domenica 7 settembre 2008

XXIII Domenica del tempo ordinario

Ezechiele 33, 7-9

Salmo 94

Romani 12, 8-10

Matteo  8, 15-20

 

“Nessun uomo è un’isola” recita un famoso aforisma.

Ciascuno è inserito in una rete di relazioni per cui è chiamato a farsi responsabile e solidale nei confronti degli altri.

Questo vale soprattutto per i discepoli di Cristo i quali sanno che gli altri , come figli dello stesso Padre, non sono estranei ma fratelli.

Cosa vuol dire vivere questa condizione di solidarietà all’interno della grande famiglia dei credenti?

Vuol dire essere convinti che c’è come un processo di osmosi per cui il bene e il male,  anche se compiuti da una sola persona, hanno riflessi su tutta la comunità.

E’ tutta la comunità che ne risente o perché si arricchisce della mia santità o perché viene ferita  e indebolita dal mio peccato.

Si comprende perciò l’ammonimento che il Signore rivolge al profeta: “Figlio dell’uomo,  ti ho costituito sentinella per gli israeliti: ascolterai una parola dalla mia bocca  e tu li avvertirai da parte mia”.

Riflettere su queste parole vuol dire prendere in esame anzitutto due possibili atteggiamenti sbagliati.

Il primo è quello di pensare che la verità possa essere imposta con la forza e che pertanto sia legittimo reprimere gli errori con la forza.

Di questo avviso non era certamente il grande papa Giovanni XXIIII il quale distingueva l’errore dall’errante e  invitava a  vedere l’errante come una persona che merita non solo comprensione e rispetto, ma anche amore.

Il secondo atteggiamento da evitare, completamente opposto al primo, è quello che, in nome del principio di tolleranza, sceglie la via della totale indifferenza.

C’è nella Bibbia, sulla bocca di Caino, una frase che  definisce molto bene questo sentimento di estraneità: “Sono forse io il custode di mio fratello?”.

E’una posizione questa molto diffusa nella società attuale in cui domina la cultura della privatezza

 secondo la quale ciascuno è libero di fare quello che gli pare: anche se sta facendo scelte moralmente sbagliate, perché dovrei intromettermi io nel suo mondo privato?

Che sia lui a vedersela con la sua coscienza o con Dio.

Le letture, mentre non permettono di seguire né la via della intolleranza né quella della indifferenza, tracciano un altro percorso, quello dell’attenzione vigile e partecipe.

“Figlio dell’uomo, - dice il Signore al profeta – io ti ho costituito sentinella”.

Se un fratello sbaglia, non posso perciò rimanere indifferente.

Occorre provare subito una pena profonda, come se  il suo errore ricadesse dentro la mia sfera personale, nell’intimo della mia coscienza.

E questa pena dovrei poi tradurla in una passione di “sciogliere” (è l’espressione che si  trova nel  vangelo), cioè di liberare e di salvare.

Penso all’abbé Huvelin (che ha seguito la conversione di Charles de Foucauld) il quale diceva di non poter incontrare nessuna persona senza sentire il bisogno di darle tacitamente l’assoluzione.

Soltanto se c’è amore, il compito della correzione fraterna può diventare  praticabile e anche veramente costruttivo.

Chi non ama e crede di imporre la sua verità, non fa che generare conflitti.

Chi invece sente l’altro come un fratello e ne porta le colpe e le sofferenze,  sa trovare la via del cuore per toccare la sua coscienza senza ferirlo.

L’amore infatti è paziente, umile, dialogante.

Don Primo Mazzolari diceva: “L’amore non ha fretta”.

Voleva dire che chi ama sa rispettare i tempi di maturazione di ogni essere, ritenendolo capace di  assidui ricominciamenti e di infinite riprese.

E chi ama si muove sempre, in modo discreto, senza alcun senso di superiorità, sapendo che lui stesso avrebbe bisogno di qualche presenza amica in grado di correggerlo e di guidarlo al di fuori della sua abituale mediocrità.

C’è un problema che a volte può creare un forte senso di disagio.

Quando uno, per il fratello che sbaglia, ha pregato, ha consigliato, ha atteso nel silenzio senza vedere alcun risultato, che cosa deve fare di più?

La tentazione è quella di desistere e di abbandonare l’altro al suo destino.

Del resto, anche il vangelo sembra legittimare questo comportamento.

Hai fatto tutto quello che dovevi?

Se non ascolterà nessuno , “sia per te come un pagano e un pubblicano”.

Ma è il caso di riflettere bene su questa parola.

Come si è comportato Gesù di fronte ai pagani e ai pubblicani?

Una delle accuse più frequenti dei suoi avversari riguardava proprio la eccessiva famigliarità che Gesù dimostrava verso i peccatori con i quali spesso condivideva la tavola.

E Gesù rispondeva: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati” (Lc 5, 31).

Tenendo conto di questo comportamento di Gesù così umano e solidale con i pubblicani e i peccatori, si comprende meglio il senso delle parole del vangelo, come se Gesù volesse dirci: “Dialoga con tutti, con l’eretico, il dubbioso, il ribelle, il diverso.

Se ti sembra di non vedere  alcun risultato, amali ancora di più, in proporzione della loro ostinazione; amali con quell’amore preferenziale che io ho avuto per i pubblicani e i peccatori”.

E’a questo modo che nasce la vera chiesa.

Ci ha detto Gesù: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io  sono in mezzo a loro”.

Credo che queste parole racchiudano la più bella definizione del mistero della chiesa.

“Due o tre”: non è questione di massa.

Una coppia è già chiesa.

Una famiglia è già chiesa.

Basta che due o tre siano riuniti nel nome di Cristo.

Si può essere decine e decine di migliaia di persone riunite nel nome della banalità o della emozione superficiale: non si crea nulla di significativo.

Si può essere in due o tre che, riuniti nel nome di Cristo, condividono con Cristo la passione di perdonare e di salvare: è lì che nasce la vera chiesa.

Quando un uomo dice a una donna: “Tu sei carne della mia carne. Tu sei il sogno del mio amore”,  quando genitori e figli si accolgono reciprocamente  con tenerezza e comprensione, quando soprattutto due o tre che per tante ragioni sono divisi si riuniscono, si perdonano, si guardano con verità e pietà, lì c’è il Cristo e con il Cristo il regno che lui ha sognato.

Nessun commento: