lunedì 4 febbraio 2008

IV Domenica del tempo ordinario


Matteo 5,1-11

Penso che tutti, ascoltando le parole del vangelo, siamo stati presi da un’emozione profonda.
Un’emozione che sempre si rinnova, anche se queste parole ci pare di conoscerle molto bene, per averle lette e ascoltate tante volte.
Otto volte è risuonata la parola “beati”. La beatitudine qui è proclamata, cantata, celebrata con uno slancio che ci lascia sorpresi.
Immaginiamoci anche noi sul monte delle beatitudini, mescolati tra la folla dei poveri, dei piccoli, degli umili, e lasciamoci penetrare da queste parole così sorprendenti perché inattese:“Beati voi…”.
Ci saremmo aspettati di ascoltare precetti, norme, regole precise di comportamento; avremmo anche temuto di dover sottostare a qualche severa minaccia, come quelle che il Battista aveva usato nella sua predicazione sulle rive del Giordano.
E invece la sua prima parola promette e assicura quella gioia alla quale tutti, seppure su strade diverse, aneliamo.
Qui si rivela il cuore di Dio verso di noi.
Non dovremmo mai stancarci di dire che il nostro Dio, il Dio in cui crediamo, vuole che noi siamo felici.
Come sarebbe ben diversa la nostra chiesa se, invece di denunciare puntigliosamente gli errori degli uomini e di tracciare i percorsi da seguire, fossimo capaci di esprimere questa profonda convinzione: che la gioia si trova al cuore del cristianesimo.
Senza dubbio bisogna riconoscere che, rispetto al passato, qualche segno di conversione non è mancato.
Ci sono state epoche in cui il cristianesimo sembrava evocare solo croce e sofferenza,
Ricordiamo ancora una volta che Nietzsche rimproverava ai cristiani i loro volti sempre rabbuiati, da persone non salvate o incapaci di godere.
Erano tempi, quelli, in cui i sacerdoti, in particolare, erano visti come specialisti in lutti e sepolture.
E’ bello scoprire invece che Dio ci vuole destinati alla gioia e che, se questa manca, non è perché siamo cristiani, ma perché non lo siamo abbastanza.
Per i cristiani la felicità esiste, ed è già oggi.
Servirsi delle beatitudini, come s’è fatto in passato, per invitare i poveri e i sofferenti alla rassegnazione, promettendo la felicità in un paradio a venire, è stato un tradimento del vangelo.
Nel testo di Matteo ci sono verbi al futuro e verbi al presente.
Come a dire che la gioia piena sarà data nel futuro di Dio, ma che questa gioia trabocca già nell’oggi e intride situazioni che sono sotto nostri occhi, tanto che Gesù ci invita a osservare: “Guardate: i poveri sono amati da Dio.
Guardate gli artigiani di pace che sono chiamati figli da Dio.
E i puri di cuore che vedono Dio al di là delle apparenze di un mondo duro e intrattabile”.
Certo si tratta di una gioia non facile.+
Non è infatti una gioia data a basso prezzo.
Come è possibile conciliare gioia e sofferenza?
Sembra esserci una contraddizione, un paradosso, una follia..
Per Gesù è possibile: c’è una sofferenza che racchiude ed esprime l’esperienza della gioia.
Del resto molti credenti ne sono testimoni, dai primi martiri agli ultimi.
E non erano persone affette da turbe masochistiche che cercassero morbosamente forme di autopunizione.
Nel giorno della memoria della shoah sarebbe stato giusto ricordare che tante vittime (ebrei e non ebrei, come Massimiliano Kolbe) hanno affrontato la morte cantando i salmi della lode e della speranza.
Come spiegare un fatto così incredibile?
E’l’amore l’unica spiegazione.
Erano persone che credevano nella fecondità e nella forza dell’amore.
Ed erano persone che non si sentivano abbandonate dalla presenza di colui che è soltanto amore.
Se accogliamo questo amore, troviamo il segreto della gioia.
Il mondo che conosciamo si presenta davanti a noi con i suoi drammi, le sue angosce, le sue tensioni, le sue lotte, i suoi fallimenti.
L’uomo delle beatitudini non è uno sciocco o un ingenuo che non conosca i dati oggettivi della storia.
L’uomo delle beatitudini, per le tante notizie rattristanti che occupano le pagine dei giornali soprattutto in questi giorni, sa che ogni mattina lo attende “per colazione una tazza di lacrime” (E.Canetti).
Ma vede che il mondo è abitato da una promessa ed è sostenuto da una grande speranza.
Per questo la gioia di Gesù può circolare in mezzo a noi, nonostante le fatiche e le pesantezze della vita.
Gioia non chiassosa, ma segreta.
Arriva a volte quando meno te l’aspetti. Non sai da dove venga né come.
E’ un fatto imprevedibile.
Si cammina allora con passo leggero verso gli altri, in pace con tutti e, prima ancora, con se stessi.
Al termine della vita ci sarà rivolta questa domanda:
“Ho suonato il flauto per te.
Perché non hai danzato?”(Mt 11, 1).
Non ci capiti di presentarci davanti al Signore senza aver conosciuto la gioia che egli ci ha promesso.
Per questo è importante oggi inebriarsi delle parole delle beatitudini così da sentirne il fascino profondo.
Guardiamo alle beatitudini- così ci suggerisce un commentatore (J. Corbineau) –come si guarda a una vetrata.
La vetrata non fa altro che far cantare la luce.Guardiamo questa vetrata e ci sembrerà di indovinare un volto: è il volto di Gesù, il volto dell’amore di Dio.

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