lunedì 18 maggio 2009

VI Domenica di Pasqua (R.A.)


Giovanni 15, 26 – 16,4.

Ci avviciniamo alla Pentecoste.
Perciò la liturgia si serve del vangelo di questa domenica (si tratta di un brano preso dal primo discorso di addio di Gesù) per introdurci alla conoscenza di colui che sarà il protagonista di
quell’evento così prodigioso: lo Spirito Santo.
Bisogna subito aggiungere che solo in Giovanni e mai negli altri scritti del Nuovo Testamento lo Spirito Santo viene chiamato Paraclito.
Che cosa significa questo strano appellativo?
E’ una parola greca che significa anzitutto consolatore, ma anche difensore, avvocato, uno che sta dalla nostra parte.
La sua funzione è dunque quella di consolare come pure di difenderci nel caso in cui la nostra fede dovesse subire attacchi insidiosi.
Ma dalle parole di Gesù ci viene confidato che lui stesso è venuto tra noi come Paraclito, prima ancora che i discepoli ricevessero il dono dello Spirito, il giorno di Pentecoste: “Io pregherò il Padre, perché vi dia un altro consolatore, perché resti con voi per sempre”.
Il primo consolatore è dunque lui, o meglio, è lui strettamente unito allo Spirito.
Tutti i vangeli sono lì a testimoniare la sua volontà di farsi servo di tutti, soprattutto di quelli che la società tende a escludere, di coloro che sono sprovvisti di titoli, di onori ufficiali, di dignità nelle gerarchie che contano: individui senza referenze né diplomi, senza funzioni o ruoli riconosciuti.
Lui si trova bene anche tra la gente che viene disprezzata, come i pubblicani, i quali, avendo il compito di riscuotere le imposte in nome del potere romano, erano considerati disonesti e sfruttatori.
In poche parole, Gesù si colloca tra coloro che sono costretti a vivere ai margini della società.
Fosse presente oggi nel nostro mondo, lo troveremmo accanto alle persone che maggiormente soffrono la loro condizione di solitudine: quelli che hanno perso il lavoro o non lo trovano, quelli che non trovano ospitalità nel nostro paese, e che vengono respinti al loro paese d’origine da cui sono fuggiti, spinti dalla fame o sotto il terrore della violenza.
Questa è la prima ragione che fa di Gesù il primo Paraclito del vangelo, il primo consolatore.
Del resto, questa azione consolatoria è presente anche nel vangelo che è stato letto.
Pensiamo allo smarrimento in cui dovevano trovarsi i discepoli mentre prendevano coscienza che Gesù li avrebbe presto lasciati e con lui sarebbe finita per sempre anche la loro meravigliosa avventura.
Che cosa sarebbe stata la loro vita senza di lui?
Che cosa sarebbe rimasto di tanti gesti commoventi compiuti da Gesù, di tante parole stupende raccolte dalle sue labbra?
Sarebbe rimasto solo il ricordo, un ricordo destinato a impallidire fino a spegnersi per sempre.
E la tristezza doveva occupare il cuore dei suoi discepoli.
E Gesù capisce. Intuisce con una sensibilità che potremmo chiamare materna la delusione profonda che dovevano patire i suoi discepoli.
Perciò, mentre dà loro l’addio sapendo quale sarebbe stata, di lì a poco, la sua fine, si preoccupa di mitigare almeno la loro tristezza.
In che modo?
Quando una persona parte per un paese lontano senza la prospettiva di ritornare a rivedere la sua casa, i suoi famigliari e gli amici più cari, quando questo paese lontano è quello che si dischiude al di là della morte, cerca di tenere vivo il suo ricordo lasciando qualche messaggio particolarmente toccante o lasciando in eredità le cose che lo hanno accompagnato nel suo percorso, mentre era in vita.
Gesù, che sta per lasciare i suoi discepoli, ha anche lui qualcosa da trasmettere loro in sua memoria.
No, “non vi lascerò orfani” promette ai discepoli che già si sentivano da lui abbandonati.
E questa promessa si precisa attraverso due doni meravigliosi. Il primo è l’eucaristia con cui il Signore assicura la sua presenza viva, il secondo è la promessa dello Spirito che sarebbe venuto a continuare l’insegnamento di Gesù tanto che qualcuno lo ha definito la presenza invisibile di Gesù.
Ecco come Gesù ha voluto consolare i suoi amici: aderendo pienamente al primo significato della parola paracleto che vuol dire consolatore.
Ma c’è anche l’altro significato di questa parola che, abbiamo visto, sta ad indicare colui che si prende cura di noi come avvocato difensore.
E’ possibile vedere Gesù anche in questo ruolo?
Il vangelo non è fatto solo di parole dolci, misurate, gradevoli all’ascolto, ma anche di parole aspre, scandalose, che ti urtano e ti obbligano a riflettere. E il tono dei discorsi di Gesù non è quello di un saggio che si compiaccia del proprio equilibrio interiore, ma quello di una coscienza indignata, incapace di rassegnarsi e di accettare il corso delle cose.
C’era in Gesù troppo amore per gli uomini. Impossibile per lui trattenere dentro di sé l’ardente desiderio di convertirli, di aprire loro gli occhi e di aiutarli a vivere. Da qui l’impazienza e l’irritazione in presenza di gente che non ha nemmeno alcuna coscienza delle ricchezze spirituali che porta con sé. Bisognerebbe, a questo proposito, immaginare quale potrebbe essere il comportamento di Gesù di fronte al rischio, al pericolo di spiritualizzare troppo il cristianesimo. Certo non approverebbe questa tendenza in atto a spiritualizzare la realtà, basti pensare ad esempio a come il regno di Dio sia stato spiritualizzato, per cui la salvezza è vista come la salvezza dell’anima, il regno di Dio è vio stesclusivamente come l’aldilà. In questo modo non c’è nessun punto d’aggancio con la realtà, con la concretezza storica della vita. Gesù, invece, ci richiamerebbe a fare memoria delle sue parole che sono parole concrete, che incidono non soltanto dentro l’uomo, ma anche nel sociale, nel politico e in tutti gli aspetti della nostra vita.
E ci farebbe capire che di fronte a certe forme palesi di ingiustizia presenti nel nostro mondo, di fronte all’arroganza di certi poteri, di fronte a menzogne spacciate per sacrosanta verità, l’indignazione non solo è ammissibile, ma è doverosa.
La missione dello Spirito Paraclito si ricongiunge con quella di Gesù Paraclito. E insieme sono uniti al Padre.
Perciò, se uno vuole contemplare la sorgente stessa dell’amore, se uno vuole penetrare nel cuore del Padre, là dov’è nato il mondo e la sua bellezza, bisogna che prenda questo cammino che è il Cristo: (nessuno va al Padre se non per mezzo di Cristo), e se vuole avvicinarsi a Cristo se vuole contemplare il Padre con gli occhi del Figlio unico, bisogna che lasci lo Spirito invadere il suo cuore con la sua luce, bisogna che implori umilmente:
“Vieni, Spirito Santo!
Vieni, luce dei nostri cuori!
Vieni, consolatore sovrano!
Vieni, ospite dolcissimo delle nostre anime!”.

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