domenica 18 novembre 2007

1^ Domenica di avvento


Isaia, 51, 4-6
Salmo 49
2 Tessalonicesi 2, 1-4.8-10.13-14
Matteo 24, 1-14..29-31..42

Il tempo di avvento, che oggi iniziamo, ci parla di una venuta (la parola avvento vuol dire appunto che qualcuno o qualcosa sta per venire) e conseguentemente della necessità di saper attendere e sperare.
Che cosa si profila all’orizzonte della nostra esistenza? Dove va la storia? Che cosa sarà di questo mondo?
E che cosa sarà di noi dopo che sarà chiusa questa nostra vicenda segnata da precisi limiti di tempo e di spazio?
Sono domande difficili da affrontare.
Si preferisce vivere senza pensarci.
Certo non mancano i futurologi i quali fanno previsioni per lo più allarmanti sul destino degli uomini e di questo nostro pianeta.
Ciò che manca è la coscienza collettiva, quel modo cioè di sentire comune che porta a guardare avanti e a dilatare la nostra speranza oltre i confini del presente.
Anche noi cristiani diamo l’impressione di avere smarrito la dimensione del futuro.
C’è una brevissima poesia di Sandro Penna che definisce molto bene la condizione vagheggiata da molti, credenti e non credenti, di fronte alle difficoltà della vita.
“Io – dice il poeta - vivere vorrei / addormentato / entro il dolce rumore / della vita”.
Il sogno comune sarebbe quello di abbandonarsi a un dolce stato di torpore che ci metta al riparo dalle asprezze e dalle tensioni che sempre ci accompagnano quando siamo costretti a fare delle scelte in modo consapevole.
Gesù oggi vuole farci uscire da questo stato di inconsapevolezza mettendoci davanti qualche immagine di ciò che si sta preparando.
Il quadro degli accadimenti che ci attendono è quanto mai allarmante.
Attraverso le parole di Gesù ci pare di assistere a un crollo generale che investe sia l’ordine cosmico, sia l’assetto sociale, sia il sistema dei valori morali e spirituali.
Per quattro volte Gesù parla di inganni e tradimenti, per quattro volte parla di guerre e di violenze.
Dobbiamo dunque coltivare un senso di paura per tutto quello che si profila come minaccia all’orizzonte del nostro destino?
Gesù non voleva certo predicare qualcosa che si risolvesse in uno stato di ansietà, anche perché, a pensarci bene, quello che Gesù assegna al futuro è già presente dentro la storia dell’uomo.
Ciò che Gesù voleva annunciare è un messaggio di salvezza.
“La mia salvezza durerà sempre” aveva già promesso Dio attraverso la voce del profeta Isaia.
E l’apostolo Paolo, ai cristiani di Tessalonica, scrive: “ Dio vi ha scelti come primizia di salvezza”.
Questa salvezza il Signore la mette in rapporto con il suo ritorno glorioso.
Perché temere se possiamo coltivare questa speranza di incontrarci con il Signore?
Se il Signore che attendiamo è quello che abbiamo conosciuto attraverso le pagine del vangelo, non c’è alcuna ragione di temere.
Chi più di lui ha saputo comunicare il gusto della libertà e offrire gesti di toccante tenerezza per suscitare fiducia nella vita presente e in quella futura?
Il Dio che fa paura non esiste. È una pura invenzione.
Il Signore è un amico che viene (i mistici del Medioevo anzi dicevano: è un amante).
Si tratta perciò di andargli incontro con il cuore colmo di fiducia e di gioiosa trepidazione.
Si comprende come la virtù dell’avvento sia la vigilanza.
“Vegliate” ci dice Gesù.
E la voce del profeta Isaia ci raggiunge con questo pressante invito: “Levate il capo”.
Bisogna saper alzare il capo, al di sopra dello scenario rattristante della nostra storia che sembra precipitare verso il basso, segnata com’è dall’inganno e dalla violenza, e tendere l’orecchio del cuore per cogliere i passi segreti del Signore che viene.
Il modo migliore di preparare questo incontro è quello di vivere con stupore i tanti incontri che il Signore già ci concede, disseminati lungo i percorsi della nostra esistenza.
Se è vero infatti che il Signore verrà, è altrettanto vero che il Signore già viene, viene incessantemente, quotidianamente, in modo discreto, dentro le nostre abituali consuetudini di vita.
Ogni giorno è tempo di avvento e tempo di incontro.
Tutto quello che ci capita è sacramento, perché racchiude e dona una presenza.
Nasce una domanda: c’è qualche situazione o qualche momento privilegiato in cui sia più facile avvertire la bellezza di questo incontro?
In altre parole: dove trovo il Signore, dove mi appare, dov’è la sua venuta?
Il Signore, che è amore, si mette, per così dire, nelle mani di quelli che si amano.
Prima di ogni religione e di ogni chiesa, sono gli esseri che si amano il sacramento della presenza di Dio.
Chi dona amore, dona Dio, o quanto meno un presentimento di quell’abbraccio con cui il Signore ci accoglierà per introdurci nel suo regno.
Vegliare, in attesa di Dio, come ci raccomanda Gesù nel vangelo, vuol dire intuire in ogni espressione di amore, fosse pure il più piccolo gesto di gentilezza e di delicatezza, il battito della presenza di Dio e anelare a un amore più grande, senza più i limiti che mortificano il nostro cuore e il nostro affetto.
La speranza più grande è che un giorno, quando il Signore ritornerà nella pienezza della sua gloria, anche i nostri affetti siano tutti trasfigurati per intensità, tenerezza, trasparenza e fiducia.
È importante sognare questo giorno.
Ma soprattutto importante prepararlo coltivando i momenti della più limpida amicizia in cui, ricevendo e donando, sia possibile confidarsi: ”Ecco, il Signore viene, anzi è già con noi”.

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