domenica 4 novembre 2007

XXX1 Domenica del tempo ordinario


Sapienza 11, 22-12,2
2 Tessalonicesi 1, 11-2,2
Luca 19, 1-10

Incontriamo oggi nel vangelo un personaggio singolare, Zaccheo.
Basta averlo incontrato una volta per custodire nella memoria la sua immagine e la sua storia.
Era piccolo di statura, ma questa sua scarsa prestanza fisica non gli aveva impedito di guadagnare moltissimo.
Se i pubblicani erano invidiati e anche detestati per i loro troppo facili guadagni nel riscuotere le tasse per conto dei Romani, si può facilmente capire quanto dovesse essere florida la condizione di Zaccheo, che dei pubblicani era il capo riconosciuto.
Dalla piccolezza della sua statura è stato poi favorito il giorno in cui, non potendo accostarsi a Gesù che attraversava la città di Gerico per la folla che aveva fatto muro davanti a lui, pensò di arrampicarsi su un sicomoro per seguire dall’alto il passaggio di Gesù.
Possiamo qui aprire una parentesi: qui c’è uno che cerca di avvicinarsi a Gesù e trova un ostacolo.
Da chi viene impedito?
Dalla massa osannante che si stringe attorno a Gesù.
Non potrebbe essere – la domanda è provocatoria – che certe imponenti manifestazioni religiose più che avvicinare a Dio, rappresentano un ingombro per chi lo cerca veramente?
Torniamo ora a Zaccheo al quale il fatto di essere piccolo è servito ad aggirare l’ostacolo.
Una volta conquistata quella favorevole posizione che conosciamo, è facile immaginare i sentimenti e le emozioni che deve aver provato.
Anzitutto la soddisfazione di avere conquistato la cima dell’albero con l’agilità di un ragazzino, soddisfazione che compensava largamente qualche ammiccamento malevolo che tra la folla gli pareva di cogliere nei suoi confronti.
E poi c’era sempre quell’inquietudine profonda che lo mordeva da tempo e che l’aveva portato a prendere quella decisione strana, di aspettare il passaggio di Gesù appollaiato su una pianta di sicomoro.
Si sarebbe accorto Gesù, passando, della sua presenza e della sua ardente attesa di uno sguardo, almeno, che lo liberasse dalla sua penosa solitudine e gli portasse in dono un poco di pace?
Dio, attraverso Gesù, si è ricordato di Zaccheo.
Il nome“Zaccheo” significa proprio questo:”Dio si ricorda”.
Apparentemente l’iniziativa è di Zaccheo, che brucia dal desiderio di vedere Gesù, ma non sarebbe successo niente se Gesù non avesse alzato lo sguardo.
E’ importante sostare un istante a contemplare questi due sguardi che si incrociano.
C’è un verbo che apre e chiude l’episodio di Zaccheo: è il verbo “cercare”.
Di Zaccheo è detto : “cercava di vedere Gesù”.
Di Gesù è detto: “il Figlio dell’uomo è venuto a cercare ciò che era perduto”.
“Sulla strada di Gerico, che è la strada della vita, possono incrociarsi queste due ricerche, quella di Dio e quella dell’uomo: un Dio inquieto e un uomo inquieto. La salvezza è in questo verbo, o se volete, in questa inquietudine del cercare” (A. Casati)-
A partire dallo sguardo di Gesù su Zaccheo, tutto ormai prende uno sviluppo rapidissimo, nel segno di una grande gioia.
Che Zaccheo scenda subito dall’albero, perché la grazia è per oggi, non per domani!
E’ per oggi che Gesù si autoinvita nella sua casa.
Tanto peggio per coloro che in disparte disapprovano e vanno mormorando: “E’ andato ad alloggiare da un peccatore!”.
Gesù questa volta non esita a dare scandalo.
C’è infatti uno scandalo da evitare, ma, secondo il vangelo, c’è uno scandalo doveroso, quando si tratta di accogliere i peccatori, perché scandalosa è la misericordia di Dio.
E che questo scandalo sia fecondo di risultati sorprendenti lo dimostra il comportamento di Zaccheo.
Senza essere sollecitato da Gesù, decide di restituire quello che aveva ingiustamente guadagnato, ben al di là delle esigenze fissate dalla legge.
La misericordia era senza misura, la conversione lo sarà pure.
L’amore trascina nella logica della sovrabbondanza e della dismisura.
Zaccheo,che rimane felicemente sorpreso della generosità di Gesù, prova a sua volta il desiderio di procurare gioia.
La casa di Zaccheo diventa non più la casa dell’appropriazione egoistica, ma la casa della condivisione e della riconciliazione.
Diventa la casa del miracolo.
Sì, perché Gesù può finalmente superare lo sconforto che l’aveva portato a dire:
“Quanto è difficile per coloro che possiedono ricchezze entrare nel regno di Dio.
E'più facile per un cammello passare per la cruna di un ago che per un ricco enrare nel regno di Dio!" (Lc 18, 24-25).
Qui Gesù scommette addirittura sul ricco, che dovrebbe essere la carta perdente.
E il miracolo avviene.
Zaccheo non vede più gli altri come individui da sfruttare, ma li vede come fratelli.
E impara per la prima volta a coniugare il verbo “condividere”, a usare le mani non solo per prendere, carpire, strappare, tenere, ma per dare.
La roba, i beni, il denaro non sono più oggetto di conquista, e neppure “proprietà privata” intoccabile, ma diventano sacramento di fraternità e di amicizia.
A causa delle ricchezze accumulate, Zaccheo era uno scomunicato, un separato.
Ora, nel segno della condivisione, diventa l’uomo dell’incontro.
Per questo Ambrogio, riflettendo anche su questa pagina di vangelo, potrà dire: “Non c’è colpa nell’essere ricchi, ma nel non sapere usare le proprie ricchezze”.
Si diceva prima che la casa di Zaccheo era diventata la casa del miracolo.
Da quel giorno le chiese, anche le più gloriose cattedrali, non sono che l’umile casa di Zaccheo dove peccatori e santi si trovano fraternamente con Dio.
La Chiesa non è fatta per i santi, ma per “salvare ciò che era perduto”.
Ora, Zaccheo può portare il suo nome vero: “Dio si ricorda”.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Caro don Luigi... ma non scrivi più? Aspettiamo presto un aggiornamento delle ultime domeniche!