anche noi abbiamo sperato, legittimamente sperato, senza poi trovare un riscontro positivo alle nostre attese.
Sembra che la storia vada avanti facendosi beffa di chi si ostina a sperare.
Chi non ha sperato, per esempio, un tipo di politica più trasparente e più attenta al bene comune?
Chi non ha sperato in una società meno violenta, in un costume civile meno corrotto o in una convivenza più pacifica?
E per quanto riguarda la chiesa chi non ha sperato ,dopo gli anni del concilio, in una primavera della chiesa, gioiosamente aperta a tutti i fermenti evangelici che nascono dal cuore dei credenti?
La tentazione nei momenti di stanchezza, nella caduta delle speranze, è anche per noi, come per i due discepoli, quella di rientrare nelle nostre case, di chiuderci nei nostri piccoli problemi, di non guardare in faccia agli altri.
“Avevamo sperato”
“E ora si fa sera”: come è moralmente suggestiva questa parola!
Entriamo in una condizione crepuscolare, quando la luce viene meno e contorni delle cose si confondono.
Abbiamo l’impressione che l’oscurità abbia il sopravvento e cancelli la luce.
In certi momenti, come i nostri, quando si incrociano tesi opposte su ciò che è lecito e ciò cre non è lecito, su ciò che è morale e su ciò che è immorale, su ciò che salva veramente l’uomo e su ciò che lo rovina, si ha l’impressione di non saper più giudicare.
Di avere perso il metro di giudizio. Di essere continuamente esposti alla parola più scaltra, più promettente o meno inquietante.
Chi ha ragione? Vorremmo capire di più.
Soffriamo di non riuscire a capire di più.
E può essere anche che incolpiamo il Signor per questa nostra confusione.
Dove si trova il Signore, il Risorto?
Crediamo che sia ancora lui a condurre la storia?
Forse siamo nella situazione dei due discepoli che dicevano: ”Veramente delle donne sono venute a dirci che egli è vivo”.
Chissà, forse è vivo, ma è un’ipotesi remota, una diceria poco credibile,.
E non ci accorgiamo che il Signore è talmente vivo che sta percorrendo la stessa strada che facciamo noi.
Così è avvenuto per i due discepoli.
Che cosa ha fatto il Signore per liberarli dalle loro paure?
Ha compiuto gesti molto semplici, elementari, umanissimi.
Il Signore incontra gli uomini, ma non li convoca a palazzo o in chiesa.
Li incontra lungo la strada che essi stanno percorrendo.
Il Signore viene a a cercarci sulle nostre strade e noi non dobbiamo cercare il Signore altrove, abbandonando il sentiero umano.
In altre parole, non dobbiamo credere che per incontrare il Signore sia necessario appartarsi, separarsi dagli altri, innalzare stendardi come segni di riconoscimento.
Il cammino che Dio ci indica è il cammino della vita lungo il quale siamo chiamati a vivere le speranze, le angosce, le pene, i sogni degli altri.
Ed è bello osservare anche lo stile con cui Gesù accosta le persone: uno stile fatto di discrezione, di estremo rispetto, di colloquialità aperta e cordiale.
E’il dialogo che salva.
Ho trovato un testo di un autore belga (Gabriel Ringlet) intitolato: Il vangelo di um libero pensatore, e che porta come sottotitolo questa domanda: “Dio sarebbe laico?”.
Le considerazioni svolte finora ci permettono di osservare che Gesù per tanti aspetti si comporta da laico, se essere laico vuol dire amare il confronto aperto con gli altri, senza pregiudizi, ma ascoltando piuttosto domande e problemi che ciascuno può custodire lungo i percorsi della propria vita..
Vorrei chiudere questa riflessione ricordando un bellissimo aforisma che ho trovato citato in una pagina di uno scrittore francese, Michel Tournier:”Il caso è Dio che passa in incognito”.
A me pare che questa affermazione interpreti molto bene il senso del racconto che abbiamo trovato nel vangelo.
Il caso è rappresentato dall’incontro dei due discepoli con un misterioso personaggio.
Ad un certo punto capiscono che sotto le apparenze di un comune viandante si nasconde la presenza del risorto.
Da che cosa lo capiscono?
Dal fatto di sentirsi raggiunti da una parola capace di accendere i loro cuori e dai gesti della più toccante convivialità.
In altre parole, dall’esperienza di Dio, che è verità e amore.
Capita anche a noi di incontrare persone e situazioni per caso.
E può essere che da questi incontri ci rimanga nel cuore un’emozione particolare, per avere ascoltato una parola che ci ha dischiuso una verità profonda o per avere goduto del gesto inatteso di una grande amicizia.
Vuol dire che il caso era abitato dalla presenza misteriosa del Cristo pellegrino sulle nostre strade.
Tenere gli occhi fissi su di lui, come hanno fatto Cleopa e il suo compagno, ci permette di coniugare il verbo sperare non solo al passato, ma di di essere gioiosamente pieni di speranza
Per questo continueremo a sperare e a fare sperare.

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