Giovanni 2, 1-11
A Cana – ci dice il vangelo – Gesù manifestò la sua gloria.
Dove si rende visibile la gloria di Dio?
Si manifesta in occasione di un pranzo di nozze, nel fervore di una festa chiassosa, smodata, eccessiva come succedeva normalmente in quei tempi quando si celebrava un matrimonio
E’lì che Gesù, secondo Giovanni, ha compiuto il suo primo miracolo convertendo l’acqua in vino.
Ma il miracolo più sorprendente è stato quello d’aver fatto capire che Dio non solo non è geloso della gioia degli uomini, ma anzi la favorisce e la condivide.
La gloria di Dio è che l’uomo viva, dirà S. Ireneo.
Purtroppo sulla nostra religione pesa sempre questo sospetto: che sia una religione avara di gioia.
A certi giovani che ancora pensano a un cristianesimo fatto solo di doveri, divieti tabù e noia, tanta noia ( la colpa è soprattutto nostra, di noi adulti che abbiamo trasmesso loro questa impressione) verrebbe voglia di chiedere: “Avete mai letto il racconto del miracolo di Cana?
Perché guardate alle giare piene di acqua (era l’acqua che serviva per le abluzioni rituali, segno quindi di un formalismo religioso che voi condannate) e non vedete che ora sono piene del vino di una gioia sovrabbondante?”
Cerchiamo di entrare anche noi oggi nella vitalità di questa festa per vederne le diverse espressioni che Geù ha benedetto con la sua presenza.
La parola piacere, nel vocabolario cristiano, è vista ancora con sospetto: sembra evocare infatti qualcosa di disordinato o di troppo istintivo, soprattutto nella sfera della sessualità.
Ma il piacere non merita tutta questa diffidenza.
Il piacere esprime un consenso a tutto ciò che è al servizio della vita.
Chi avrebbe il coraggio di riprendere ogni mattina le stesse faticose incombenze se non ci fosse anche la speranza di poter assaporare le cose buone che la vita può offrire?
Qualcuno potrà dire che questo è un discorso troppo umano.
Ma non bisogna dimenticare che il cristianesimo è la religione di un Dio che si è fatto uomo e che pertanto condivide tutto ciò che è costitutivo del nostro essere.
Ritorniamo al pranzo di Cana dove c’è una sovrabbondanza di piaceri semplici e naturali, che sono goduti come segno della amabilità del nostro Dio.
Un piacere è senza dubbio quello offerto dal vino che da Noè in poi è la creatura più celebrata nella Bibbia.
“Che vita è quella di chi è privato del vino?”si legge nel libro del Siracide (31, 27).
E motivo di godimento – sempre nel corso di questo pranzo di nozze - è poter fare un confronto tra un vino e l’altro e dir poi allo sposo: “Però, sei stato davvero bravo!
Ci hai fatto una bella sorpresa riservando il vino più pregiato alla fine”.
Dobbiamo dunque avere il coraggio di pensare e di affermare che quando si parla di piacere Dio non è lontano.
Ma il piacere, che in sè è cosa buona, appartiene pur sempre all’ordine del provvisorio e dell’effimero per cui qualcuno è costretto a dire: “Non hanno più vino”.
A un livello superiore si pone la felicità che nel vangelo è rappresentata dalla festa di nozze e dal godimento dell’amicizia.
La felicità è più del piacere.
Una persona che dice:“Voglio essere felice” non invoca solo un appagamento dei sensi, ma un benessere profondo, un’armonia interiore, un calore che nasce dall’esperienza dell’amicizia.
Però anche la felicità si rivela fragile.
Che si possa vivere felici e contenti per tutta la vita si legge solo nelle favole.
C’è invece una felicità che può resistere a ogni forma di usura, e si chiama gioia.
Il vangelo di oggi celebra soprattutto la gioia.
La gioia trova la sua ragione più profonda nella presenza di Gesù, il quale fa sentire e rende visibile l’amore del Padre.
Che cosa conta di più nella vita?
E’ sapere che Dio ci ama.
A darci questo vino generoso è venuto Gesù.
E’ lui il vero sposo delle nozze di Cana.
E’ lui al centro del racconto.
”Venite, venite! È Dio che si sposa” scrive un autore francese, Jean Debruynne, commentando questo racconto.
Il vino ch’egli ci serve bisogna consumarlo senza moderazione, perché viene a placare quella sete di amore che da sempre ci fa soffrire.
Che cosa fare per godere di questa gioia?
“Fate tutto quello che egli vi dirà” ci dice la madre di Gesù.
La gioia sta nel credere che tutto quello che il Signore ci dirà avrà una tonalità nuziale, come una parola che venga da un cuore innamorato.
E il Signore, parlando della sua “ora” ( allude all’ora in cui avrebbe offerto il vino del banchetto ultimo, il sangue versato per amore) ci fa capire che la gioia è strettamente legata alla capacità di donare.
E la gioia cresce se ci si mette al servizio della gioia dei fratelli.
E’ significativo il fatto che i primi e forse gli unici testimoni del miracolo siano stati gli umili addetti al servizio della tavola.
Chi può accogliere l’invito di Gesù?
E’un invito che richiede molta docilità interiore come quella di Maria che all’angelo aveva detto: “Si faccia di me secondo la tua parola”o, quanto meno, quella capacità di auscultazione del proprio cuore che appartiene ai grandi poeti come Tagore il quale ha scritto::
“Dormivo e sognavo che la vita non fosse altro che gioia.
Mi svegliai e vidi che la vita non era altro che servizio.
Mi misi a servire e capii che il servizio era la gioia”.
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