Giovanni 11, 1-44
In questo racconto sono presenti tutte le verità fondamentali dell’esistenza: c’è la morte, l’amicizia, il pianto, la speranza più grande.
La prima verità riguarda la morte.
Tutto il racconto è occupato da una liturgia funebre che si esprime attraverso il pianto, il cordoglio, il sepolcro e un forte sentore di corruzione.
E chi legge viene raggiunto da una domanda provocatoria:”Tu credi alla morte?”.
Certo la morte non ha bisogno di essere creduta, tanto si impone sotto i nostri occhi con un’evidenza brutale: la morte trionfa negli atti di terrorismo, là dove ancora non si gode di una pace duratura; nei regolamenti di conti tra bande opposte di mafiosi o di camorristi, o sulle strade dove e tanti giovani lasciano la loro vita per ragioni che tutti conosciamo.
Eppure la domanda: “Tu credi alla morte?” non è fuori luogo.
In un tempo in cui si assiste alla morte in diretta, si assiste anche alla fuga dalla coscienza della morte.
Come se essa non ci riguardasse.
Per capire il valore di questo racconto , bisogna prima recuperare la tragicità della morte.
Bisogna avere il coraggio di guardarla in faccia.
Una seconda verità richiamata dal racconto è il valore dell’amicizia di fronte alla morte.
Questo testo di Giovanni non parla solo di morte e risurrezione.
E’anche la storia di un’amicizia, quella tra Gesù, Lazzaro e le sorelle.
“Il tuo amico è malato” mandano a dire le due sorelle.
E poco dopo è Gesù stesso a dare a Lazzaro il nome di amico.
L’uso di espressioni come “il nostro amico Lazzaro” è segno di grande famigliarità.
Sul filo di queste annotazioni è facile leggere il miracolo di Lazzaro come il miracolo dell’amicizia e dell’affetto.
Perché Gesù lascia la regione della Perea, dove poteva stare al riparo dalle ostilità dei giudei, per raggiungere Betania esponendosi pertanto a qualche grave rischio per la propria incolumità?
E’quello che i discepoli non capiscono:“Rabbì, poco fa i giudei cercavano di lapidarti, e tu ci vai di nuovo?”.
C’è in questo racconto una specie di legge che si potrebbe formulare così: amare è sempre un perdersi perché l’altro viva.
Gesù questa legge l’aveva insegnata quando aveva detto: “Non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici”.
La prova l’abbiamo nel vangelo: Lazzaro vive perché Gesù, che gli è amico, accetta di morire.
Si sa infatti che in seguito al miracolo di Betania i giudei decisero di mettere a morte Gesù.
Questa verità, che il dono della vita si sconta con il proprio morire, non è facile da interpretare.
Non è stato facile neppure per Gesù.
Gesù si commuove profondamente, dice Giovanni, e lo ricorda almeno due volte nel corso della narrazione.
Gesù scoppia in pianto. E’qualcosa che ci tocca, ci stupisce, ci commuove,
C‘è chi ha fatto osservare che la bellezza e la grandezza di questo miracolo sono tutte racchiuse nel pianto di Gesù.
Perché piange Gesù?
Perché questo suo pianto incontenibile, irrefrenabile, senza ritegno e senza vergogna?
Gli esegeti suggeriscono diverse spiegazioni, ma la più attendibile sembra essere questa: Gesù se la prende con le forze oscure del male e della morte.
Elias Canetti, il grande scrittore mitteleuropeo che considerava la morte come il male primordiale, voleva che la si odiasse, le si sputasse in faccia, venisse maledetta,.
Gesù piange e in questo suo pianto c’è come un moto di risentimento, di collera contro la morte.
E’ un modo per dire no alla morte, per rifiutarne la logica implacabile e crudele.
Penso a certi cristiani che si vergognano di piangere anche in occasione di lutti particolarmente dolorosi, che si sforzano perfino di mostrare un volto sereno e sorridente perché altrimenti sarebbe come tradire la fede nella risurrezione.
Trovo invece molto sagge le parole di un giovane parroco milanese il quale ha scritto: “Io credo che il Signore non voglia regalarci la risurrezione senza prima averci regalato le lacrime.
Le lacrime sono un dono. Ci danno il diritto di piangere senza vergogna.
Sono lacrime che lavano gli occhi perché si possano aprire a un mistero ancora più grande della morte, quello della risurrezione (Davide Caldirola)”.
Ed ora una parola sulla risurrezione.
Noi vorremmo sapere soprattutto come sarà la vita futura.
Ma la nostra curiosità rimane inappagata.
Lazzaro non dice nulla della esperienza che gli è stata riservata una volta superata la soglia della morte.
Ma altri passi del vangelo ci fanno capire che la vita eterna è essere con Cristo.
“Oggi sarai con me in paradiso” dice Gesù al ladrone sulla croce.
Si comprende come sia possibile affermare che la risurrezione non è solo per il futuro, ma già per il tempo che stiamo vivendo.
Se siamo uniti a Cristo, risurrezione e vita, godiamo già di una vita risorta,
Ci sono persone che spiritualmente sono vecchie o addirittura spente.
E lo dimostrano per il fatto che si trovano irrigidite nei loro pregiudizi, nelle loro paure, nel loro inguaribile pessimismo, nella difesa egoistica dei loro privilegi.
Non c’è scioltezza, autoironia, speranza, apertura alla novità.
Se hanno rapporto con Dio, conoscono solo un Dio vecchio che rende vecchi.
Ma Dio è giovane, e la giovinezza di Dio si è rivelata in Gesù.
Nessuno è più vivo e più libero di Gesù.
Con la sua vita intensa, appassionata, generosa, Gesù vuole insegnarci che cosa significa vivere.
Vivere non è sopravvivere, vegetare, consumare il proprio tempo rincorrendo soddisfazioni effimere, ma vivere è comunicare, donare, amare, perdere la propria vita per gli altri.
Se siamo con Gesù, già ora possiamo condurre una vita risorta, una vita al riparo da ogni conformismo e da ogni rassegnazione, una vita innamorata della verità, della bellezza, della fierezza di non essere servi di nessuno.
Non diciamo perciò come Marta: “Io so che risorgerò nell’ultimo giorno”, ma piuttosto diciamo: “Signore Gesù, io so che posso risorgere ogni giorno.
Pronuncia anche su di me le parole con cui hai richiamato Lazzaro alla vita: “Vieni fuori!”.
Vieni fuori, esci dall’oscurità del sepolcro in cui ti trovi con la tua vita spenta.
Sciogliti da tutte le tristezze e le paure che ti tengono prigioniero.
Vieni alla luce, vieni alla vita.
Potrò così essere giovane come te, giovane di amore, giovane di coraggio, giovane di immensa, dolcissima pietà”.
In questo racconto sono presenti tutte le verità fondamentali dell’esistenza: c’è la morte, l’amicizia, il pianto, la speranza più grande.
La prima verità riguarda la morte.
Tutto il racconto è occupato da una liturgia funebre che si esprime attraverso il pianto, il cordoglio, il sepolcro e un forte sentore di corruzione.
E chi legge viene raggiunto da una domanda provocatoria:”Tu credi alla morte?”.
Certo la morte non ha bisogno di essere creduta, tanto si impone sotto i nostri occhi con un’evidenza brutale: la morte trionfa negli atti di terrorismo, là dove ancora non si gode di una pace duratura; nei regolamenti di conti tra bande opposte di mafiosi o di camorristi, o sulle strade dove e tanti giovani lasciano la loro vita per ragioni che tutti conosciamo.
Eppure la domanda: “Tu credi alla morte?” non è fuori luogo.
In un tempo in cui si assiste alla morte in diretta, si assiste anche alla fuga dalla coscienza della morte.
Come se essa non ci riguardasse.
Per capire il valore di questo racconto , bisogna prima recuperare la tragicità della morte.
Bisogna avere il coraggio di guardarla in faccia.
Una seconda verità richiamata dal racconto è il valore dell’amicizia di fronte alla morte.
Questo testo di Giovanni non parla solo di morte e risurrezione.
E’anche la storia di un’amicizia, quella tra Gesù, Lazzaro e le sorelle.
“Il tuo amico è malato” mandano a dire le due sorelle.
E poco dopo è Gesù stesso a dare a Lazzaro il nome di amico.
L’uso di espressioni come “il nostro amico Lazzaro” è segno di grande famigliarità.
Sul filo di queste annotazioni è facile leggere il miracolo di Lazzaro come il miracolo dell’amicizia e dell’affetto.
Perché Gesù lascia la regione della Perea, dove poteva stare al riparo dalle ostilità dei giudei, per raggiungere Betania esponendosi pertanto a qualche grave rischio per la propria incolumità?
E’quello che i discepoli non capiscono:“Rabbì, poco fa i giudei cercavano di lapidarti, e tu ci vai di nuovo?”.
C’è in questo racconto una specie di legge che si potrebbe formulare così: amare è sempre un perdersi perché l’altro viva.
Gesù questa legge l’aveva insegnata quando aveva detto: “Non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici”.
La prova l’abbiamo nel vangelo: Lazzaro vive perché Gesù, che gli è amico, accetta di morire.
Si sa infatti che in seguito al miracolo di Betania i giudei decisero di mettere a morte Gesù.
Questa verità, che il dono della vita si sconta con il proprio morire, non è facile da interpretare.
Non è stato facile neppure per Gesù.
Gesù si commuove profondamente, dice Giovanni, e lo ricorda almeno due volte nel corso della narrazione.
Gesù scoppia in pianto. E’qualcosa che ci tocca, ci stupisce, ci commuove,
C‘è chi ha fatto osservare che la bellezza e la grandezza di questo miracolo sono tutte racchiuse nel pianto di Gesù.
Perché piange Gesù?
Perché questo suo pianto incontenibile, irrefrenabile, senza ritegno e senza vergogna?
Gli esegeti suggeriscono diverse spiegazioni, ma la più attendibile sembra essere questa: Gesù se la prende con le forze oscure del male e della morte.
Elias Canetti, il grande scrittore mitteleuropeo che considerava la morte come il male primordiale, voleva che la si odiasse, le si sputasse in faccia, venisse maledetta,.
Gesù piange e in questo suo pianto c’è come un moto di risentimento, di collera contro la morte.
E’ un modo per dire no alla morte, per rifiutarne la logica implacabile e crudele.
Penso a certi cristiani che si vergognano di piangere anche in occasione di lutti particolarmente dolorosi, che si sforzano perfino di mostrare un volto sereno e sorridente perché altrimenti sarebbe come tradire la fede nella risurrezione.
Trovo invece molto sagge le parole di un giovane parroco milanese il quale ha scritto: “Io credo che il Signore non voglia regalarci la risurrezione senza prima averci regalato le lacrime.
Le lacrime sono un dono. Ci danno il diritto di piangere senza vergogna.
Sono lacrime che lavano gli occhi perché si possano aprire a un mistero ancora più grande della morte, quello della risurrezione (Davide Caldirola)”.
Ed ora una parola sulla risurrezione.
Noi vorremmo sapere soprattutto come sarà la vita futura.
Ma la nostra curiosità rimane inappagata.
Lazzaro non dice nulla della esperienza che gli è stata riservata una volta superata la soglia della morte.
Ma altri passi del vangelo ci fanno capire che la vita eterna è essere con Cristo.
“Oggi sarai con me in paradiso” dice Gesù al ladrone sulla croce.
Si comprende come sia possibile affermare che la risurrezione non è solo per il futuro, ma già per il tempo che stiamo vivendo.
Se siamo uniti a Cristo, risurrezione e vita, godiamo già di una vita risorta,
Ci sono persone che spiritualmente sono vecchie o addirittura spente.
E lo dimostrano per il fatto che si trovano irrigidite nei loro pregiudizi, nelle loro paure, nel loro inguaribile pessimismo, nella difesa egoistica dei loro privilegi.
Non c’è scioltezza, autoironia, speranza, apertura alla novità.
Se hanno rapporto con Dio, conoscono solo un Dio vecchio che rende vecchi.
Ma Dio è giovane, e la giovinezza di Dio si è rivelata in Gesù.
Nessuno è più vivo e più libero di Gesù.
Con la sua vita intensa, appassionata, generosa, Gesù vuole insegnarci che cosa significa vivere.
Vivere non è sopravvivere, vegetare, consumare il proprio tempo rincorrendo soddisfazioni effimere, ma vivere è comunicare, donare, amare, perdere la propria vita per gli altri.
Se siamo con Gesù, già ora possiamo condurre una vita risorta, una vita al riparo da ogni conformismo e da ogni rassegnazione, una vita innamorata della verità, della bellezza, della fierezza di non essere servi di nessuno.
Non diciamo perciò come Marta: “Io so che risorgerò nell’ultimo giorno”, ma piuttosto diciamo: “Signore Gesù, io so che posso risorgere ogni giorno.
Pronuncia anche su di me le parole con cui hai richiamato Lazzaro alla vita: “Vieni fuori!”.
Vieni fuori, esci dall’oscurità del sepolcro in cui ti trovi con la tua vita spenta.
Sciogliti da tutte le tristezze e le paure che ti tengono prigioniero.
Vieni alla luce, vieni alla vita.
Potrò così essere giovane come te, giovane di amore, giovane di coraggio, giovane di immensa, dolcissima pietà”.
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