Numeri 6, 22-27
Galati 4,4-7
Luca 2,16-21
C’è una liturgia laica che in un giorno come questo prevale sulla liturgia della chiesa.
Del resto, ci fosse visibilmente Gesù tra noi, io credo che anche lui, così attento alle esperienze umane nel loro svolgersi quotidiano, oggi parlerebbe del sentimento del tempo.
E ne parlerebbe non in termini filosofici ma a partire dalla concretezza del nostro vissuto.
Che cosa rappresenta il tempo per noi?
Che percezione ne abbiamo? Come lo sentiamo trascorrere nella nostra vita?
Il tempo è la nostra disperazione e la nostra speranza. Il tempo è il nostro destino.
Anzitutto avvertiamo che c’è qualcosa di angoscioso nel flusso del tempo.
Veniamo da un passato che non c’è più.
Bello o brutto che sia stato, appartiene oramai solo alla dimensione della memoria.
Andiamo verso un futuro che non c’è ancora.
Lo possiamo solo anticipare con l’immaginazione.
Solo il presente sembra appartenerci.
Ma, a pensarci bene, anche il presente ci sfugge e risulta inafferrabile.
Non è possibile, come qualcuno voleva, dire all’attimo fuggente: “Arrestati, sei bello!”.
In quel momento, l’attimo è già stato inghiottito dal passato.
Per questo l’autore di un libro della Bibbia, il Qoèlet, parlando del tempo, dice che, sì, c’è un tempo per piantare e un tempo per sradicare, un tempo per costruire e un tempo per demolire, un tempo per danzare e un tempo per dolersi, ma poi racchiude tutte queste diverse e opposte espressioni del tempo in una legge: tutto è vanità.
La nostra fede ci dice però una cosa molto importante: c’è la possibilità di vincere il tempo.
D’accordo: i nostri orologi che ci danno l’impressione di essere noi a dominare il tempo, ci ricordano anche che noi vi siamo soggetti e che il tempo scorre impetuoso, inarrestabile.
C’è però una novità.
L’eternità penetra nel nostro tempo, lo riscatta dalla vanità, gli restituisce uno spessore, una consistenza, una durata che di sua natura non avrebbe.
In una vecchia canzone dei guardiani notturni tedeschi ogni ora è ricordata con qualche nota caratteristica.
Della mezzanotte si dice: “Sono le dodici, il giorno è finito. Donaci, o Signore, l’eternità”.
Noi abbiamo bisogno di eternità.
Il giorno troppo è breve. Il tempo troppo effimero.
Ora – questa è la novità – l’eternità è già dentro il nostro tempo.
E un dono già presente.
In questo tempo natalizio, parafrasando un celebre detto di Clemente Alessandrino secondo cui Dio si è fatto uomo perché l’uomo diventasse Dio, potremmo dire che l’eternità si è fatta tempo, perché il tempo potesse diventare eternità.
Quando Dio stesso entra nel flusso del tempo, il flusso del tempo è vinto.
A me piace ricordare spesso un’affermazione che si trova nel salmo 31: “Il mio tempo sta nelle tue mani”.
Il mio tempo non è altro che la mia esistenza terrena, il mio passato, il mio futuro e questo continuo passaggio dal passato al futuro.
Si potrebbe dire semplicemente così; “Il mio tempo sono io, come ero, come sono e sarò, Come tu ben mi conosci. Con tutto me stesso sto nelle tue mani”.
E’da sottolineare l’importanza del verbo “stare”.
Mentre non c’è nulla al mondo che sia stabile, io sono certo che nulla della mia vita sarà perduto, dimenticato, cancellato per questa unica ragione: perché è nelle tue mani.
E quali mani!
Non nelle mani di un oscuro, tetro destino da decifrare mediante qualche oroscopo.
E neppure nelle mie mani. Per fortuna.
Ma nelle mani di Dio, di un Dio che lo Spirito Santo dentro di noi ci suggerisce di chiamare con il dolce nome di padre: ”Abbà, Padre!”.
Siamo nelle mani del Figlio di Dio che, incarnandosi, ha preso il nome di Gesù, che vuol dire. “Dio salva” e che un giorno dirà: ”Nessuno verrà strappato dalle mie mani”.
Il nostro tempo è dunque affidato alle mani misericordiose di Dio.
Abbiamo fatto tanto o poco nel corso dell’anno?
Abbiamo creato, costruito, amato?
Abbiamo commesso errori, molti errori?
Nonostante tutto, l’anno che sta per finire è stato un anno di salvezza, un anno di grazia.
E affidiamo a Dio anche l’anno nuovo.
Se Gesù fosse presente tra noi, che cosa ci augurerebbe per il nuovo anno?
Credo che non mancherebbe di augurarci il comportamento di Maria, sua madre, la quale (come si legge nel vangelo), ripensando ai vari ”segni” che avevano accompagnato la nascita di Gesù, “serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore”.
Gesù, in altre parole, ci farebbe l’elogio del silenzio come via privilegiata per arrivare ad un ascolto pieno di stupore.
E’ molto bello infatti ascoltare la musica della creazione per gustarne l’armonia segreta o ascoltare gli uomini per arricchirci della loro diversità o ascoltare il proprio cuore dove si fa sentire la voce dello Spirito che ci permette di orientare la nostra vita.
E’ nel silenzio contemplativo che possiamo avvertire il trascorrere della benedizione di Dio come un carezza di luce sul nostro volto così da renderci creature benedette e benedicenti per il riflesso di quella luce divina che può far brillare il nostro volto trasmettendo un augurio di pace.
mercoledì 2 gennaio 2008
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