Assunzione della B.V.M.
Luca 1, 38-56
Nel mistero che celebriamo si possono cogliere tre movimenti: c’è un ricevere, un donare e poi ancora un ricevere.
C’è anzitutto un ricevere.
A volte siamo portati a pensare che siamo noi gli artefici del nostro destino.
In realtà, in ogni cuore che batte c’è come l’eco di un battito più misterioso e più profondo, quello del cuore di Dio.
Nel saluto dell’angelo a Maria si trova la parola grazia.
È una parola che in greco può significare sia bellezza che gratuità.
E’ come se l’angelo dicesse a Maria: “Rallegrati, Maria, perché tu sei bella agli occhi di Dio.
E sei bella perché il Signore ti ha fatto dono della sua bellezza”.
Se Maria viene chiamata “piena di grazia”, è perché più di ogni altra creatura ha potuto godere dei doni di Dio.
Ma Maria è anche colei che più di tutti ha avuto coscienza di essere ricolma di grazia.
“Ha guardato l’umiltà della sua serva” canta nel Magnificat.
Dio è pienezza che si riversa nella nostra radicale indigenza.
Dio è sovranità che si curva sulla nostra estrema bassezza.
Davanti alla prodigalità di Dio che manda a ciascuno un angelo in vista di una particolare elezione (bisognerebbe domandarsi: chi è il messaggero di Dio nella mia vita? un uomo, una donna? una comunità di persone? un’amicizia ritrovata?), non c’è che da accogliere come ha fatto Maria: con un sì pieno di stupore e di fiducioso abbandono.
Dopo aver ricevuto, si è chiamati a donare.
Che cosa donare?
Il primo dono dovrebbe essere quello della gratitudine e della lode.
Maria nel Magnificat celebra con gioia la presenza meravigliosa di Dio nella sua vita e nella storia dell’umanità.
Forse il Signore preferisce incontrare qualcuno che sia capace di stupore davanti al miracolo dell’esistenza, anche se di questo ignora l’autore, che non una persona devota, ma dal cuore arido nei confronti della sua opera.
Il donare, come risposta a quanto si è ricevuto, comporta poi una disposizione a condividere i beni, sia materiali che spirituali, che hanno arricchito la nostra vita.
Se contempliamo oggi Maria come figura esemplare, è perché lei, che ha ricevuto il privilegio di portare in grembo il Figlio di Dio, sente subito il bisogno di comunicare ad altri la sua grande gioia.
Abitata dallo Spirito, si mette subito in cammino verso la casa lontana di Elisabetta dove con il suo saluto farà sobbalzare di gioia il piccolo Giovanni (stupenda questa scena: il futuro Messia e il futuro precursore già si riconoscono attraverso l’incontro di due madri).
Da quel momento Maria non farà che donare al mondo il figlio di Dio tanto che la sua vita potrebbe essere vista nel segno di una continua, totale donazione.
Rimane ora da osservare il terzo movimento che entra nel destino di ogni persona: si tratta ancora di ricevere.
Anche in questo caso l’immagine esemplare ci è offerta da Maria la quale è stata talmente associata al Figlio nel suo cammino di donazione da condividere non solo il mistero della morte, ma anche della risurrezione.
Maria è stata assunta in cielo, nella gloria di Dio, anche con il suo corpo perché tutta la sua vita è stata consegnata all’azione vivificante dello Spirito.
È possibile – vuole essere una riflessione conclusiva - mettere in rapporto questo mistero di Maria con la concretezza del nostro vivere?
C’è un aspetto di questo evento che vorrei sottolineare, perché risponde a un’esigenza molto sentita nella cultura attuale.
E’ una cultura molo preoccupata di valorizzare la dimensione della corporeità.
Nel tramonto di tanti valori religiosi e morali, che cosa rimane come bene ultimo da salvare se non il corpo?
Ma il valore del corpo è al centro anche di tutta la rivelazione cristiana e in particolare del mistero che celebriamo.
“Il corpo è il luogo dell’incontro e delle relazioni anche con Dio. – ha scritto un teologo protestante, Martin Cunz – Dio cerca i nostri corpi, prima che le nostre anime, perché le anime possono vivere solo se i corpi sono trasfigurati in templi del Dio vivente”.
Come preparare i nostri corpi alla loro definitiva trasfigurazione?
La vera cultura del corpo è quella inaugurata da Maria la quale si è preoccupata di abbellire il proprio corpo con gesti di tenerezza e con la gioia di comunicare agli altri la propria gioia , come ha fatto nell’incontro con Elisabetta.
Un volto è bello se è illuminato dal sorriso.
Immagino quanto luminoso dovesse essere il sorriso di Maria.
Essere capaci di dispensare un sorriso, di trasmettere un segno di amicizia, di far sobbalzare di gioia un bambino (c’è sempre, in ogni creatura, un bambino da fare sussultare di gioia) è la via privilegiata perché non soltanto lo spirito, ma anche questo nostro corpo si prepari a condividere la perenne giovinezza del nostro Dio.
Luca 1, 38-56
Nel mistero che celebriamo si possono cogliere tre movimenti: c’è un ricevere, un donare e poi ancora un ricevere.
C’è anzitutto un ricevere.
A volte siamo portati a pensare che siamo noi gli artefici del nostro destino.
In realtà, in ogni cuore che batte c’è come l’eco di un battito più misterioso e più profondo, quello del cuore di Dio.
Nel saluto dell’angelo a Maria si trova la parola grazia.
È una parola che in greco può significare sia bellezza che gratuità.
E’ come se l’angelo dicesse a Maria: “Rallegrati, Maria, perché tu sei bella agli occhi di Dio.
E sei bella perché il Signore ti ha fatto dono della sua bellezza”.
Se Maria viene chiamata “piena di grazia”, è perché più di ogni altra creatura ha potuto godere dei doni di Dio.
Ma Maria è anche colei che più di tutti ha avuto coscienza di essere ricolma di grazia.
“Ha guardato l’umiltà della sua serva” canta nel Magnificat.
Dio è pienezza che si riversa nella nostra radicale indigenza.
Dio è sovranità che si curva sulla nostra estrema bassezza.
Davanti alla prodigalità di Dio che manda a ciascuno un angelo in vista di una particolare elezione (bisognerebbe domandarsi: chi è il messaggero di Dio nella mia vita? un uomo, una donna? una comunità di persone? un’amicizia ritrovata?), non c’è che da accogliere come ha fatto Maria: con un sì pieno di stupore e di fiducioso abbandono.
Dopo aver ricevuto, si è chiamati a donare.
Che cosa donare?
Il primo dono dovrebbe essere quello della gratitudine e della lode.
Maria nel Magnificat celebra con gioia la presenza meravigliosa di Dio nella sua vita e nella storia dell’umanità.
Forse il Signore preferisce incontrare qualcuno che sia capace di stupore davanti al miracolo dell’esistenza, anche se di questo ignora l’autore, che non una persona devota, ma dal cuore arido nei confronti della sua opera.
Il donare, come risposta a quanto si è ricevuto, comporta poi una disposizione a condividere i beni, sia materiali che spirituali, che hanno arricchito la nostra vita.
Se contempliamo oggi Maria come figura esemplare, è perché lei, che ha ricevuto il privilegio di portare in grembo il Figlio di Dio, sente subito il bisogno di comunicare ad altri la sua grande gioia.
Abitata dallo Spirito, si mette subito in cammino verso la casa lontana di Elisabetta dove con il suo saluto farà sobbalzare di gioia il piccolo Giovanni (stupenda questa scena: il futuro Messia e il futuro precursore già si riconoscono attraverso l’incontro di due madri).
Da quel momento Maria non farà che donare al mondo il figlio di Dio tanto che la sua vita potrebbe essere vista nel segno di una continua, totale donazione.
Rimane ora da osservare il terzo movimento che entra nel destino di ogni persona: si tratta ancora di ricevere.
Anche in questo caso l’immagine esemplare ci è offerta da Maria la quale è stata talmente associata al Figlio nel suo cammino di donazione da condividere non solo il mistero della morte, ma anche della risurrezione.
Maria è stata assunta in cielo, nella gloria di Dio, anche con il suo corpo perché tutta la sua vita è stata consegnata all’azione vivificante dello Spirito.
È possibile – vuole essere una riflessione conclusiva - mettere in rapporto questo mistero di Maria con la concretezza del nostro vivere?
C’è un aspetto di questo evento che vorrei sottolineare, perché risponde a un’esigenza molto sentita nella cultura attuale.
E’ una cultura molo preoccupata di valorizzare la dimensione della corporeità.
Nel tramonto di tanti valori religiosi e morali, che cosa rimane come bene ultimo da salvare se non il corpo?
Ma il valore del corpo è al centro anche di tutta la rivelazione cristiana e in particolare del mistero che celebriamo.
“Il corpo è il luogo dell’incontro e delle relazioni anche con Dio. – ha scritto un teologo protestante, Martin Cunz – Dio cerca i nostri corpi, prima che le nostre anime, perché le anime possono vivere solo se i corpi sono trasfigurati in templi del Dio vivente”.
Come preparare i nostri corpi alla loro definitiva trasfigurazione?
La vera cultura del corpo è quella inaugurata da Maria la quale si è preoccupata di abbellire il proprio corpo con gesti di tenerezza e con la gioia di comunicare agli altri la propria gioia , come ha fatto nell’incontro con Elisabetta.
Un volto è bello se è illuminato dal sorriso.
Immagino quanto luminoso dovesse essere il sorriso di Maria.
Essere capaci di dispensare un sorriso, di trasmettere un segno di amicizia, di far sobbalzare di gioia un bambino (c’è sempre, in ogni creatura, un bambino da fare sussultare di gioia) è la via privilegiata perché non soltanto lo spirito, ma anche questo nostro corpo si prepari a condividere la perenne giovinezza del nostro Dio.
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