lunedì 27 ottobre 2008

XXX Domenica del tempo ordinario


Esodo 22, 20-26
Salmo 17
I Tessalonicesi 1, 5-10
Matteo 22, 34-40

Di solito si dice che l’originalità del cristianesimo va ricercata nel comandamento dell’amore.
Non è esatto.
Anche altre religioni predicano l’amore fino a raccomandarne le espressioni più alte come il perdono e la benevolenza verso i nemici.
L’uomo giusto – è un frammento della saggezza che viene dall’India – è come l’albero del sandalo che profuma la scure che lo abbatte.
E di Budda si racconta che, essendo vissuto in una precedente esistenza come lepre, si gettò nella padella dei cacciatori quando li vide affamati, perché rimasti quel giorno senza preda.
A ogni modo, il comandamento dell’amore si trova già nell’Antico Testamento.
E’ il caso di richiamare il precetto che si legge nell’Esodo: “Se tu presti denaro a qualcuno del mio popolo, all’indigente che sta con te, non ti comporterai con lui da usuraio: voi non dovete imporgli alcun interesse”.
E sempre nell’Esodo si trovano altri passi interessanti come questo: “Se vedi cadere sotto il suo carico l’asino di chi ti odia, non passare oltre, ma insieme a lui aiuta l’animale a rialzarsi”.
Qualcuno vede l’originalità dell’insegnamento di Gesù nell’aver fatto di due precetti un solo precetto.
Effettivamente, alla domanda del dottore della legge: “Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?”, Gesù risponde prima sdoppiando e poi riunendo: i comandamenti fondamentali sono due, ma essi si trovano così strettamente intrecciati (“il secondo è simile al primo”) da formare un solo comandamento.
La novità è data piuttosto dalle parole seguenti: “Da questi due comandamenti dipende tutta la legge e i profeti”.
Si sa che la legge era qualcosa di assoluto per Israele e, assieme alla legge, la parola dei profeti che aveva attualizzato le istanze più autentiche della legge.
Gesù con la sua risposta viene a dire che c’è qualcosa di più alto anche rispetto alla legge, qualcosa che nella scala dei valori rappresenta il vertice e la sorgente da cui tutto discende.
Prima c’è l'amore, poi la legge morale.
L’amore, in questa sua risposta, non ha più il carattere di un dovere, ma appare come il principio sorgivo della vita morale, il battito essenziale dell’esistenza, il respiro e il senso di tutto.
Il problema è di sapere come si possa arrivare a questa esperienza gioiosa dell’amore.
Per riuscire, bisogna anzitutto entrare in rapporto con un Dio amabile.
Se Dio lo sento distante o incombente o temibile, come potrei amarlo?
Potrei amare Dio se mi si presentasse unicamente con i caratteri della sua onnipotenza?
Ci sono immagini di Dio che respingono e suscitano perfino orrore.
Se Gesù ci parla di amore, è come se ci dicesse: “Dio va amato perché è amabile, E’ una presenza incoraggiante e affascinante. E’ un volto di ineffabile tenerezza. E’ un Tu di comunione e di condivisione”.
Più difficile da capire come possa essere amabile il prossimo.
Bisogna ammetterlo: ci sono persone la cui presenza è umanamente sgradevole e perfino scostante.
Ma sarebbe la stessa cosa se noi sapessimo vedere in quelle persone un riflesso almeno della amabilità di Dio?
Una vecchia leggenda indiana racconta che Dio, scontento della malvagità degli uomini, decise di nascondersi.
Ma dove trovare una dimora segreta senza che gli uomini potessero scovarla?
Forse sulla cima di un monte o nella profondità di un mare?
Alla fine decide di nascondersi là dove gli uomini non l’avrebbero mai cercato: nel loro cuore.
E ’ molto bella questa leggenda perché parla di Dio che dimora in noi.
Ma è proprio quello che noi crediamo come cristiani.
Se è vero che Dio si è fatto carne, vuol dire che in tutti gli uomini c’è qualcosa di divino e che lo si ama non soltanto comunicando con lui nella propria interiorità, ma passando anche attraverso la carne, cioè attraverso l’esistenza di ogni fratello che incontriamo.
Da Dio al prossimo e dal prossimo a Dio: non si passa da un tipo di amore a un altro tipo di amore, ma si rimane sempre all’interno di un’esperienza di amore che è unica e indivisibile.
Perciò non ha alcun senso pensare che, quando in una famiglia marito e moglie si vogliono bene ed esprimono il loro amore verso i figli, abbiano sottratto qualcosa all’amore verso Dio e siano tenuti a risarcirlo con qualche pratica di culto.
Ogni espressione di amore che raggiunge una creatura umana, raggiunge al tempo stesso anche Dio che dimora segretamente in quella creatura.
Si può parlare di Dio anche senza parlare di Dio quando si parla il linguaggio dell’amore.
Ecco dove ci ha portati la domanda posta dallo scriba a Gesù: a capire che amare Dio è il comandamento più grande e che questo comandamento non ci separa dalle situazioni normali del nostro vivere, ma si invera attraverso i gesti di bontà, di pietà, di comprensione, di tenerezza che riusciamo a esprimere nella vita di tutti i giorni.

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