sabato 30 agosto 2008

XXII Domenica del tempo ordinario

Geremia 20, 7-9
Salmo 62
Romani 12, 1-2
Matteo 16, 21-27

Pietro, per aver riconosciuto Gesù come il Messia inviato da Dio, viene chiamato “beato”.
Ora lo stesso Pietro viene demonizzato da Gesù: “Lungi da me, Satana!”.
Come si spiega questo contrasto così radicale?
Prima di trovare una risposta, credo sia opportuno raccogliere subito un ammonimento.
E’ possibile, fa capire il vangelo, essere al tempo stesso servitori della fede e traditori della fede.
E’ una situazione che, almeno potenzialmente, riguarda tutti, anche quelli che nella chiesa hanno grandi responsabilità.
Chi fa professione di fede è uno che, segretamente e realmente, potrebbe rinnegare ciò in cui crede.
Riprendiamo la domanda: come può succedere questo, e anzitutto, come è potuto succedere a Pietro?
Pietro aveva riconosciuto il Messia ma, come tanti suoi contemporanei, aveva del Messia un’immagine legata all’idea del successo, dell’affermazione gloriosa, della forza esercitata a favore del suo popolo.
E’ facile capire perché, quando Gesù si mette a parlare dl destino di sofferenza che lo attende, egli non solo non riesca ad accettare una prospettiva così sconcertante, ma si permetta addirittura di prendere in disparte Gesù per dargli una piccola lezione di cristologia in modo da insegnargli quale sarebbe stato il comportamento da seguire.
A questo punto si precisa con chiarezza il suo errore: “Tu pensi secondo gli uomini, non secondo Dio”.
Pensare secondo gli uomini: è questo il peccato più grande contro la fede.
Pensare secondo gli uomini vuol dire avere della vita una visione che contrasta con quella che ci ha insegnato Gesù.
Non è difficile richiamare per rapidi tratti questo modo di pensare e lo stile di vita che ne consegue.
A che cosa siamo portati a dare importanza?
Che cosa ci affascina in modo particolare così da alimentare i nostri sogni e le nostre attese?
Potremmo racchiudere le nostre possibili risposte dentro una parola sola: il privilegio.
Non importa quale privilegio: se di censo, di cultura, di prestigio sociale.
E’ un fatto che l’aspirazione più grande è quella di godere di una superiorità che gli altri non hanno: “Io posso, tu no”.
Perché questo si possa realizzare, è chiaro che bisogna avere un temperamento molto deciso, determinato a conseguire lo scopo prefisso, per nulla disposto a lasciarsi intenerire dalle ragioni degli altri.
Ci si vergogna anzi della sensibilità, perché è considerata come qualcosa di puerile, di poco virile, di debole, di femmineo.
Soprattutto ci si chiude davanti alla sofferenza.
Chi pensa secondo gli uomini, cancellerebbe immediatamente l’immagine della croce.
Se Dio esiste, così egli pensa, dovrebbe rivelarsi là dove c’è qualcosa di grande e di miracoloso, non certo nel segno di una vita crocifissa.
Ma c’è un altro modo di pensare: è il pensare secondo Dio.
In questa nuova prospettiva il privilegio non è più motivo di autocompiacimento, ma diventa impegno di servizio.
I santi, gli uomini toccati dallo Spirito, hanno sempre sentito la responsabilità del loro privilegio.
Ognuno è chiamato a fare dono di ciò che ha ricevuto.
Se hai ricevuto oltre la misura del tuo bisogno essenziale, ricordati che sei in una condizione di privilegio e devi pertanto condividere.
Ma perché questo avvenga, devi valorizzare proprio quella sensibilità che tu saresti portato a rinnegare.
Un uomo che non sia sensibile non è un uomo.
Essere sensibili, che è il dono più grande dello Spirito, vuol dire recepire tutte le cose alte, belle e nobili della vita, soprattutto la sofferenza che si incontra sul proprio cammino.
Se noi manchiamo a questa grande scuola che è l’università del dolore, siamo uomini mancati.
La qualità di un uomo è come quella di una pellicola fotografica, si misura dalla capacità di lasciarsi impressionare dalle cose belle, dalla verità, costi quello che costi, dalla bontà, dalla sofferenza.
Lasciarsi impressionare è lasciare che l’immagine entri dentro di noi.
Non dimentichiamo mai che noi siamo discepoli di Gesù di Nazaret che si è talmente lasciato impressionare dal dolore dell’uomo fino a rimanerne crocifisso.
Dopo queste riflessioni riusciamo forse a capire meglio le parole di Gesù, quando dice ai discepoli: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, prenda la sua croce”.
La croce che il cristiano deve portare è anzitutto quella di pensare non secondo gli uomini, ma secondo Dio, di “non conformarsi – come dice l’apostolo Paolo – alla mentalità di questo secolo”, ma di discernere il pensiero e la volontà di Dio.
Non è facile. Non è stato facile neppure per Gesù.
Quando parla della necessità di rinnegare se stesso, sembra che queste parole le dica anzitutto per sé, per vincere la paura che potrebbe trattenerlo sulla strada che egli intende seguire.
Possiamo anche capire, nel profondo della nostra coscienza, che la via tracciata da Gesù è la via giusta, ma tante volte ci manca il coraggio.
Per superare tutte le resistenze che troviamo dentro di noi, occorre una specie di seduzione come quella di cui parla il profeta Geremia: “Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre”.
Allora ci possono essere dubbi, resistenze, smarrimenti, ma a vincere sarà sempre il fuoco di questa seduzione.
“C’era come un fuoco ardente dentro le mie ossa. – dice ancora il profeta Geremia – Mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo”.

Nessun commento: