martedì 30 settembre 2008

XXV Domenica del tempo ordinario


Isaia 55, 6-9
Salmo 144
2 Filippesi 1, 20-27
Matteo 20, 1-16


La parabola che abbiamo letto non è facile da accettare.
La nostra reazione immediata ci porterebbe a sostenere le ragioni degli operai della prima ora:
“No, non è giusto che chi ha lavorato meno di voi, sia ricompensato come voi”
Che cosa dunque intende insegnare Gesù con questa piccola storia?
Gesù non si propone di dettare un codice di morale sociale, ma vuole parlare di quel Dio che egli conosce bene, perché è il Padre suo.
E la prima indicazione è questa: Dio è libero, sovranamente libero, imprevedibilmente libero.
“I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie” così parla il Signore attraverso la voce del profeta Isaia.
Noi vorremmo che Dio si attenesse ai nostri schemi mentali e seguisse la nostra logica.
In realtà Dio è sempre al di là dei concetti e delle parole con cui pretendiamo di definirlo e di fissare i suoi comportamenti.
Dio è la Diversità assoluta, il Totalmente altro.
Dio è libero e non finirà mai di stupire.
Questa libertà non è facile da capire, soprattutto quando sembra che essa venga a ledere qualche valore per noi intoccabile.
“Non posso fare del mio quello che voglio?” dice il padrone della vigna.
E noi saremmo tentati di dire: “No, non puoi”, perché abbiamo l’impressione che questa libertà sia usata male, in modo arbitrario, così da ledere giustizia ed equità.
In realtà la libertà di Dio, a differenza della nostra, è sempre al servizio dell’amore.
In Dio libertà e amore coincidono.
Noi possiamo essere liberi ed egoisti, liberi e ingiusti, liberi e meschini.
In Dio invece la libertà è finalizzata sempre all’amore.
La parabola lo dice apertamente là dove il padrone della vigna rivolge questa osservazione a uno di quelli che mormoravano contro di lui: “Tu sei invidioso perché io sono buono?”.
Dopo queste premesse possiamo comprendere meglio il senso del racconto nei suoi tre momenti fondamentali: l’attesa del lavoro, l’invio degli operai nella vigna, il momento della ricompensa.
Sulla piazza ci sono lavoratori disoccupati.
E’ una condizione di cui soffrono molte persone che si trovano nella impossibilità di esprimere le loro energie creative di cui dispongono (penso a tanti giovani che fanno fatica a entrare nel mondo del lavoro).
Le loro energie rimangono inutilizzate, il loro tempo rimane vuoto, senza un progetto.
E quando manca un progetto, la vita non ha senso.
Questa condizione esprime perciò un appello perché qualcuno venga a liberarti dalle stanchezze di una vita che non è più vita, ma solo rassegnata sopravvivenza.
Questo “qualcuno”, dice la parabola, esiste.
E’ Dio che dalla sua dimora esce a cercare proprio te, a qualsiasi ora.
Riascoltiamo la parabola: “Uscì all’alba… Uscito di nuovo verso le nove….Uscito di nuovo verso mezzogiorno…Uscito ancora verso le cinque….”(ben quattro volte ricorre lo stesso verbo).
Quando pensiamo di essere come lavoratori disoccupati la cui vita sia priva di senso, ci sia dato di aprire gli occhi: accanto a noi c’è qualcuno che vuole impegnarci in un lavoro molto importante.
Forse sarebbe più giusto dire che Dio chiama continuamente con una voce che si fa sentire dentro di noi.
Dio chiama instancabilmente, a tutte le ore della vita di un uomo.
Quasi tutti noi siamo cristiani a partire dall’infanzia.
Qualcuno lo è diventato in età adulta, altri lo diventeranno al termine della loro vita.
Dio dà fiducia a tutti, anche a quelli dell’ultima ora.
Si tratta di accogliere l’invito a lavorare nella vigna del Signore.
Che significato dare a questa espressione?
Vigna del Signore siamo anzitutto noi, con la nostra interiorità che spesso, come terra arida, ha sete di senso e di silenzio, di fraternità e di spiritualità: sete di scoprire che la vita si riceve da un Altro che non vuole se non la nostra felicità.
Da questa esperienza può nascere il desiderio di ripartire verso la vigna di Dio rappresentata dalla propria vita quotidiana, dalla famiglia, dai figli, dal lavoro, da impegni diversi, con la consapevolezza che noi possiamo essere per gli altri, come altri per noi, lo sguardo di Cristo, le mani di Cristo, la tenerezza di Cristo.
E poi bisogna prendere parte a un lavoro più vasto, perché la vigna che ci viene affidata non si limita a quel piccolo appezzamento di terreno che è la famiglia, la scuola, il lavoro, la professione...
Nutrire quelli che hanno fame, provvedere a quelli che non hanno di che vestirsi, accogliere, perdonare, comprendere è la risposta che noi siamo chiamati a dare al padrone che ci ha scelti per la sua vigna, perché il mondo possa essere trasformato e diventare più umano.
Ci sarà una ricompensa diversa a misura dell’impegno che noi avremo dimostrato?
La ricompensa è prevista, ma non secondo le modalità che noi possiamo immaginare.Noi giudichiamo secondo la nostra razionalità che spesso si rivela arida e meschina.
Invece di guardare alla bontà di Dio e di vedere quello che Dio fa per noi, teniamo gli occhi fissi su quello che noi facciamo per lui.Poi, confrontandoci con gli alti, ci giudichiamo migliori e degni quindi di una ricompensa maggiore.
Ma Gesù, narrando questa parabola, vuole proprio richiamarci dalle sponde della nostra ragione a quelle del cuore.
Nella fede c’è sempre un incontro tra il cuore di Dio e il cuore dell’uomo.
Cittadini del regno saranno perciò uomini pieni di stupore.
Che il Signore ci dia di vivere da fratelli, tutti chiamati a condividere lo stesso lavoro, tutti invitati alla stessa mensa, senza più né primi né ultimi, perché tutti figli dello stesso Padre.

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