sabato 8 dicembre 2007

Solennità dell'Immacolata Concezione


Genesi 3, 9-15.20
Efesini 1, 3-6.11-12
Luca 1, 26-38

La festa che oggi celebriamo getta luce sul nostro passato e sul nostro futuro.
Che cosa troviamo nel nostro passato?
Quello che si è soliti chiamare peccato originale da cui la Vergine, solo lei, sarebbe stata immune.
Attorno al tema del peccato originale, quante domande si intrecciano, e dubbi e curiosità.
Di che peccato si tratta? E quando è stato commesso?
E perché tutti sono partecipi? Come si fa a crederci?
Possiamo spiegare così.
C’è stato un tempo in cui, all’interno del popolo ebraico, alcune persone particolarmente attente alla condizione dell’uomo, hanno cominciato a riflettere su alcuni problemi.
Si sono chiesti: “Perché l’uomo vive nella paura e ha paura di tutto? Ha paura di Dio, ha paura dei suoi simili, ha paura della natura che sente spesso come resistente e ostile.
Perché la fatica del vivere, la sofferenza? Perché la morte?”.
Le risposte si possono sintetizzare così.
No, all’origine la situazione era diversa. E anche alla fine sarà diversa.
Il mito del paradiso terrestre sta ad indicare per il passato, ma anche per un orizzonte futuro, un creazione intatta, luminosa, armoniosa.
Che cosa è intervenuto ad alterare questa armonia cosmica?
“Se mangerete quel frutto, sarete come Dio”
Da parte dell’uomo c’è stata la volontà di essere come Dio.
Con un linguaggio più moderno, potremmo parlare di volontà di onnipotenza.
L’uomo dimentica la sua condizione creaturale, finita. Non accetta il suo limite.
Si lascia abbagliare dal dominio e dal potere:“sarò come Dio”.
E’ qui la radice del peccato. Ecco qual è il peccato originale, origine, modello e gestazione di ogni peccato.
E si spiegano le conseguenze che la Bibbia presenta come punizioni inflitte da Dio e che possono essere viste – le due cose si equivalgono – come effetto della ribellione a Dio.
Una volta infranto il rapporto creaturale con Dio, è infranto ogni equilibrio.
In questo disordine si accampano la paura, la menzogna, l’incomunicabilità, il dominio violento.
Alcune rapide annotazioni.
Adamo e Eva hanno paura di Dio: si nascondono.
E poi cadono nella menzogna e nell’inimicizia: “E’stata lei!”; “No, è stato il serpente!”.
E questa frattura si estende, diventa cosmica. Diventa frattura tra l’uomo e la creazione.
Oggi noi abbiamo sotto gli occhi un spaventosa manifestazione di questo peccato dell’uomo contro la creazione.
Basti pensare alle alterazioni climatiche prodotte da un uso dissennato delle risorse energetiche.
“Adamo, dove sei?”: Dove sei, uomo? Dove sei , donna? Dove sei, terra?
In quel grido, il grido di Dio, è scritta la nostra storia, la storia delle nostre fughe, delle nostre alienazioni, dei nostri smarrimenti.
Fin qui non ho fatto altro che evocare il peccato di origine come peccato di ribellione e le sue conseguenze.
Era necessaria, a me pare, questa lunga introduzione per capire il senso della festa che celebriamo.
Abbiamo ascoltato il grido di Dio rivolto all’uomo nel paradiso terrestre: “Dove sei?”, ma in quel grido non c’è soltanto la storia dei nostri fallimenti, ma c’è la storia del nostro Dio, di un Dio che è alla ricerca dell’uomo, di un Dio che ama l’uomo e non si rassegna a perderlo.
C’è dunque la storia di un lungo amore, che viene da lontano, dalla sponda dell’eternità.
Ebbene, questo amore che viene dall’eternità noi oggi lo vediamo brillare sul volto di Maria.
Dire Immacolata Concezione vuol dire affermare che c’è un lembo, una zolla della nostra terra, ed è Maria, che è sottratta al disordine di cui abbiamo parlato e appartiene invece all’ordine originale.
E questo per l’amore di Dio che in tale modo voleva preparare la venuta tra noi di Gesù, il figlio suo e figlio di Maria.
Contemplare Maria vuol dire contemplare uno spazio di salvezza e la via della nostra speranza.
E’ significativo il saluto dell’angelo a Maria: “Ave, o piena di grazia”.
Letteralmente, stando al testo greco, si dovrebbe dire: “Rallegrati, gioisci, o tu che sei immensamente amata”.
Ed è per questo che, contemplando Maria, noi contempliamo, con l’aiuto della Lettera agli Efesini, la dignità di ogni uomo, di ogni donna, di ciascuno di noi, di ogni bambino che nasce.
Per ciascuno vale, come per Maria, la parola:
“O tu che sei da lungo tempo immensamente amato;
o tu da sempre presente nell’amore e nel disegno di Dio”.
Ma “essere amati”è anche un lasciarsi amare, è rispondere all’amore dicendo come Maria:”Eccomi”.
Il peccato, abbiamo visto, è un no detto a Dio.
La salvezza è il sì detto a Dio (Maria è stata tutto un sì) e dire sì a Dio è ritrovare l’armonia perduta: è dire sì alle stelle, all’erba, ai fiori, agli animali, all’uomo, alla donna.
Se avessimo il coraggio di dire anche noi davanti a Dio: “Eccomi”, riconoscendo la nostra finitezza creaturale e la nostra dipendenza da Dio, nascerebbe un nuovo senso di umiltà, di mitezza, di mansuetudine nei rapporti tra le persone. Nascerebbe un nuovo modo di amare.
Deve essere un “eccomi” detto non solo a Dio, ma ripetuto a chi sta accanto a noi.
Perché l’amore vero è anche accettare di dipendere da un’altra persona.
È felicità di aver bisogno di un’altra persona, rinunciando alla propria orgogliosa sicurezza.
“Eccomi”. Ed è come se la creazione ricominciasse da capo e la terra tornasse a fiorire, a esultare di gioia

2 commenti:

Anonimo ha detto...

ti ringrazio

Anonimo ha detto...

Caro Don Luigi,per la prima volta leggo nel tuo blog.Non sentirti "voce che grida nel deserto" (per lo più 0-COMMENTI); ciò che scrivi crea "deserto" che è poi la condizione ideale per perpercepire il senso vero di ciò che è dentro e fuori di noi.
Grazie.
Filippo