mercoledì 17 settembre 2008

Esaltazione della Santa Croce

Giovanni 3,13-17


Questa festa è esposta a un possibile equivoco.
Se la chiesa esalta la croce, vuol dire che essa esalta il dolore.
Dove sarebbe allora la buona novella, il lieto annuncio?
Un cristianesimo morbosamente legato al dolore, se mai ha avuto qualche fortuna in passato quando l’avventura umana era vista come una traversata in una “valle di lacrime”, oggi sarebbe del tutto improponibile.
Ma si tratta di un equivoco che basterebbe poco a chiarire.
Basterebbe osservare che Gesù non si è mai stancato di predicare la gioia (gioia che è celebrata più di 170 volte negli scritti del Nuovo Testamento) e di guarire malati e infermi: l’avrebbe fatto se avesse coltivato una filosofia doloristica dell’esistenza?
Certo nel vangelo c’è anche la croce.
Ma la croce non sta a significare che Gesù non abbia amato la vita, ma che l’ha amata troppo.
Gesù non ha mai amato il dolore Ha amato piuttosto l’amore.
Ha amato follemente l’amore come, in tempi a noi vicini, Gandhi, Martin Luter King, mons. Romero e tanti altri discepoli di Cristo, tutti caduti sotto i colpi della violenza, tutti crocifissi.
L’amore è sempre vulnerabile.
Ma l’amore resta l’espressione più alta della vita. E anche la più gioiosa.
Risolto il possibile equivoco di cui si diceva (esaltazione della croce non è dunque esaltazione del dolore, ma esaltazione dell’amore che ha portato Cristo a morire sulla croce), contempliamo ora la croce di Cristo.
Essa ci rivelerà il vero volto di Dio e il vero volto dell’uomo.
Ci rivelerà anzitutto il vero volto di Dio.
“Mostraci il tuo volto e noi saremo salvi” si legge in un salmo.
Quale Dio ci rivela la croce di Cristo?
Un Dio che, invece di essere quel Dio terribile che spesso abbiamo immaginato, non è altro che infinito, purissimo amore.
Al centro del colloquio tra Gesù e Nicodemo, riportato in parte nel vangelo di questa domenica, c’è questa affermazione che ciascuno dovrebbe imparare a memoria e ripetere spesso, per attingervi un senso di grande fiducia:
“Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna”.
All’origine di tutto, c’è Dio che ama il mondo.
Perché lo ama?
Non ci sono ragioni o meglio, l’unica ragione è Dio stesso.
Si tratta di un amore assolutamente gratuito, che viene prima di ogni altra possibile motivazione.
Da questo amore discende la missione del Figlio, il suo abbassamento dentro la condizione dell’uomo, il suo umiliarsi “facendosi obbediente fino alla morte e alla morte in croce”.
E’ perciò la croce che ci dà il vero volto di Dio.
Essa ci parla di un Dio che ha amato a tal punto da non dare soltanto cose, ma da dare se stesso.
Si può infatti dare molto e amare poco, quando non si ha il coraggio di mettere in gioco se stessi.
Dio ha amato tanto perché non si è limitato a dare, ma si è dato.
Nel dono che Cristo ha fatto di se stesso sulla croce, bisogna vedere la donazione di Dio stesso.
La croce è il punto di arrivo di una lunga storia di amore.
Rivelazione del volto di Dio, la croce rivela anche il vero volto dell’uomo.
Nonostante lo spessore delle nostre passioni violente, di cui la croce è la prova più eloquente, noi siamo chiamati a una pienezza di vita: vita eterna, vita divina :“affinché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna”.
“Chiunque”: nessuno è discriminato o escluso.
Martin Lutero sulla sua Bibbia personale sostituì la parola “chiunque” con “Martin Lutero”.
Un consiglio: invece di scrivere il proprio nome sulla prima pagina della propria Bibbia, bisogna saperlo scrivere qui, al posto della parola “chiunque”.
Tu, io, tutti siamo destinati non a perire, ma a godere di una pienezza di vita.
A volte la chiesa viene accusata oggi di parlare troppo di misericordia e di salvezza, e poco di sanzioni severe senza dire che nessuno osa più parlare di inferno, come succedeva in passato.
Ma è proprio grave questa scelta pastorale alla luce di quello che abbiamo letto nel vangelo, e cioè che Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui?
Si tratta di una salvezza che non appare vincolata a particolari meriti.
E’ un dono gratuito che sta prima dei nostri comportamenti etici.
Vuol dire che non ci è richiesto proprio nulla?
In realtà una condizione esiste ed è quella di accogliere il dono del Signore.
Il Signore non si impone mai: si offre.
Dipende da noi accettare o non accettare.
Dipende tutto dalla nostra fede.
“La fede è necessaria perché è l’unico modo per ricevere le cose di Dio” (Paolo Ricca).
Quello che ci è richiesto è di saper guardare alla croce di Cristo e di vedervi il segno più alto dell’amore di Dio.
E’ la croce il miracolo più grande compiuto da Dio.
Noi siamo sempre alla ricerca di miracoli.
“Siamo eredi di un cristianesimo che sogna miracoli e si lamenta con Dio quando non li compie” (Angelo Casati)
Sulla croce sembra che non ci sia spazio per i miracoli.
Gesù sulla croce è morto senza che intervenisse alcun gesto sorprendente a salvarlo.
Eppure proprio questa assenza di miracoli è il miracolo più grande, il miracolo nuovo.
Il miracolo vero è questo Signore che sta con le braccia allargate.
Contemplare il miracolo delle braccia aperte vuol dire sentirsi compresi dentro questo abbraccio:
“Signore, dunque ci sono anch’io, nonostante tutto?
Posso pensare, sperare che le tue braccia rimarranno sempre aperte ad accogliermi?”.
Contemplare il miracolo delle braccia aperte vuol dire lasciarsi contagiare dalla bellezza di questo gesto e capire che la vita è spesa bene solo quando esprime questo desiderio di allargare le braccia per accogliere, proteggere, custodire tutti quelli che da noi si aspettano un gesto di fraternità e di solidarietà.

1 commento:

Alessandro ha detto...

Quanto hai scritto mi fa capire che non è tanto l'«accettare» la croce, il dolore per la perdita della persona amata, la malattia... che mi fa essere discepolo di Gesù e aderire alla Volontà del Padre, bensì l'«accogliere» tutto questo cioè vedere nella croce un'adesione piena di amore al progetto di Dio su di me e mettere Lui al centro della mia vita, accantonando i «miei» progetti per accogliere i Suoi.
Dio non può volere il dolore, la sofferenza, la «dis-grazia» perché Lui è «solo Amore allo stato purissimo» è «solo "Grazia"» e quindi sarebbe in antitesi con sé stesso.
Gesù quando parla di "prendere la propria croce" non dice che dobbiamo perseguirla, richiederla (sarebbe da masochisti il farlo e nemmeno Lui l'accetta volentieri in questo senso infatti chiede "se possibile passi da me questo calice") ma di "rinnegare sé stessi (il che significa abbandonare i propri progetti) per accogliere i progetti del Padre.
Spero di aver capito giusto.