lunedì 21 gennaio 2008

II Domenica del tempo ordinario



II Domenica del tempo ordinario

Isaia 49, 3.5-6
Salmo 39
1 Corinzi 1, 1-3
Giovanni 1, 29-34
Immagine: la crocefissione di Grunewald

“Io non lo conoscevo....” dice Giovanni Battista parlando di Gesù.
Per ben due volte in questo breve testo di vangelo.
Questa confessione ci sorprende perché ciascuno di noi non può aver dimenticato i rapporti di parentela che esistevano tra Maria, la madre di Gesù, ed Elisabetta, la madre di Giovanni.
Come è possibile pensare che Giovanni non conoscesse Gesù, che forse gli era stato compagno di giochi e con il quale doveva avere scambiato tante confidenze?
Che sia dunque cambiato Gesù?
No, non è Gesù che è cambiato, ma è Giovanni che è cambiato, è il suo sguardo che non è più soltanto carnale, come direbbe l’apostolo Paolo, ma spirituale, cioè illuminato dallo Spirito tanto da poter dire:“Io ho visto e ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio”.
C’è una prima riflessione da fare, che ci riguarda personalmente.
La vita cristiana comporta una conoscenza sempre più approfondita su Gesù, una conoscenza sempre più aperta al rivelarsi del suo mistero inesauribile.
Si tratta di un compito senza fine.
Non basta infatti fermare l’attenzione sul Gesù della storia o il Gesù della teologia.
Gesù è sempre oltre, sempre al di là delle nostre conoscenze.
E’ una persuasione che deve rimanere profondamente radicata in noi, altrimenti si corre il rischio di diventare abitudinari della fede, professionisti della fede, gente cioè che sa di sapere e che perciò non si lascia più coinvolgere in questa meravigliosa, appassionante avventura che prende inizio da questo perenne interrogativo:”Chi è Gesù per me?”.
Gesù, bisogna dire, non ci lascia soli in questa ricerca.
E’significativa l’osservazione che c’è nel vangelo: Giovanni Battista vede Gesù “venire verso di lui”.
E’ Dio che prende l’iniziativa, è lui che ci viene incontro, è lui che muove i primi passi. Sempre.
E nel testo del vangelo per due volte si parla dello Spirito che discende.
C’è dunque una conoscenza secondo lo spirito che non è una conoscenza acquisita, ma è una conoscenza che viene da altrove, che viene dall’alto, che discende come una colomba, portata dallo Spirito.
E dove ci porta questa nuova conoscenza?
A incontrare Gesù come ”l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo”.
Siamo sinceri: che cosa riusciamo a capire di quest’annuncio?
Chi ha la fortuna di andare a Colmar a vedere quel grande capolavoro che è la pala dell’altare di Isenheim dipinta da Grunewald, accanto al crocifisso, indimenticabile per il suo straziante realismo, la figura del Battista con l’indice enorme puntato verso Gesù e in basso, tra la croce e il Battista, un agnello.
Quanti sono i visitatori che riescono a collegare la scena con il vangelo di questa liturgia e a trovare il significato delle varie immagini?
L’ideale sarebbe che ammettessimo la nostra impreparazione e fossimo pronti all’interrogazione che può dischiudere il senso nascosto.
Perché Gesù è l’agnello di Dio?
Bisognerebbe evocare il servo sofferente di cui parla il profeta Isaia con l’immagine dell’”agnello condotto al macello”, oppure l’agnello pasquale “senza difetto” il cui sangue versato sugli stipiti delle porte avrebbe salvato le case degli ebrei poco prima dell’esodo.
Ma non basta neppure avere tutte queste informazioni se esse rimangono sul piano di una cultura nozionistica (così si diceva un volta) che non incide sul nostro vissuto e sul nostro destino.
Non ha senso una conoscenza del catechismo se essa non porta alla conoscenza di Gesù, ad una conoscenza sempre aperta a nuovi sviluppi e a continui stupori.
Noi conosciamo quando, al di là di tutto quello che possiamo sapere su di lui, arriviamo ad amarlo e a confidargli, sotto l’azione dello Spirito: “Signore Gesù, tu sei l’agnello di Dio, tu sei la dolce presenza di un Dio che, passo dopo passo, mi aiuta a vivere in libertà, non più sottomesso alla dura tirannia del peccato e della morte”.
E amando G sù si diventa testimoni.
Come Giovanni del quale due volte si dice che ha reso testimonianza.
Giovanni qui è presentato nella sua nuova identità.
Non è più visto come il precursore o il battezzatore, ma come it testimone.
Essere testimoni è la vocazione a cui tutti siamo chiamati.
Ricordo d’avere assistito anni fa ad una discussione proprio su questo tema.
Ad un certo punto c’è stato chi ha sollevato questa domanda: nel vangelo è più importante la figura del sacerdote o quella del testimone?
Il testimone è colui che interiorizza la verità e la irradia.
Il sacerdote è l’incaricato di un servizio nella casa di Dio.
Prima quindi viene il testimone, poi il sacerdote.
Viviamo in tempi in cui la testimonianza deve essere vissuta da ogni cristiano con particolare consapevolezza e responsabilità, ma questo non significa assumere forme di presenza che non siano secondo lo stile di Gesù.
Lo stile nella testimonianza è qualcosa di essenziale.
Se si è provocati, non si può reagire con metodi altrettanto trasgressivi e violenti.
La causa del vangelo non si difende meglio con la forza dei numeri o con l’asprezza delle parole.
L’agnello e la colomba, di cui si parla nel vangelo, sono simboli universali di innocenza, di dolcezza, di fragilità, di umiltà.
Dire che Gesù è l’agnello di Dio è dire in modo molto suggestivo che Gesù è la manifestazione della dolcezza , della tenerezza e pure della umiltà del nostro Dio.
E quando noi ascoltiamo queste parole al momento del comunione, dobbiamo pensare che Gesù si fa nostro nutrimento per far crescere in noi la dolcezza, la tenerezza, l’umiltà del nostro Dio: in una parola, la vita divina in noi e tra di noi.

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