lunedì 5 gennaio 2009

Domenica dopo l'ottava di Natale


Luca 4, 14-22

Non abbiamo ancora celebrato la solennità dell’epifania e già la liturgia ci distoglie dall’immagine del bambino Gesù.
Ce lo presenta infatti non più come infante, cioè come un essere che non parla (tale è il senso primo della parola infante), ma come profeta, come uno che parla in nome di Dio, consapevole della missione che gli è stata affidata.
Ma lo strappo, se così si può dire, è solo apparente.
Perché, come avremo modo di sottolineare nel corso di questa riflessione, sono molte le affinità che avvicinano questo racconto al vangelo dell’infanzia che ci è stato dato dallo stesso evangelista, Luca.
Già è significativo il fatto che Luca faccia partire la missione pubblica di Gesù da Nazaret, da questa terra di nessuno che aveva fama di non sapere produrre nulla di buono.
Contrariamente agli uomini di potere, Gesù non cerca un luogo prestigioso, un luogo che oggi potremmo chiamare mediatico, per lanciare il suo messaggio.
Come non vedere una certa parentela di significato nella scelta di Betlemme per nascere e di Nazaret per iniziare la sua missione profetica?
Ma seguiamo ora Gesù a Nazaret.
Siamo nella sinagoga.
La sinagoga dl villaggio era un modesto luogo di preghiera e di ascolto della parola di Dio.
Gli occhi di tutti sono fissi su di lui.
Il momento è solenne.
Gesù fa scorrere il rotolo del profeta Isaia..
Si sa, dai manoscritti scoperti a Qumran, che il profeta Isaia era uno dei più utilizzati al tempo di Gesù.
Il manoscritto più antico del mondo è precisamente un rotolo di pergamena (trovato non molti anni ani fa in una grotta a Qumran e conservato ora nel museo del libro di Gerusalemme) sul quale è riprodotto a mano proprio il testo di Isaia.
Si può immaginare la commozione dei presenti nell’ascoltare parole così ricche di fiducia e di speranza.
Vien fatto di pensare alla commozione dei pastori quando furono i primi a ricevere dagli angeli l’annuncio della salvezza che Dio aveva preparato per il suo popolo.
Il vangelo, non va dimenticato, è un lieto annuncio soprattutto per la povera gente e per tutti coloro che si riconoscono poveri e vanno mendicando con umile cuore un senso alto del vivere.
Gesù lascia cadere lentamente le sue parole, facendo proprio il linguaggio del profeta.
C’è una parola buona per tutti i poveri, c’è una liberazione per tutti i prigionieri, c’è una luce nuova per gli occhi di coloro che sono rimasti ciechi.
C’è da piangere di commozione seguendo le parole con cui Gesù preannuncia un anno di grazia del Signore.
Ma l’omelia di Gesù ottiene, diremmo oggi, il picco di ascolto quando Gesù osa dire : “Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi”.
Oggi il compimento delle promesse si avvera.
Luca usa dodici volte nel suo vangelo questo misterioso e solenne oggi, da “Oggi vi è nato un Salvatore”, a Natale” a “Oggi sarai con me in paradiso”, sulla croce.
Gesù è l’oggi di Dio.
In lui si concentra tutta l’avventura degli uomini con Dio.
Con Gesù la buona novella non è più soltanto una promessa: è forza e luce che possono cambiare già da oggi la nostra vita.
Ma per noi che leggiamo la parola di Dio da molto tempo, sembra talvolta che sia sempre la stessa cosa: non cambia niente.
Non è forse questa del resto l’impressione di tanti giovani usciti da famiglie cristiane, i quali si tengono lontano dalla chiesa perché ritengono che ci sia un clima di chiusura che impedisce di vivere pienamente?
Fortunatamente ci è dato lo Spirito che ci riscatta da questa rassegnata passività.
Anche per Gesù, nel vangelo di Luca, è lo Spirito la sorgente delle sue ispirazioni e delle sue decisioni.
È lo Spirito Santo che lo porta a Nazaret, nella sinagoga, per cui può dire con le parole del profeta: “Lo Spirito è su di me”.
Perciò dovremmo pregare lo Spirito Santo dicendo:”Apri le nostre orecchie per ascoltare la voce di Gesù. Apri il nostro cuore alla sua parola vivente”.
Se leggessimo il vangelo come un giovane legge la lettera della propria fidanzata (l’immagine è di Kierkegaard), quali lezioni di vita ci verrebbero date dal vangelo di oggi?
Si parlava dell’oggi di Dio, di quel tempo di grazia annunciato da Gesù, che però non trova riscontri concreti nella esperienza che abbiamo di tutti i giorni.
I poveri continuano a rimanere oppressi dalla loro condizione rattristante e perfino disperante.
Sarebbe stata dunque, quella di Gesù, una promessa vana e ingannevole?
Ma forse siamo noi, i discepoli, colpevoli di non realizzare la profezia di Gesù.
ll card. Martini nel suo ultimo libro ci ha ricordato che “nella Bibbia Dio ama gli stranieri, aiuta i deboli, vuole che soccorriamo e serviamo in diversi modi tutti gli uomini”.
E noi che cosa facciamo per liberare i nostri fratelli che hanno bisogno della nostra solidarietà?
Facciamo poco o nulla, quando addirittura non ci mettiamo a criticare i vescovi più coraggiosi, tra cui il nostro, colpevoli unicamente di richiamare alla nostra coscienza le responsabilità che nascono dalla nostra appartenenza a Cristo.
E c’è una seconda indicazione di percorso suggerita dal vangelo.
Quando parliamo di buona novella, dovremmo sempre saper accendere i cuori con parole che abbiano dentro una vibrazione gioiosa , mentre tante volte non ci accorgiamo di indugiare con una certa indulgenza su frasi amare, su una rattristante e deprimente denuncia del male.
Se si confronta il testo di Isaia citato da Gesù con la pagina da cui è tratto, si rimane sorpresi nel vedere che manca la parte finale, dove si parla di “un giorno di vendetta del nostro Dio”.
Sarebbe bello pensare che Gesù abbia intenzionalmente “censurato” il testo perché l‘annuncio della salvezza fosse totale, senza riserve di alcun genere.
Se saremo capaci di non mortificare le parole meravigliose che Gesù ha pronunciato all’inizio della sua vita pubblica e di dare visibilità all’anno di grazia annunciato dal Signore, potremo essere testimoni dell’oggi di Dio, di quel Dio che si è fatto uomo per essere pienamente solidale con la nostra condizione di mendicanti alla ricerca di una possibile salvezza.

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