mercoledì 6 maggio 2009

III Domenica di Pasqua


Giovanni 14, 1-12

Nel vangelo di Giovanni c’è un lungo discorso di addio di Gesù.
Siamo alla vigilia della sua passione.
E’ l’ultima sera della sua vita, è l’ultima sua cena.
Gesù sente che è giunta la sua ora. Prima di morire, vuole richiamare ai suoi discepoli ciò che del suo insegnamento ritiene essenziale.
Ma prima ancora, pensando al grande turbamento che la sua morte potrebbe procurare, li vuole rassicurare.
Non c’è motivo di temere la morte.
La sua morte non è un fallimento, ma il coronamento di tutta l’opera.
Egli tornerà alla casa del Padre dove preparerà un posto per loro.
A questo punto troviamo un’affermazione che ci lascia un po’perplessi: “Io sono la via, la verità e la vita”.
Gesù rivela la sua vera identità mediante questa affermazione “Io sono” (ce ne sono tanti di questi “Io sono” nel vangelo di Giovanni che sembrano una eco di quel” Io sono” pronunciato da Dio a Mosè sul monte Horeb).
Dicevo prima di una iniziale perplessità nell’ascoltare queste parole di Gesù.
Per quale motivo?
Perché ci sembrano esorbitanti, eccessive. Che dire?
Se gli uomini non seguono Gesù, vuol dire che non potranno arrivare fino a Dio?
La sola possibilità di salvezza sta dunque nel diventare cristiani?
Bisogna tornare a ripetere, come si faceva prima del concilio: “ Extra ecclesiam, nulla salus”
(Fuori della chiesa, non c’è salvezza)?
Ma questa posizione è estremamente pericolosa, perché espone a molteplici conflitti con altre religioni che si propongono anch’esse come le sole vere religioni.
Per i musulmani, per esempio, siamo noi cristiani a essere nell’errore e a trovarci dalla parte degli infedeli.
E si sa che le guerre combattute in nome di Dio sono state – e lo sono tuttora – le più devastanti e le più luttuose.
Che fare? Come uscire da questa situazione?
E’il caso di relativizzare ogni espressione religiosa visto che, dopo tutto, le diverse religioni si equivalgono e il “buon Dio” è lo stesso per tutti?
Ma questo vuol dire favorire l’indifferenza religiosa.
Per comprendere Gesù bisogna ascoltare ogni sua parola: “Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io. E del luogo dove io vado, voi conoscete la via”.
Dove va Gesù? verso la casa del Padre e nella casa del Padre non c’è che amore.
Nella casa del Padre c’è un posto che ci attende.
Il nostro camminare ha dunque una meta; la meta è la casa del Padre, la dimora dell’infinita gioia di vivere.
La colpa più grave di noi cristiani, oggi (in passato forse era tutto diverso) è la smemoratezza riguardante la meta ultima del nostro cammino.
Chi di noi la contempla, la vagheggia, la prepara con una tensione interiore che sia come la cifra segreta del nostro esistere?
Siamo in viaggio, come tutti, ma non siamo pellegrini. Il pellegrino è colui che sa dove va.
Non solo: è colui che, fino a quando non ha raggiunto la meta, si sente un po’ straniero dovunque venga a trovarsi.
Noi non possiamo dirci pellegrini perché abbiamo perso la memoria della meta, catturati come siamo dalle piccole soddisfazioni che ci capita di trovare lungo il cammino.
Dovremmo perciò ripetere spesso una invocazione per dire al Signore: “Signore, mettici sempre in cammino con la mente e il cuore rivolti verso la Gerusalemme celeste.
Tieni viva in noi la fame e la sete di pace, di amore, di libertà, di luce. Rendi inquieto il nostro cuore finché non riposi in te”.
Ma quale strada dobbiamo pretendere per non fallire la meta?
“Io sono il cammino”ci dice Gesù.
Non dice:“Io vi insegno il cammino”, bensì:”Il cammino che cercate sono io”.
Per trovare la strada non c’è che da seguire Gesù.
E’la modalità ultima del nostro cammino alla casa del Padre.
Vogliamo richiamare brevemente alcuni aspetti di questa modalità esemplare.
Gesù era innamorato del cammino, sempre sulle strade e proteso verso l’altrove.
Aveva l’impazienza di passare attraverso le folle, nel deserto, sul lago senza lasciarsi trattenere da niente e da nessuno.
La sua meta era sempre più lontana.
Certamente guariva i malati, provava pietà per ogni tipo di fame e voleva trascinare tutti nell’attesa di qualcosa d’altro.
Per essere andato troppo lontano su sentieri che nessuno prima di lui aveva battuto, un giorno si è trovato solo.
Era troppo libero e pericoloso.
Proprio perché era così libero, neppure il sepolcro lo ha potuto trattenere.
Al termine di questa straordinaria avventura troverà ad accoglierlo l’abbraccio, la gratitudine e la gioia del Padre.
Vogliamo sapere come camminare verso la casa del Padre?
Dobbiamo guardare a Gesù, a quello che ha detto, a quello che ha fatto soprattutto a favore di quelli che erano respinti dalla società.
“Io sono la via”: Gesù è il nostro cammino. Un cammino che ci può spaventare tanto da ritenerlo impraticabile.
Come è possibile che la nostra esistenza debba rimanere sempre sotto il segno dell’urgenza, della tensione, dell’inquietudine?
Ci conforti a una lettura più attenta del vangelo, la certezza che c’è un camminare e c’è un dimorare.
La casa suggerisce l’idea del riposo.
Ed è un riposo che non ci viene soltanto promesso, ma già in qualche misura accordato.
“Io e il Padre siamo una cosa sola” dice Gesù.
Se siamo uniti a Gesù, siamo uniti al Padre, siamo già nella casa del Padre.
Gesù è quindi cammino ed è già il compimento del cammino, Gesù è la strada ed è la meta.
E’lui che nel cammino attraverso i segni della sua presenza ci fa pregustare quanto sia bello “abitare nella casa del Signore”.
Io non so che possa rimanere in noi di questo discorso che trova nel Vangelo di oggi la sua necessità e la sua legittimità. A volte di fronte a certe proposte troppo elevate e di ampio respiro, siamo presi dalla vertigine ci rifiutiamo di seguire.
In realtà le cose alte di Dio possono trovare nella vita di tutti i giorni una traduzione molto esemplare.
Camminare e dimorare con Gesù vuol dire avere fede in lui: “Credete in me”.
Se crediamo in lui lasciandoci educare dalla sua parola, se siamo capaci di affidargli la nostra sofferenza e la nostra speranza, se ci lasciamo condurre a compiere gesti di pietà verso le persone che hanno bisogno di non sentirsi abbandonate, noi camminiamo e dimoriamo in Cristo, e dimorando in Cristo, dimoriamo anche nel Padre di cui già possiamo gustare la tenerezza e la gioiosa accoglienza.
Quando arriveremo alla casa del Padre il nostro posto, quello riservato proprio a noi, lo troveremo facilmente perché l’avremo già conosciuto in questo nostro camminare nella fede, nella speranza e nell’ amore.

Nessun commento: