sabato 24 novembre 2007

II Domenica di avvento


Malachia 3, 1-4
Ebrei 10, 35-39
Matteo 21, 1-9

La scena descritta nel vangelo merita uno sguardo non superficiale.
E’ una scena corale in cui si danno appuntamento gli uomini, le piante, le cose e, soprattutto, Dio.
Passa Gesù e la sua presenza crea come un polo di attrazione per cui dal villaggio vicino arriva un’asina con il suo puledro, dagli alberi piovono fronde sulla strada, dalle case escono persone ad acclamare e a stendere i loro mantelli sotto i passi di Gesù.
“Scioglieteli e conduceteli a me” aveva detto Gesù. a me quando si era posto il problema di cercare una cavalcatura.
Questo “scioglimento” sembra interessare tutto il mondo, quello animato e quello inanimato, nel momento in cui avviene il passaggio di Gesù.
Si è tentati di leggere la scena come un’anticipazione di quella signoria di Cristo che troverà la sua piena espressione nella vittoria pasquale.
Quella vittoria sarà frutto della morte in croce.
Questo trionfo di Cristo è anch’esso legato non alla forza, ma alla debolezza.
“Beati i miti perché erediteranno la terra” aveva detto Gesù.
Ora Gesù ne offre quasi la prova.
Dove sono i segni abituali del potere?
”Ecco, il tuo re viene a te mite”
E che cosa si propone di fare Gesù?
Un rivoluzionario o un demagogo avrebbe acceso gli animi, assecondando le attese e dispensando generose promesse.
Gesù non prende alcuna iniziativa per conquistare il favore della folla.
Profeta disarmato e disarmante, entra nella sua città e intanto sogna un’altra città, la Gerusalemme da edificare con pietre vive, “nel più alto dei cieli”.
Quello che è avvenuto allora, a pochi giorni dalla Pasqua, si ripropone oggi per noi.
Gesù è sempre in cammino per fare il suo ingresso nella nostra città.
La città, secondo una tradizione raccolta nella Bibbia, è un segno della presunzione degli uomini e per questo la sua origine viene attribuita a Caino.
Ma la città, in una visione più pacata e, si potrebbe dire, più evangelica, testimonia pure la dimensione sociale dell’uomo, la sua capacità di progettare, di organizzare, di creare in una trama di rapporti complessi e costruttivi.
Se è vero che Gesù viene nella nostra città, quali sono i problemi che attendono da lui una risposta e un aiuto?
Vale la pena di richiamare, sia pure sommariamente, i principali.
Nella famiglia: povertà di rapporti, fragilità affettive, frustrazioni nel compito educativo.
Nel mondo del lavoro: debolezza e perdita del proprio ruolo, esasperazione della efficienza e della competitività.
Nella società: sfiducia nelle istituzioni, assenza di grandi valori collettivi.
Sul piano esistenziale: paura di fronte alla vecchiaia e alla morte.
A volte tutte queste difficoltà le sentiamo pesare nella nostra vita in un modo così violento che, se mai ci capita di pregare, siamo tentati di ripetere lo stesso lamento che una volta don Michele Do raccolse dalla bocca di uno dei suoi parrocchiani: “Signore, quand’è che ti metterai una mano sulla coscienza?”.
Gesù non viene a comporre, a sistemare, ad aggiustare l’ordine esistente.
Gesù viene in mezzo a noi proprio per aiutarci ad affrontare le difficoltà in vista di un ordine nuovo.
Però bisogna subito essere molto chiari.
Il suo passaggio provoca una crisi perché si traduce in un giudizio.
Abbiamo ascoltato poco fa le parole del profeta Malachia: “Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire?
Egli è come il fuoco del fonditore e la lisciva dei lavandai”.
Il fuoco brucia e così la lisciva dei lavandai.
Il passaggio dl Signore non è indolore.
Vediamo nel vangelo che, mentre la folla grida il proprio entusiasmo, “tutta la città fu in agitazione”.
A creare questo conflitto è la mitezza con cui Gesù si presenta sulla scena.
Gesu entra in città come un re mite, un re che viene nel segno della mitezza e della non violenza, un re che viene senza separare la madre dal suo puledro, nel segno della tenerezza e della delicatezza verso ogni creatura, anche animale.
La città non è preparata a questa novità radicale, chiusa com’è nella logica del potere con tutto il suo corredo di spregiudicatezze, di compromessi, di falsità, di presunzione.
La folla invece comprende che Gesù rappresentava la mitezza di Dio il quale entra nelle nostre città non per condannare, ma per salvare.
È bello pensare a un Dio che viene verso di noi, a un Dio instancabile camminatore, a un Dio più tenace e più grande dei nostri desideri, a un Dio che viene nonostante la nostra vita spenta.
Certo, per capire queste cose, occorre quella fede di cui ci parla l’autore della Lettera agli Ebrei: ”Il giusto vivrà di fede “.
E’ una fede che ci permette di non “indietreggiare”, ma di andare avanti con costanza, anche nelle situazioni di debolezza.
E’una fede che ci porta a incontrare Cristo nelle strade della nostra città e a gridare di gioia perché è lui che ci dà fiducia con la sua mitezza così vulnerabile,eppure, al tempo stesso, così luminosa e vigorosa.


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