sabato 8 novembre 2008

Cristo re


Ezechiele 34, 11-12. 15-17
Salmo 22
1 Corinzi 15, 20-26.28
Matteo 25, 31-46

La parola regno allude al potere.
E questo potere noi sappiamo a chi appartiene.
Di certi personaggi potenti che dominano sulla scena politica sarebbe facile fare i nomi, richiamare i volti, delineare per sommi tratti la storia della loro inarrestabile ascesa.
Tra questi alcuni li ammiriamo, altri li odiamo: rimane comunque il fatto che nella considerazione comune rappresentano il vertice della grandezza dal punto di vista umano.
Ma c’è una verità nascosta che porta a capire come il potere dei grandi della terra non abbia niente di assoluto.
Del resto, per esserne persuasi, basterebbe pensare alla morte.
La morte è il massimo dell’ingiustizia, ma al tempo stesso è il massimo della giustizia, perché pareggia le sorti di tutti, piccoli e grandi.
E’un’idea, questa, che è stata efficacemente illustrata nelle cosiddette danze macabre dove il corteo, in cui ciascuno dei personaggi si muove avendo la morte al fianco, è aperto solitamente dalle massime autorità civili e religiose.
Oggi però dalla liturgia ci viene presentato qualcuno la cui forza è più forte della morte stessa.
La verità è questa: la pienezza della regalità appartiene a Cristo.
E’ lui che ha il potere di vincere la morte.
E’ lui che riconsegna al Padre un’umanità completamente rinnovata.
Ma per capire meglio quale forza liberante abbia questa verità, bisogna pensare che la signoria di Cristo non è destinata a rivelarsi solo dopo la signoria degli uomini, come se ci fossero due grandi stagioni, quella degli uomini, che stiamo vivendo, a cui seguirà quella di Cristo.
Se così fosse, dovremmo rassegnarci a subire l’arroganza, la prepotenza, la cialtroneria di certi poteri con l’unica consolazione che dopo verrà il regno di Dio.
Va detto invece con molta forza che il regno di Dio è già all’interno della storia che stiamo vivendo.
Dove si afferma oggi questa signoria di Cristo?
Ci hanno educati a pensare che deve essere riconosciuta soprattutto là dove ci sono le grandi manifestazioni religiose, con folle osannanti (chi ha una certa età può ricordare ancora il pathos che si provava nel cantare a voce spiegata Christus vincit, Christus regnat, Christus imperat).
Questa prospettiva nelle parole di Gesù viene completamente rovesciata.
Gesù rivela la sua regalità nei poveri e il suo regno cresce attraverso i piccoli gesti di bontà.
Fermiamo l’attenzione su qualche aspetto rilevante di questa rivelazione, così ricca di suggestioni di ordine morale e spirituale.
Si narra in certe leggende che un re, volendo conoscere i sentimenti dei sudditi nei suoi confronti, si traveste da mercante e, senza farsi riconoscere, attraversa in lungo e in largo il suo regno facendo tesoro di tutto quello che osserva e ascolta.
Una lettura superficiale di questa pagina di Matteo potrebbe indurci a pensare che Gesù si comporta
come il re di una di queste leggende.
In realtà Gesù non si limita a travestirsi da povero, da malato, da prigioniero, da straniero, ma si identifica pienamente con ciascuno di essi.
Non dice infatti: “Essi hanno avuto fame, hanno avuto sete,….” ma “Io ho avuto fame, ho avuto sete…”
Questo significa che la signoria di Cristo non sta dalla parte del potere. ma dalla parte di coloro che sono emarginati dal potere.
Sono i poveri che, uniti a Cristo, giudicano il mondo.
E sono anche coloro – è un’altra indicazione importante del racconto di Matteo – che si dimostrano capaci di compiere gesti di pietà a favore dei poveri.
‘Penso in particolare a quelli che non si limitano a dare l’elemosina, ma sono dalla parte dei poveri quando si tratta di difendere il loro posto di lavoro,, di denunciare le ingiustizie, di protestare contro coloro che assegnano il primato alle leggi del mercato invece che ai diritti della persona.
Non importa che essi non riconoscano il volto di Gesù.
Importa solo il fare concreto nel segno della pietà.
Perché è certo che esso raggiunge comunque il Signore.
D’altra parte c’è un modo di agire che rinnega non formalmente, ma concretamente la regalità di Cristo.
Se non ti metti dalla parte dei poveri, non incontri il Cristo.
O meglio lo incontri e lo ignori.
La colpa non consiste nel fare determinate cose sbagliate, ma nel non farne altre (un tempo si parlava di peccati di omissione) secondo la legge dell’amore.
E’’ un discorso, questo, che giudica le coscienze, le ideologie, i partiti, le politiche nazionali e internazionali.
Sì, è anche questione di scelte politiche, perché è importante, per esempio, visitare i malati, ma è altrettanto se non più importante fare in modo che ci sia un sistema di assistenza pubblica che sia al servizio di tutti e non penalizzzi i più deboli, come spesso avviene.
E’ certo che per appartenere a Cristo non bastano gli atti di culto, le pratiche religiose, le devozioni personali.
Tu puoi anche passare un’ora in adorazione davanti al santissimo sacramento esposto sull’altare, ma se non ti inginocchi davanti al fratello che soffre, che è l’ostensorio più vicino della presenza di Cristo, tu non appartieni a Cristo..
Un giorno ad attenderci ci sarà una duplice forma di stupore.
“Quando mai ti abbiamo visto…?” diranno quelli alla sua destra.
“Quando mai ti abbiamo visto….?”diranno quelli alla sua sinistra.
Preghiamo perché ci sia dato di conoscere lo stupore benedetto dal Signore, lo stupore che salva.

1 commento:

Anonimo ha detto...

molto intiresno, grazie