sabato 29 settembre 2007

XXVI Domenica del tempo ordinario

Amos 1a. 4-7
Salmo 145
1 Timoteo 6, 11-15
Luca 16, 19-31

Dal racconto che abbiamo letto prendiamo tre elementi che ci serviranno come traccia per la nostra riflessione.
Parleremo del “nome”, del “grande abisso”, della “parola di Mosè e dei profeti”.
“ Un mendicante di nome Lazzaro” si legge nella parabola.
Questo mendicante non ha niente: è solo, abbandonato, ignorato.
Però ha un nome, anzi è ricco del suo nome, perché Lazzaro vuol dire: “Dio aiuta”.
Il ricco invece è senza nome.
”C’era un uomo ricco” dice la parabola: un essere anonimo.
E’ un particolare non casuale, ma intenzionale.
Ed è un particolare importante.
Nella cultura semitica infatti il nome esprimeva l’identità profonda di una persona, la sua verità, la sua storia.
Perché il ricco che, senza dubbio, era più conosciuto di Lazzaro, non ha un nome?
Perché è un uomo senza storia e senza dignità.
Potremmo dire, senza uno spessore umano.
Non tanto perché ama i lauti banchetti e i vestiti ricercati.
Non dimentichiamo che anche il padre del figlio prodigo ha fatto uccidere il vitello grasso e ha dato una festa con musica e danza.
E non dimentichiamo che il figlio è stato rivestito delle vesti più belle, con l’anello al dito.
Ciò che invece definisce negativamente la sua esistenza è il fatto che questo banchettare lautamente con il vestire di porpora e bisso era diventato la sua regola di vita.
“Quotidianamente” osserva il vangelo.
Qual è la sua filosofia della vita, o la sua religione,o la sua fede?
Il suo credo coincide con quello che esibisce e che consuma.
Fosse almeno cattivo…
Sarebbe il segno di una personalità, sia pure malata.
Ma qui non c’è personalità.
Qui c’è il vuoto.
Rappresenta tutte la esistenze molli, inerti, grevi, pesanti del loro vuoto.
Esistenze fondate sulle apparenze fatue, sullo sperpero insensato.
Esistenze che vivono dell’effimero e sono votate all’effimero.
Un giorno il ricco morì e fu sepolto.
Soltanto di lui, non del povero, si dice che fu sepolto.
Come se fosse vissuto unicamente in funzione di questo momento, per essere interrato.
Vogliamo immaginare la scena?
Un bel discorso del rabbino, commovente, le condoglianze dalle famiglie dei cinque fratelli e fiori, tanti fiori…
Un funerale brillante.
Ancora una volta il trionfo dell’apparenza a mascherare il vuoto di un’esistenza.
Forse non è sbagliato pensare che di personaggi simili ne esistono anche oggi, soprattutto oggi, in questa nostra società dei consumi e dell’immagine.
E se fossimo anche noi in qualche misura tra questi?
L’altro elemento utile per la nostra riflessione è il “grande abisso”: “Tra noi e voi è stabilito un grande abisso”.
Lo stesso abisso esisteva già prima tra il ricco e Lazzaro.
Quanti abissi si scavano continuamente!
Abissi tra i paesi ricchi e i paesi poveri, abissi tra quelli che dettano le leggi dell’economia e quelli che sono costretti a subirle, abissi tra quelli che godono di mille raccomandazioni e quelli che devono avere una grande pazienza per tutto.
Abissi che separano persone che pure vivono sotto lo stesso tetto e si trovano alla stessa tavola.
La prossimità fisica in questi casi rende ancora più drammatica la distanza affettiva e spirituale.
Forse un abisso c‘è anche dentro di noi a separare un io che fa la parte di Lazzaro e un altro io che interpreta la parte del ricco senza nome.
C’è, in altre parole, un io povero, fragile, che invoca, per vivere, il pane della verità e dell’amore e c’è un io soddisfatto, dissipato, troppo intento a rimirare se stesso per accorgersi di chi sta bussando alla porta.
C’è bisogno di ponti gettati su tutti questi abissi per avvicinare il ricco e il povero, chi spreca e chi non ha nulla, il nostro io che geme e quello stordito che non sa ascoltare.
Chi ci darà la forza per operare questo miracolo?
Qui entra in gioco il terzo elemento della parabola: “Hanno Mosé e i profeti”.
È una risposta che forse ci delude.
Ameremmo, come il ricco della parabola, un aiuto più decisivo.
Se tornasse, per esempio, qualcuno dall’aldilà, come tutto sarebbe più facile.
Ma Gesù non è disposto ad assecondare la nostra domanda.
I miracoli più spettacolari, i richiami più solenni non servono: non hanno mai cambiato niente nel mondo.
Ciò che conta, è l’ascolto della parola di Dio.
Certo, c’è ascolto e ascolto.
Anche il ricco, si può pensare, ogni sabato in sinagoga ascoltava Mosè e i profeti.
E forse, prima di ogni banchetto, si concedeva la lettura di un brano della scrittura.
Ma non c’era in lui un vero ascolto.
Le orecchie erano aperte, ma il cuore era sordo.
È possibile dunque ascoltare senza mai incontrarsi né con Dio né con Lazzaro: senza mai convertirsi.
Occorre allora un altro tipo di ascolto.
Un mio amico prete usa frequentemente un’espressione molto efficace: bisogna - dice- macinare la parola.
:Mi pare di capire che cosa voglia dire bisogna triturarla, assaporarla, metabolizzarla, così che diventi in noi carne, passione, vita.
E poiché sappiamo che la parola si è fatta carne in Gesù, bisogna che si stabilisca tra noi e Gesù un rapporto così stretto da poter ripetere tutto quello che lui ha compiuto. Allora può nascere la passione di lanciare ponti sopra tutti gli abissi, come ha fatto lui, per raggiungere chi è dimenticato, mortificato, chiuso nella sua solitudine.
Non si tratta di promettere soltanto un capovolgimento di situazioni in una vita futura. I poveri sono stanchi di discorsi paternalistici che non fanno altro che perpetuare situazioni di scandalosa ingiustizia.
Tutto verrebbe rimandato all’aldilà.
Basta avere un po’ di pazienza. Allora ci sarà lo scambio delle parti.
I ricchi all’inferno e i poveri in paradiso.
E così giustizia sarà fatta.
No, Gesù non è venuto a predicare questa rassegnazione, ma a renderci partecipi della sua indignazione contro ogni ingiustizia.
È adesso che bisogna raddrizzare le cose storte, come del resto ammoniva il profeta Amos lanciando i suoi “guai!” contro gli spensierati e i bontemponi del suo tempo. Certo, per Gesù c’è una parola di salvezza anche per i ricchi,dalla vita sprecata e insignificante, a patto che, recuperata la dignità della persona, possano ritrovare il nome perduto in cui, come nel nome di Lazzaro, sia custodito questo messaggio di speranza: “Dio salva”.

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