domenica 30 dicembre 2007

Domenica tra l’ottava del Natale

Matteo 2,13-15,19-23

La fuga in Egitto è stato un tema molto trattato dai grandi maestri della pittura classica.
Maria, Giuseppe con il piccolo Gesù vengono rappresentati per lo più in un momento di riposo, protetti da una natura particolarmente accondiscendente, quasi a voler prolungare
la suggestione poetica del Natale.
Ma le letture di questa liturgia non permettono di indugiare su queste immagini idilliache.
Esse ci parlano di una famiglia minacciata, che è costretta alla dura esperienza della fuga e dell’esilio. E’una liturgia perciò che ci vuole distogliere da certe atmosfere natalizie
troppo morbide e smemoranti per renderci consapevoli della drammatica avventura che il figlio di Dio, facendosi uomo, è venuto ad affrontare condividendo la nostra storia.
Si vuole dire questo: che per il figlio di Dio il farsi uomo non è stata una finzione, ma un fatto estremamente serio, vissuto senza sconti o privilegi.
E’ passato da poco il suo natale, e già la sua vita è minacciata.
C’è un Erode che lo vuole sopprimere.
C’è una violenza dentro la storia che si accanisce contro i piccoli, le creature più fragili quali sono i bambini.
Penso ai tanti bambini denutriti che affollano i campi profughi disseminati nelle nazioni più povere o a quelli che vediamo approdare sulle nostre spiagge scampati durante la traversata al rischio continuo di fare naufragio.
Penso ai tanti bambini (pare che siano oltre 250 milioni) resi schiavi del lavoro, della prostituzione o abbandonati nelle strade delle favelas in Sudamerica.
E’chiaro: Erode cambia nome, ma la realtà è la stessa. Il posto di Erode è preso oggi dal potere economico, dal fanatismo religioso e politico, dalla sessualità arrogante, da ogni forma di potere perverso.
Questo nostro mondo è sempre segnato dallo scandalo del dolore innocente che costituisce, come sappiamo, la più seria difficoltà per la nostra fede.
Saremmo tutti tentati di rivolgere a Dio questo lamento raccolto da Don Michele Do dalla voce di un contadino della Val d’Ayas:”Signore, quand’è che ti metti una mano sulla coscienza?”.
Il Signore qualche nota di conforto oggi ce la offre attraverso la vicenda del bambino Gesù raccontata nel vangelo.
Anzitutto ci porta a vedere che c’è un potere di chi è debole tanto da far paura ai potenti.
La nascita di Gesù mette paura ad Erode.
Da dove viene questo potere?
Dal fatto che i piccoli, cioè tutte le creature fragili e indifese, godono di un particolare rapporto con Dio.
Abitati da Dio, esprimono nel loro volto indifeso, nel loro sguardo innocente una forza straordinaria.
E’ la ragione per cui (le testimonianze al riguardo sono numerose) coloro che nei campi di sterminio nazisti praticavano sui detenuti le più feroci vessazioni non guardavano in faccia le loro vittime.
Tu puoi sopprimere un innocente, ma il suo sguardo diventa un grido, un giudizio, un tormento invincibile.
Il violento è sempre uno sconfitto, anche quando trionfa.
C’è un secondo motivo di incoraggiamento che ci viene trasmesso oggi dal vangelo.
Dio ha un suo modo di condurre la storia che non è quello che viene esercitato dai potenti della terra.
C’è una teologia della storia che può essere espressa mediante le parole di Maria nel Magnificat: “Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili”.
Erode muore e per tutti gli Erode di questo mondo arriva il momento in cui escono di scena, senza lasciare alcun rimpianto, anzi con un senso di sollievo generale.
E ci sono quelli che, come Giuseppe, si prendono a cuore la causa dell’innocente con l’incrollabile fiducia che l’ultima parola spetta a Dio e che anche nella cronaca più nera c’è una luce: c’è una parola di Dio che sempre ci incoraggia a sperare.
Rimane però sempre aperto il problema angosciante del dolore innocente.
Questo, già l’abbiamo detto, è lo scandalo più grave per la coscienza del credente.
Perché devono soffrire i bambini?
Cosa risponde il nostro Dio?
Gesù non è venuto a spiegare il dolore.
E’venuto a condividerlo.
Da Betlemme in poi la sofferenza è il pane che il Figlio di Dio divide con l’uomo.
Là dove si soffre, anche se la sofferenza è muta, anche nella sofferenza degli animali, anche nella sofferenza della natura (anche la natura soffre e geme in attesa della salvezza), in ogni dolore c’è una partecipazione e una solidarietà del Figlio di Dio nato a Betlemme.
Perciò tutti i nostri interrogativi si sciolgono oggi in preghiera:
“Signore, non ci capiti mai di far soffrire i piccoli, non ci capiti mai di doverci caricare di questa immensa responsabilità.
Rendici anzi capaci di lavorare perché si riduca lo scandalo dei piccoli che soffrono.
E la sofferenza irriducibile che sta al di là delle nostre possibilità, noi la consegniamo a te perché tu la raccolga come un grido. E sia il grido di una nuova nascita”.

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