martedì 5 agosto 2008

XVIII Domenica del tempo ordinario


Matteo 14, 13-21

Nel vangelo di Matteo abbiamo trovato il racconto di un miracolo, di un grande miracolo : pochi pani e pochi pesci bastano sfamare più di 5000 persone.
Questo è il miracolo che ci colpisce di più.
Quando vediamo comparire, come nel caso nostro, qualcosa che prima non esisteva, noi siamo portati a dire: “Qui ci deve essere un miracolo”.
Però bisognerebbe non fermare l’attenzione su questo solo fatto.
Perché, a pensarci bene, il racconto di Matteo nasconde tra le sue pieghe altri miracoli.
Pensiamo, per esempio, al miracolo della fraternità.
Anche in questo caso si verifica qualcosa di sorprendente, che non è nella norma.
Normalmente succede il contrario.
Succede cioè che le cose che possediamo, i beni materiali di cui disponiamo diventino motivo di divisione.
Chi ha non vuole cedere nulla di quello che gli appartiene e possibilmente cerca di prendere anche quello che appartiene agli altri.
C’è un proverbio che efficacemente stigmatizza questo comportamento:”Quello che è mio, è mio, e del tuo facciamo a mezzo”.
E’ da questo comportamento che nascono le divisioni, le contese, le guerre.
Dietro la retorica dei buoni sentimenti, dietro la proclamazione di intenti altruistici si nasconde spesso una volontà di predominio e di sfruttamento.
La stessa cosa succede tra famiglie. Quante penose divisioni per questioni di eredità.
A tale proposito c’è una frase tremenda del grande Machiavelli il quale fa osservare che gli uomini “si dimenticano più facilmente la morte del padre che la perdita del patrimonio”.
Nel miracolo del vangelo invece succede il contrario.
I beni materiali, che normalmente sono motivo di divisioni, diventano motivo di condivisione e di fraternità.
Gesù prende il pane della discordia e delle divisioni e nelle sue mani questo diventa pane di comunione e di riconciliazione.
Qui non c’è più alcuna ombra di contesa o di privilegio.
Cinquemila uomini più le donne i bambini: tutti ricevono e mangiano nella fraternità.
Un altro miracolo presente nella narrazione di Matteo è quello della gratuità.
Anche la gratuità non è nella norma.
Noi siamo legati alla logica della giustizia commutativa, del dare e dell’avere.
Viviamo in un mondo in cui domina la legge del mercato per cui anche le persone valgono per l’utilità che sanno offrire.
Abbiamo cioè, di noi stessi e degli altri, una stima di tipo commerciale, fondata sull’utile.
Può succedere, in certi casi, che si sia disposti a dare, a beneficare senza aspettarsi nulla in contraccambio.
Pensiamo a tanti gesti di filantropia, presenti che nella nostra società.
Ma è proprio vero che non c’è contropartita?
San Francesco di Sales scriveva a una novizia di chiedere perdono tutte le volte che avesse fatto la carità a una persona e di chiedere perdono proprio alla persona beneficata.
Perché diceva questo?
Perché c’è il pericolo, anche nel fare il bene, di cercare la propria affermazione personale, di peccare di paternalismo, di voler dimostrare: “Ecco, io sono umanamente e spiritualmente una persona superiore alle altre”.
Nel vangelo non c’è nulla di questo, ma tutto si svolge nel segno della più limpida gratuità.
Gesù non si atteggia a benefattore: “Distribuite voi” dice ai discepoli.
In tutto il racconto si respira un senso di gratuità, di grazia, di liberalità, di sovrabbondanza.
C’è perfino il superfluo.
Il miracolo è stato così generoso da far dimenticare, quasi, che ce ne fosse bisogno.
E’ chiaro che questo episodio ci proietta verso una condizione di vita che non è la nostra.
Ma ci offre opportune indicazioni perché possa diventare la nostra.
C’è un particolare del racconto che dischiude il senso profondo di quanto è avvenuto quel giorno nel deserto.
Il miracolo preceduto da una preghiera di benedizione: Gesù “rivolto verso il cielo, disse la benedizione”.
La tradizione ebraica prescriveva che per godere delle realtà di questo mondo, come, per esempio, del pane, dell’acqua, della bellezza di un’amicizia, della tenerezza di un amore fosse necessario introdursi con una particolare preghiera.
Con ogni probabilità Gesù davanti a quei cinque pani non ha fatto altro che pronunciare le parole che dovevano essere molto famigliari ad ogni pio israelita. “Benedetto sei tu Signore, re del mondo, che fai uscire il pane dalla terra”.
Era come riconoscere che il pane è dono.
E se è dono, è dono per tutti.
La benedizione sul pane ci ricorda che il pane va condiviso.
Se il pane viene ricevuto come dono, non può a sua volta non essere donato creando quella circolarità dell’amore che è il segno più alto della presenza e della forza del regno di Dio in mezzo a noi.

Nessun commento: