mercoledì 26 novembre 2008

Tutti i santi

Apocalisse 7, 2-4.9-14
Salmo 231
Giovanni 3, 1-3
Matteo 5, 1-12

Perché questa festa è molto sentita e molto amata?Anzitutto perché ci parla di beatitudine, di una gioia piena, di una felicità incommensurabile.Noi siamo tutti mendicanti di gioia.Questo anelito è la ragione del nostro esistere.Anche chi sceglie un percorso sbagliato, dimostra comunque di essere mosso da questo anelito che, se rimane inappagato, è motivo di grande sofferenza.Ecco perché oggi ascoltiamo il discorso delle beatitudini con particolare commozione.Qui c’è l’annuncio di una possibile felicità.Ed è un annuncio ben diverso da quello che ci viene dispensato dai soliti imbonitori alla moda che promettono l’impossibile facendo leva sulla nostra credulità.Qui l’annuncio viene da molto lontano, ha attraversato i secoli e si presenta senza orpelli o lustrini accattivanti.Anzi ha il coraggio di coniugare paradossalmente felicità e povertà, felicità e lacrime, felicità e persecuzioni.Ma il cuore deluso da tante proposte ingannevoli si fa attento a questo annuncio.Se fosse vero che è vangelo, cioè la buona notizia tanto attesa e invocata?C’è una seconda ragione che ci porta ad amare questa festa.E’ la memoria dei santi.I santi sono vangelo vissuto, vangelo incarnato.Il vangelo non è una dottrina o una teoria.Noi purtroppo ne abbiamo fatto una teoria, una dottrina da acquisire, da difendere, da esibire in certe occasioni.Che tristezza quando il vangelo viene usato strumentalmente per difendere la civiltà occidentale contro altre forme di civiltà, oppure per stabilire un codice di comportamento in questa nostra società che ha visto frantumarsi le certezze del passato.Ora il vangelo è soprattutto un modo nuovo di essere, di vivere.Questo ci ricordano oggi i santi. Loro il vangelo non lo hanno semplicemente conosciuto, commentato, posseduto come una verità religiosa, ma lo hanno incarnato. Sono diventati vangelo nei loro gesti, nei loro sorrisi e nelle loro lacrime, nella loro capacità di amare e di sperare.Sono diventati vangelo perché hanno conosciuto la gioia.Immaginare un santo triste è impossibile.Vorrebbe dire immaginare un santo che non abbia conosciuto Dio, che non sia entrato in rapporto con GesùLe beatitudini infatti, prima che un codice di comportamenti, sono l’immagine del nostro Dio, sono il volto di Cristo.Ma c’è un terzo motivo per amare questa festa.Essa ci porta a contemplare la moltitudine immensa dei santi.La prima lettura, presa dall’Apocalisse, si parla di 144.000 eletti, segnati con il sigillo che, come è facile immaginare, è quello della croce.144.000: sono tanti? sono pochi?È certo che non si tratta di un numero riduttivo, come se indicasse una minoranza rispetto alla massa, ma di un numero che evoca l’universalità.144.000 è infatti il risultato di 12 x 12 x 1000.Se è vero che nella cultura ebraica il numero 12 era il simbolo della pienezza, qui abbiamo la pienezza moltiplicata per la pienezza moltiplicata per mille.Che si tratti di un richiamo all’universalità è confermato anche dal fatto che poi si parla di una folla immensa che nessuno avrebbe potuto contare, di tutte le razze, nazioni, popoli e lingue.I santi dunque non sono soltanto un numero incalcolabile, ma nella visione dell’Apocalisse formano una grande famiglia, una comunione di intenti e di sentimenti, una coralità.Tra parentesi: io rimpiango le litanie dei santi di una volta, lunghe, interminabili, con tanti nomi strani, presi da chissà quale almanacco.Rimpiango queste litanie perché, a differenza di quelle di oggi, davano il senso della coralità.Se questa folla di santi ci parlasse oggi ad una voce sola, che cosa ci direbbe?Non ci parlerebbero né di miracoli né di congregazioni religiose da essi fondate né di altre cose che occupano tanto spazio nelle biografie dei santi.Io penso che canterebbero in coro il discorso delle beatitudini.Parlerebbero cioè della santità non come il frutto di un impegno volontaristico riservato a pochi eletti, a certe persone superdotate nella pratica dell’ascesi, ma ne parlerebbero con accenti tali da renderla amabile e contagiosa.Che cosa è la santità?È povertà che diventa pienezza.È l’offerta di due mani cave in attesa di essere colmate.È invocazione che attende di essere esaudita.C’è una parola di Gesù che dice a Santa Caterina da Siena: «Fatti capacità, io mi farò torrente».Dove c’è il vuoto, lì si rivela la prodigalità di Dio.La santità è un fatto di stupore nel vedere che il proprio vuoto è colmato dalla sovrabbondanza dell’amore di Dio che si riversa in noi sotto forma di benedizione, di fiducia, di perdono, di incoraggiamento a coltivare il gusto della vita.Per questo, nella folla dei santi onorati oggi dalla chiesa possiamo ricordare anche la presenza di santi anonimi, che mai arriveranno agli onori dell’altare.E possiamo immaginare anche qualche persona che abbiamo conosciuto, qualcuno della nostra famiglia o dei nostri amici.Potremmo – dovremmo - immaginare anche noi nel numero dei 144.000 raccolti un giorno attorno a Gesù a celebrare il miracolo di una povertà trasformata in pienezza nella piena rivelazione di quella parola che c’è in Giovanni: «Fratelli, …»

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